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Caffo: «Contro violenza e terrorismo, rafforziamo il legame tra generazioni»

Da dove nasce la mancanza di empatia per l'altro che sembra segnare i recenti atti di violenza in Europa? «Integrazione e dialogo, queste le sfide. Più cresce il virtuale, più dobbiamo dare forte il senso del legame di comunità, investendo sulla solidarietà tra generazioni» ci spiega Ernesto Caffo, presidente di Telefono Azzurro che oggi a Roma presenterà l'anteprima del suo Bilancio sociale 2015

di Marco Dotti

Giovani senza meta, genitori disorientati. Generazioni in caduta libera che rischiano di radicare i gesti dei più fragili in una cornice "valoriale" distruttiva e autodistruttiva senza precedenti. Oggi è finito il tempo – tragico – dei sassi gettati dal cavalcavia. Si apre quello delle armi e di un drammatico esibizionismo che, a causa della rete, moltiplica gli effetti devastanti con un'eco globale e senza precedenti. Ieri, a Rouen, un diciassettenne è stato fermato per i fatti di sangue che hanno sconvolto la Francia. La settimana scorsa, è successo a Monaco. Abbiamo chiesto al professor Ernesto Caffo, professore di neuropsichiatria infantile all'Università di Modena e Reggio Emilia, fondatore e presidente di Telefono Azzurro, di aiutarci a capire.

Professor Caffo, quanto successo in questi giorni nasce anche da un retroterra di non risposte degli adulti?
Proprio così e, quando non ci sono risposte dagli adulti, all'orizzonte appare la fuga. Una fuga che, per alcuni, appare come di disagio, per altri di follia, ma che in realtà è espressione di una sofferenza. Una sofferenza che molti ragazzi stanno vivendo sulla propria pelle, perché in tanti eventi della vita, oggi, accanto a loro non hanno nessuno.

Eppure – si diceva – hanno la rete. O la rete è solo un altro luogo di estrema solitudine?
I ragazzi si rapportano tra di loro, nella rete, come se si guardassero attorno, annoiati, come se ci fosse per loro bisogno di nuove esperienze. Esperienze che possono essere anche fortemente negative, di identificazione in gruppo. In questo senso, possono esserci anche gruppi molto identitari o particolarmente distruttivi. Gli adulti, i genitori si sentono spesso inadeguati e questo li porta a chiedere aiuto a esperti. Ma il punto cruciale è che dobbiamo ricostruire le maglie di una comunità che guarda alle nuove generazione con grande interesse, con attenzione a interessi che sono cambiati. I ragazzi, oggi, hanno bisogno di avere una prestazione immediata di bisogni che vengono posti e imposti da mondi commerciali fortemente presenti accanto a loro. La spinta a fare certe scelte nasce da un marketing radicale che può essere politico, economico e di prodotto. Ma questi ragazzi sono comunque alla ricerca di guide che non sono quelle valoriali proposte dalla comunità, ma sono spesso quelle imposte loro dall'esterno…

C'è una fuga anche nel gioco, ma questa tocca anche i genitori e gli adulti… Gioco e violenza è stato un binomio molto studiato negli scorsi anni, ma anche qui le cose si sono rovesciate, spesso nel gaming online c'è più addestramento che gioco…
La fuga nel virtuale è molto presente non solo nei ragazzi ma anche in tutti coloro che in qualche modo vogliono seguire questo processo di innovazione che coinvolge la società e, d'altra parte, gli stimoli che vengono dati ricordano elementi che per alcuni toccano corde sensibili della loro infanzia. C'è anche il fatto che il gaming gli adulti frequentano molto di più che nel passato.

