Salute
Caccia internazionale alle “spie” del Parkinson
La Michael J. Fox Fondation dà il via al primo maxi studio internazionale per identificare i biomarcatori della patologia
di Redazione
È partita la caccia alle “spie” del Parkinson, bersagli da colpire per sperare un giorno di vincere la malattia neurodegenerativa che colpisce 5 milioni di persone nel mondo, di cui oltre 200mila italiani.
La Michael J.Fox Foundation, fondata 12 anni fa dall’attore canadese colpito da una forma precoce di Parkinson, dà il via alla “Parkinson’s Progression Markers Initiative” (Ppmi), primo maxi studio internazionale dedicato esclusivamente all’identificazione dei biomarcatori associati alla patologia: sostanze, processi o caratteristiche dell’organismo associabili al rischio di Parkinson e alla sua progressione.
Finora restano misteriosi, mentre conoscerli significherebbe poter prevedere, diagnosticare e monitorare la patologia, ma anche capire quali terapie possono funzionare e quali no. Il progetto dovrebbe avere una durata di 5 anni, e nell’arco di questo periodo la Fondazione istituita dalla star di “Ritorno al futuro” prevede di stanziare 40 milioni di dollari. Il contributo iniziale è arrivato da Lily Safra, storica amica e membro della Commissione della Fondazione, nonché da partner industriali come Pfizer e la GE Healthcare.
Anche l’Italia è tra i Paesi coinvolti, con una rappresentanza guidata dal Centro per le malattie neurodegenerative (Cemand) dell’università di Salerno. Lo studio è coordinato dal responsabile ricerca della Michael J.Fox Foundation, Kenneth L. Marek, presidente e Senior Scientist dell’Istituto per le malattie neurodegenerative di New Haven in Connecticut; sarà condotto in 18 centri tra Stati Uniti ed Europa e seguirà un totale di 600 volontari, di cui 400 pazienti con Parkinson.
L’arruolamento è già iniziato in 6 centri, e sarà avviato anche in tutti i rimanenti entro la fine dell’anno. «Si tratta di un approccio rivoluzionario – spiega in una nota Maurizio Facheris, direttore associato dei Programmi di ricerca della Fondazione – Attualmente, i pazienti affetti da malattia di Parkinson possono accedere solo a trattamenti che alleviano provvisoriamente i sintomi. Trovando un biomarcatore, invece, i ricercatori avranno uno strumento di importanza vitale nella ricerca di terapie in grado di modificare realmente il decorso della malattia».
«Con i biomarcatori per la progressione della malattia di Parkinson nelle nostre mani – assicura Paolo Barone, responsabile del Centro Parkinson della regione Campania e a capo del progetto Cemand dell’università di Salerno – sarà possibile stabilire degli obiettivi per le sperimentazioni cliniche per i trattamenti. Senza dati concreti come un biomarcatore, è molto più difficile dimostrare se una terapia candidata riesce o fallisce nel rallentare il decorso della malattia nei pazienti affetti da Parkinson, al contrario del semplice trattamento dei sintomi della malattia».
Trattandosi di uno studio basato solo e unicamente sull’osservazione, Ppmi non testerà alcun farmaco sperimentale: i partecipanti si limiteranno a fornire una grande quantità di dati e campioni biologici, che saranno utilizzati nella ricerca dei biomarcatori.
Il progetto sarà open source: i dati e i campioni raccolti saranno cioè messi a disposizione di ricercatori qualificati esterni all’indagine, al fine di sviluppare più rapidamente i risultati. Gli interessati a seguire in tempo reale gli sviluppi della ricerca possono visitare il sito web scientifico dedicato. Questo studio assume un’importanza ancora maggiore se si considera che, attualmente, l’introduzione sul mercato di una nuova terapia per il sistema nervoso centrale richiede un investimento superiore a 1 miliardo di dollari e può necessitare oltre 9 anni. La scoperta di biomarcatori, confidano gli addetti ai lavori, potrebbe abbattere drasticamente entrambe le cifre rendendo più economica e rapida l’immissione di nuovi trattamenti sul mercato.
«Credo che stiamo per trovare la cura per la malattia di Parkinson, ma dobbiamo lavorare tutti insieme per far sì che avvenga. Finalmente si può fare qualcosa per aiutare a cambiare la vita di milioni di persone», ha commentato Michael J. Fox, l’attore ha creato la Michael J. Fox Foundation nel maggio del 2000, due anni dopo aver ricevuto la diagnosi. A oggi ha investito oltre 289 milioni di dollari in ricerca.
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