Formazione

C’è una chance anche per chi non aveva chance

Nel capoluogo lombardo la convenzione è stata sottoscritta un anno fa ed è operativa da sei mesi. Dari Cassata, presidente di Federsolidarietà Milano, stila un bilancio

di Francesco Agresti

E’ considerata un esempio, un modello da seguire. Quella firmata a Milano tra associazioni datoriali, sindacati, amministrazione provinciale e cooperazione sociale è una delle tre convenzioni, delle 10 sottoscritte e convalidate dalle Regioni, già operative. «Un lavoro», spiega Dario Cassata, 41 anni di cui 21 dedicati alla cooperazione sociale, presidente di Federsolidarietà Milano, «frutto di una lunga mediazione tra le posizioni di sindacati e imprese, inizialmente molto lontane». SocialJob: Quali sono le caratteristiche dell?accordo sottoscritto a Milano? Dario Cassata: La convenzione è stata firmata a ottobre del 2004 mentre la sua prima applicazione risale all?aprile del 2005: attualmente ne sono attive 25 grazie alle quali sono inserite circa 40 persone. L?accordo sottoscritto un anno fa è finalizzato all?inserimento di persone con disabilità gravi, in quanto a Milano gran parte delle persone con forme lievi di disabilità sono generalmente già occupate. Le convenzioni non possono riguardare più di un disabile se il datore di lavoro committente impiega fino a 50 dipendenti, o il 20% della quota d?obbligo dei lavoratori da assumere se l?impresa ne occupa più di 50. SJ: Quali sono state le difficoltà principali nel trovare un accordo che andasse bene a tutte le parti coinvolte? Cassata: Inizialmente le posizioni tra sindacati e imprese erano molto distanti. I primi, temendo che l?applicazione dell?articolo 14 potesse rappresentare un escamotage per le eludere la legge 68 sul collocamento obbligatorio, chiedevano di limitare al 10% l?aliquota d?obbligo dei lavoratori da assumere, mentre le imprese volevano avere campo libero senza alcun restrizione. Nel primo caso si rischiava di vanificare la sperimentazione per l?esiguità dei numeri, nel secondo, invece, rischiavamo di creare aspettative in soggetti deboli che potevano essere facilmente deluse se la sperimentazione non fosse andata a buon fine; inoltre, le cooperative avrebbero affrontato investimenti per adeguare le strutture produttive alle commesse senza avere alcuna garanzia sulla durata. SJ: Come ne siete usciti? Cassata: Abbiamo convinto, anche grazie a un lavoro di mediazione molto efficace dell?amministrazione provinciale, i sindacati ad alzare la soglia al 20% e le imprese a procedere con cautela ed esaminare con attenzione i casi in cui è possibile esternalizzare le commesse. Le imprese che finora hanno avviato delle intese con le coop sociali operano prevalentemente nel settore dei servizi. SJ: Quali sono state le difficoltà che, in sede di trattativa, avete dovuto affrontare? Cassata: La difficoltà è stata quella di convincere le imprese che le coop sociali non sono solo quelle che curano il verde e fanno le pulizie. Abbiamo faticato molto per far conoscere le nostre reali capacità produttive e per superare lo schema rigido che vedeva nelle imprese quelli che lavorano e in noi solo i bravi ragazzi che fanno del bene. Alle cooperative sociali è stato richiesto uno sforzo per adeguare la struttura organizzativa e renderla idonea a garantire il rispetto degli accordi commerciali. SJ: Quali sono gli effetti positivi di questo accordo? Cassata: Credo se ne possano individuare tre. Il primo è quello di aver consentito l?inserimento lavorativo a persone che non avrebbero avuto altre possibilità: si tratta, infatti, di disabili gravi che venivano rimbalzati da un corso di formazione a un altro senza alcuna reale prospettiva occupazionale. Secondo elemento positivo: si è creata una connessione stabile tra cooperative sociali e imprese con un riconoscimento da parte di queste ultime delle nostre capacità produttive e organizzative. Il terzo effetto positivo è stato quello di aver costruito una stretta collaborazione tra servizi pubblici, imprese e cooperative sociali. Commento La difficile verifica e da un punto di vista teorico l?articolo 14 pare in grado di costituire un nuova opportunità di inserimento lavorativo per i disabili, auspicabile è una seria verifica sul campo dell?efficacia e operatività delle convenzioni quadro. Questa verifica dovrà tenere conto di molte criticità nel lavoro di ricerca. Oltre alle difficoltà comuni, in generale, relative agli istituti introdotti dalla Biagi, dovute al fatto che rappresenta un?evoluzione non solo giuridica ma soprattutto culturale, la verifica relativa all?articolo 14 deve scontare le difficoltà già ravvisate da tempo in relazione ai lavoratori svantaggiati e disabili. Il rapporto Isfol 2004 mette chiaramente in luce alcuni aspetti non secondari: scarsità di informazioni, dati non omogenei, scarsa attenzione nelle rilevazioni alla offerta di lavoro e alle sue dinamiche. Da valutare, per esempio, saranno la capacità della normativa o, meglio, del sistema di governance territoriale previsto dall?articolo 14, di attrarre al lavoro persone con disabilità che altrimenti rimarrebbero inattive, con dispersione di risorse umane ed economiche. Saranno da individuare e valutare anche le sinergie prodotte nel sistema di governance tra servizi per l?impiego, operatori privati e servizi sociali. Niccolò Persico, Ricercatore Adapt – Centro studi Marco Biagi Indagini Cooperative di tipo B, facciamo il punto Un?indagine promossa da Federsolidarietà verso la Conferenza programmatica del 2006, per cercare di interpretare meglio alcuni dati non sempre positivi che caratterizzano le cooperative di tipo b. Due le questioni su cui lavoreranno i ricercatori di Issan: la cooperazione sociale si è evoluta diventando un fenomeno di nicchia oppure è un fenomeno diffuso e presente? Ha sfruttato appieno e a proprio vantaggio (o a vantaggio dei propri stakeholder) le novità introdotte dalla normativa?


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