Perché a suo avviso?
Perché è un gaming molto coinvolgente, molto emotivo, anche se molto complesso. Al di là dell'azzardo, che Vita conosce bene, c'è tutto un mondo di giochi sullo smartphone a disposizione che spesso rubano la tranquillità e azzerano il dialogo. La rubano perché sono a portata di mano e hanno funzioni a cui "bisogna" rispondere. Sono d'altronde giochi spesso sociali, se così consideriamo i giochi che precipitano l'individuo in una rete, Questa vita "social" comporta delle problematiche…

Tutto è estremamente immersivo, ci precipita in ambienti che non sono né vituali né reali, ma un ibrido: pensiamo a Pokemon Go con il quale la "ludizzazione" è divenuta urbana, il "social" ha invaso le strade…
Pokemon Go appartiene a una categoria di giochi molto raffinati e molto stimolanti e ricchi. Sono giochi che si praticano costantemente online e, spesso, in connessione con altri giocatori. Questo gaming si muove, dunque, in una dimensione “social” che sta diventando sempre più importante. Un bambino è evidentemente attratto da questa dimensione che lo rende apparentemente autonomo dal piano locale, che lo proietta su risultati in cui si sente all’altezza anche più dei genitori o degli adulti… Essere primi, avere premi – il sistema di rewards di questi giochi è molto particolare e a sua volta complesso – comporta delle conseguenze…

Quali ad esempio?
Per esempio una condizione di disagio reale viene rovesciata nella rete. La povertà materiale può essere superata in un gioco semplicemente perché il giocatore è particolarmente abile e guadagna una serie di premi. Lo stigma reale può mutarsi o, comunque, convivere con un’autorevolezza nella comunità dei giocatori. Il gioco “veste” il suo eroe di nuovi strumenti che lo rendono più attraente, più forte, più visibile di quanto non sia nella realtà. Talvolta, per bambini in condizione di disagio, questa dimensione diventa prevalente. D’altronde, quando si passa dalla vita reale alla vita virtuale o quando si passa da giochi molto raffinati in cui è previsto sparare a situazioni in cui si può comprare una pistola vera, magari nel deep web, e infine usare la pistola per sparare a persone in situazioni che sono simili a quelle che già vissute ne videogioco. Nei giochi figure e personaggi sono spesso molto vicini a quelli reali. I piani emotivi, quantomeno, sono simili e questo è elemento di preoccupazione e la mancanza di empatia verso l’altro può diventare allarmante. Tanti gesti, tante azioni dei ragazzi che noi vediamo come violente sono in realtà incapacità di elaborare emozioni che hanno nella rete. Anche il mondo della psicologia e della psichiatria è, su questo punto, in forte ritardo. Abbiamo bisogno di intercettare questi elementi prima che diventino fonte di distruttività e, d’altra parte, oggi le esperienze che i ragazzi fanno sono molto, molto più complesse di quelle dei ragazzi che abbiamo curato per tanti anni.

Telefono Azzurro si sta muovendo in questo senso?
Il nostro obiettivo è quello di ascoltare i ragazzi. Questa è la nostra mission da trent’anni. Noi viviamo con i ragazzi e, anche nella nostra realtà quotidiana, viviamo con i ragazzi. Questo ci ha permesso di intercettare i problemi ancor prima di entrare in questa grande rete di cui facciamo parte. Quello che stiamo vivendo, in questi ultimi anni, è che a fronte di questo cambiamento dei giovani le risposte che stiamo dando nelle istituzioni sono fortemente limitate.

Nel concreto dove si presenta il problema?
Il problema è che riceviamo le richieste dei ragazzi ma mancano gli interlocutori: genitori, istituzioni, scuole. C’è spesso un ritardo di modelli di intervento, di aiuto e di ascolto nel mondo degli adulti. Questa è la cosa che cerchiamo di affrontare, con progettualità sempre più aperte a nuove esigenze. D’altronde, se guardiamo ai fenomeni migratori che ci stanno portando sempre più bambini che provengono da situazioni di guerra. Se non diamo risposte, anche ai traumi che portano con loro, difficilmente potremo integrarli nella nostra comunità.

E se non li integriamo dove finiranno quei bambini?
Si inseriranno in contesti di marginalità. Ecco allora che un gruppo fortemente attrattivo come l’Isis o Daesh potrebbe essere importante, soprattutto per chi è considerato un “escluso”.

