Giornata dell'infanza
Caffo: «Troppi bambini e ragazzi nella solitudine del digitale»
Così il presidente e fondatore di Telefono Azzurro, che in occasione della Giornata Internazionale dell’Infanzia e dell’Adolescenza ribadisce l'importanza per gli adulti di rimettersi in gioco per ascoltare le nuove generazioni e costruire modelli nuovi di intervento
di Alessio Nisi
Ascoltare e accompagnare i ragazzi in un percorso fatto di conoscenza di se stessi, dell’ambiente che li circonda, compreso il mondo del digitale. Con l’obiettivo di sviluppare un pensiero critico e di cercare di essere protagonisti del proprio futuro. Così Ernesto Caffo, presidente e fondatore di Telefono Azzurro, in occasione della Giornata Internazionale dell’Infanzia e dell’Adolescenza e dopo la presentazione (nel corso di un evento organizzato al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro – Cnel) dell’indagine di Fondazione S.O.S. il Telefono Azzurro ETS dedicata alla salute mentale dei giovani, realizzata con il supporto di Bva Doxa.
Dobbiamo rimetterci in gioco per ascoltare le nuove generazioni e costruire nuovi modelli di intervento
Ernesto Caffo – presidente e fondatore di Telefono Azzurro
Ecco il futuro. Per 1 ragazzo su 2 il domani appare come un qualcosa di oscuro. E poi la solitudine. Dall’indagine di Telefono Azzurro è emerso come la grande solitudine di fronte alla crescita porti sempre più ragazzi a rifugiarsi nella rete per sperimentarsi dal punto di vista cognitivo, emotivo e relazionale.
Professore, la grande solitudine dei ragazzi.
Il tema centrale oggi è l’accompagnamento dei bambini a conoscere se stessi, in un mondo che sta cambiando velocemente. Un percorso in cui il ruolo dei genitori e delle strutture educative deve essere ancora più qualificato. Dimenticando quella parte che una era volta l’assistenza e la cura fisica. Spostando l’attenzione allo sviluppo del bambino, che nei primi mesi e anni di vita è centrale. Accompagnando il bambino a conoscere, oltre che sé stesso e l’ambiente sociale e naturale di relazioni fisiche, anche il mondo del digitale, che è presente in ogni casa in ogni contesto nella vita di tutti noi.
Un accompagnamento che potrebbe avere quali effetti?
Il bambino crescerebbe con un pensiero critico, con la capacità di chiedere aiuto e anche di potere trovare delle risposte, se ha bisogno, nelle figure di riferimento, che diventano per lui, così, realmente presenti. Il grande problema oggi è la scomparsa degli adulti di riferimento (genitori e insegnanti) nei primi anni di vita dei ragazzi: questo ha come effetto un senso di solitudine e di disagio. I ragazzi non trovano più alternative di supporto, se non nei loro pari e in un percorso di un mondo digitale che è fatto di tante realtà, che però non hanno una loro identità.
Mancano persone vere di riferimento.
Sì, è importante per un bambino, come anche per gli adulti, avere persone vere di riferimento e di condivisione. Ecco la Rete, per vari motivi, non permette di creare questo tipo di relazione. Quindi, dobbiamo fare un percorso che permetta ai ragazzi di essere in grado di controllare il mondo digitale, di impossessarsi di quei saperi e di quelle competenze per poter governare il loro sviluppo, diventando sempre più protagonisti del proprio futuro. È chiaro che, se vogliamo avere dei bambini ancora più competenti sul fronte delle sfide della vita, un atteggiamento iperprotettivo degli adulti è un elemento che nei bambini crea fragilità.
A che competenze si riferisce?
I bambini devono essere in grado di sviluppare, con i loro genitori e con gli educatori, la capacità di analisi del contesto. Questo passaggio permette loro di affrontare le sfide del futuro in modo maggiormente protettivo per se stessi ma anche per i loro pari.
In che modo i bambini possono diventare padroni del loro futuro?
I piccoli devono essere in grado di comprendere la realtà che li circonda. Per diventare protagonisti del futuro devono però partecipare alle nostre scelte, dobbiamo averli presenti nei nostri confronti, non averli a casa, chiusi nei loro device e tranquilli perché concentrati sulle loro piattaforme, dimenticando il rapporto con gli adulti. Oggi il rapporto tra generazioni è ancora più potente di prima, per cui è chiaro che in questo processo la famiglia e la scuola devono giocare un ruolo determinante.
Nel presentare i dati dell’analisi, lei ha anche messo in evidenza la necessità di attivare forme di collaborazione, progetti comuni e trasversali capaci di tutelare e mettere al primo posto il benessere di bambini e adolescenti. A quali iniziative si riferisce?
Da una parte dobbiamo fare in modo di mettere insieme tutte le diverse realtà. Lo abbiamo fatto incontrando insieme la società civile degli adulti, che deve vedere nei bambini una risorsa. Un evento, quello tenuto al Cnel, fatto con i ragazzi e per i ragazzi, in cui è stato molto interessante vedere, ad esempio, l’interazione tra i giovani e il capo della polizia postale. Dobbiamo ascoltare, questo cambia la prospettiva. Vuol dire che il mondo delle aziende, delle istituzioni, della società civile, del Terzo settore devono avere i bambini al centro.
Eppure i bambini continuano a essere marginali.
Si continua a vederli come elemento da assistere e da accogliere. Ma dietro questi bambini non ci sono soltanto soggetti da alimentare e proteggere fisicamente. Ci sono bambini da far crescere come persone. Le diverse realtà che gli adulti governano, dal mondo dell’economia al mondo dell’educazione, devono essere attente al futuro dei ragazzi. Nella prassi questo vuol dire costruire momenti costanti di confronto. Un esempio? Chiediamo che nei consigli di amministrazione ci sia una rappresentanza del mondo dei giovani. Che nel mondo delle associazioni e delle istituzioni politiche ci sia una presenza non formale ma sostanziale di ragazzi che si preparano a dire, ad esempio, come devono essere organizzati i trasporti o come i momenti sociali di aggregazione. Ecco poi, il tema delle cosiddette baby gang si affronta con i ragazzi stessi.
In apertura foto di AP Photo/Michael Dwyer/LaPresse
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