Politica
Caffo: sull’infanzia il paese Italia ha perso terreno
Per Ernesto Caffo, fondatore e presidente di Telefono Azzurro, «è urgente far partire un dibattito serio sull’infanzia, perché l’infanzia è un tema centrale. Abbiamo troppi ritardi, che non possono essere superati prendendo scorciatoie»
«In Italia è urgente far partire un dibattito serio sull’infanzia, perché l’infanzia è un tema centrale. Abbiamo troppi ritardi, che non possono essere superati con delle scorciatoie o con interventi sporadici e scoordinati fra loro»: così il professor Ernesto Caffo, fondatore e presidente di Telefono Azzurro, lancia il suo appello alla politica e alle tante associazioni impegnate per e con i bambini. «Serve una rinnovata attenzione collettiva sull’infanzia – della politica e dell’opinione pubblica – fondata su una grande condivisione con mondo associativo, che mai come sull’infanzia è la vera forza del Paese. Ma per arrivare a questa coesione servono dei contenitori in cui le riflessioni possono essere fatte».
In queste settimane la politica e i giornali fanno un gran parlare di bambini e mai come ora si sente ripetere, per suffragare il proprio punto di vista, che è nel «supremo interesse del minore». Noi abbiamo provato a mettere in fila cinque punti da cui si deduce che la politica parla di interesse dei minori, ma forse in fondo dell’infanzia non le interessa poi tanto. Lei che ne pensa?
Ci sono una serie di difficoltà che vanno affrontate. Da una parte quelle che VITA ha già espresso, in primis l’adozione e la tutela minorile, sono area su cui occorre trovare risposte. Il calo delle adozioni ad esempio dice certamente di un settore non seguito con la dovuta attenzione, quel calo è un segale di disagio. L’altro tema è quali siano i percorsi per migliorare l’accoglienza, l’aiuto e il sostegno ai bambini, che richiedono competenze specifiche della giustizia, che sia attenta al bambino come soggetto: ipotizzare chiusura dei tribunali dei minorenni non va in questa direzione. Accanto c’è il fenomeno grave dei minori stranieri non accompagnati e dei minori scomparsi, non delegabile ai centri di accoglienza né alle misure di sicurezza. E ancora la violenza tra ragazzi e la rete. Il fil rouge del dibattito a mio parere deve essere questo, restituire attenzione ai bambini come soggetto.
A livello istituzionale, qual è la sua richiesta?
L’infanzia ha bisogno di un riferimento istituzionale, mentre noi non abbiamo nessun ministero né dipartimento dedicato. Abbiamo tantissime competenze sfilacciate tra una miriade di soggetti che spesso non parlano fra loro. Pari opportunità, esteri, giustizia, istruzione, economia, presidenza del consiglio dei ministri… c’è confusione, sovrapposizione, nessuno che abbia la regia e una strategia condivisa.
Alla vigilia delle ultime elezioni Telefono Azzurro fece un appello in cui chiese un Ministero per infanzia e l’adolescenza: se non un ministero, almeno una delega a un dipartimento specifico o un punto di riferimento formale e sostanziale. Oggi non c’è nessuno che sia un punto di appoggio e lavorare per le associazioni è difficilissimo, non ci può sempre appoggiare su singoli funzionari. È un problema che denunciamo da anni e che non riusciamo a risolvere. L’esito è la mancanza di una politica comune del Paese sull’infanzia, abbiamo sprechi perché manca il coordinamento. Abbiamo spese eccessive nell’accoglienza, come giustamente i media rilevano, un settore che di fatto non è presidiato dallo stesso controllo di qualità che esiste in altri paesi. Non riusciamo a usare bene i fondi europei dedicati e di conseguenza perdiamo opportunità, perché le competenze spalmante tra Stato, Regioni, Comuni regioni, si perdono in una filiera non coordinata.
Lo ha detto anche il Garante passato.
Si pensa che il Garante per l’infanzia possa risolvere il problema del coordinamento, in realtà non basta perché farà fatica a governare un processo che non è mai stato governato. La divisione dei compiti ha fatto sì che non sia facile dare un segnale di risposte organizzate, basti pensare che il Garante nazionale non riesce a coordinare nemmeno i garanti regionali e comunali! Anche noi abbiamo fatto moltissime attività con i garanti regionali o comunali, ma non lasciano il segno! Una parte del problema è che nella scelta dei garanti bisognerebbe coinvolgere molto di più il mondo associativo, non dico di fare delle “primarie” ma quasi. Per essere incisive queste figure devono nascere dalla collettività, devono essere fortemente sostenute, appoggiate, stimate da chi è esperto di questi ambiti. Ma anche avere la forza di farsi ascoltare dalle istituzioni, perché le cornici istituzionali servono.
Perché dice che serve una rinnovata attenzione collettiva sull’infanzia – della politica e dell’opinione pubblica?
Perché senza noi continueremo a dare ai bambini risposte superate e occasionali. È questo il nostro grande problema, citiamo continuamente l’infanzia ma essa non è al centro delle nostre politiche. Le faccio alcuni esempi: ha letto da qualche parte la notizia della nomina del nuovo Garante per l’Infanzia? No, è una nomina invisibile a tutti, da parte dell’opinione pubblica non vi è nessun tipo di percezione che sia stata nominata una figura importante. In Belgio e in Olanda è momento pubblico. E la giornata dei diritti dei bambini, il 20 novembre? Vogliamo paragonarla con l’attenzione che i media hanno per altri grandi temi o diritti, ad esempio – visto il giorno, 8 marzo – le donne? I bambini faticano ad essere al centro delle politiche e degli interessi collettivi. In questa assenza totale di interesse si fa un’enorme fatica oggi ad operare.
Ha parlato di risposte occasionali e superate: siamo messi così male?
Guardando i ragazzi, che vivono nella rete, nei social, che affrontano precocemente i problemi dell’età adulta, abbiamo l’urgenza di trovare modalità nuove di assistenza e di aiuto. Abbiamo risposte vecchie, sì, di accoglienza e di aiuto. Basti pensare che i servizi di salute mentali sono in strutture psichiatriche per adulti, non va bene. Se mi chiede se l’Italia ha progetti avanzati sull’infanzia… direi di no, almeno ho dei dubbi. Anni fa, ai tempi della 285, sì, ma oggi manca una rete, una cornice, gli interventi sono pochi e in sofferenza. Stiamo dando risposte vecchie, non possiamo rispondere ai bisogni dei ragazzi che oggi scappano di casa con le vecchie strutture di accoglienza e assistenza. Bisogna creare nuovi sistemi e nuove opportunità, modelli nuovi di accoglienza e nuove progettualità, perché i ragazzi sono cambiati. Tra l’altro sono capaci di fare molto più cose di un tempo e sono molto più attenti a darsi una mano l’uno con l’altro.
Al nuovo Garante, che messaggio vuole dare?
Mi auguro possa far capire al Paese che l’infanzia è un tema centrale, non marginale. Che il suo stesso ruolo venga percepito dalle istituzioni non come marginale, che le sue relazioni annuali riscuotano una magiore attenzione da parte di tutti, che si generi una visione collettiva e che si facciano cose concrete. L’ultima relazione di Spadafora era molto critica: se non è stato ascoltato significa che qualcosa non ha funzionato e dobbiamo capire perché nessuno, in politica, ha dato uno spazio alle stimolazioni che venivano dal Garante. Altrimenti siamo punto a capo.
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