Resta resta sempre nell'aria la domanda: che fare?
Dobbiamo mantenere un rapporto tra generazioni. Quando un ragazzo cresce, talvolta troppo precocemente – perché gli stimoli sociali, i nuovi media e i fenomeni migratori cambiano radicalmente la vita di un ragazzo – bisogna che accanto a lui ci siano degli adulti preparati, responsabili, maggiormente presenti e, dall'altra parte, educatori, una scuola attenta perché ci sia un colloquio con i ragazzi… I ragazzi devono poterci chiedere quello di cui hanno bisogno.

Anche se il prezzo è la vita?
La vita quanto conta per chi è in condizione di estremo disagio? Spesso conta poco, soprattutto tra gli adolescenti che sono a rischio di suicidio. Basta poco per fare uno shift e associare il suicidio a un’ideologia che può diventare importante per riscattare una vita che loro pensano sia persa e sia più virtuale o reale. I percorsi seguiti da questi ragazzi ci possono apparire folli, sono in realtà percorsi di un pensiero magico che è fortemente attrattivo. Dobbiamo attivare meccanismi per intercettarli, per contattarli. Sempre più quando si interviene è tardi. Dobbiamo invece sviluppare una forma di azione collettiva, tenendo conto che questo non è un tema da lasciare alle cronache. Dobbiamo fare un passo in avanti. Dobbiamo fare in modo che i ragazzi vivano nel mondo reale, fatto di passioni, emozioni, contatti veri. Altrimenti è chiaro che rischiamo di perdere intere generazioni e, a quel punto, non possiamo stupirci se emergono comportamenti fortemente distruttivi.

È un processo legato anche a elementi biologici: se si vive in un ambiente dove le emozioni sono giocate in un modo non sano, né equilibrato tutto diventa una situazione fortemente difficile. I ragazzi sono attratti da stimoli emotivi eccessivi, come quelli delle dipendenze patologiche: sono stimoli legati a una carica, non a un processo di crescita. Anche la ricerca affettiva, sui siti specializzati di una relazione spesso a sfondo puramente sessuale dà il senso di un'incapacità di mettersi in gioco sul piano emotivo. Per esempio non ci si mette in gioco nella relazione con l'altro e questo comporta delle conseguenze, perché l'altro viene vissuto come un elemento di ostacolo e negativo. Questo elemento si ripercuote anche sui genitori, non più vissuti come persone con cui condividere un percorso di vita comune a lungo termine.

Questa incapacità di legami presenti proiettati nel futuro sono compensati da fughe dalla realtà…
Si tratta di un elemento preoccupante, purtroppo presente nella vita dei ragazzi molto più di prima.

Voi a Telefono Azzurro come vi state muovendo rispetto a questa preoccupazione?
Il lavoro sulle piattaforme che stiamo facendo è forse la cosa più complessa e affascinante. Aiutare i ragazzi, incontrarli, capirli: oggi molto passa attraverso le infrastrutture di rete. Anche rispetto alla possibilità ulteriore di presa in carico. Essere in qualche modo il punto di contatto di una comunità che, accanto a sé, non trova risposte e si rivolge alla rete per risposta e aiuto. Altro elemento su cui lavoriamo è il far sì che i ragazzi diventino protagonisti del loro futuro, perché i ragazzi più grandi possano dare strumenti a quelli più piccoli: fornire strumenti di solidarietà tra generazioni, partendo dal fatto che i ragazzi possano essere maggiormente responsabili della loro vita all'interno di una comunità in cui si sentano cittadini e soggetti attivi. L'altro grande tema è quello del "fare ponte": stiamo lavorando per creare relazione con le generazioni anziane. Creare comunità, ricreare legami, recuperando le generazioni estreme per lavorare assieme e fare massa critica in una società che chiede ancora più forza per poter vivere in comune.

Questo aspetto della comunità è centrale, dunque?
Assolutamente centrale, Più aumenta il virtuale, più dobbiamo dare il senso della realtà e della vita quotidiana fatta di valori e di condivisioni, evitando la fuga verso situazioni non governate dalle persone ma da altri interessi, siano questi interessi speculativi, meramente finanziari, distruttivi o di odio.

In copertina: Getty

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