Welfare

C’è Rifondazione alla porta del welfare

L’ala radicale dell’Unione vuole quella poltrona. Forte anche del fatto che il candidato “perfetto” di Prodi, Tiziano Treu, non è ben visto dalla Margherita.

di Ettore Colombo

Le grandi manovre per la composizione del nuovo governo Prodi sono cominciate da tempo. E, per capirsi, non attendono né la convocazione delle nuove Camere né il gioco a incastri delle prossime scadenze istituzionali (elezioni dei presidenti di Camera e Senato, elezione del presidente della Repubblica). Né, tantomeno, le forche caudine dei tempi sempre più dilatati, tra i ricorsi della Cdl alla Corte di Cassazione sul computo dei voti e lo slittamento che l?attribuzione dell?incarico a Prodi per la formazione dell?esecutivo certamente subirà a causa del mancato incastro tra inquilino di palazzo Chigi e quello del Quirinale. Lo ?spacchettamento? I partiti hanno già chiare le loro mire, Prodi ha in mente gli uomini. Resta solo da capire chi andrà dove. Una delle partite più interessanti e insieme più sottotraccia si gioca sulla poltrona del Welfare. Innanzitutto si fanno sempre più consistenti le voci circa un suo possibile ?spacchettamento? (identica sorte dovrebbe toccare al superministero dell?Economia) tra Lavoro in senso stretto e Politiche sociali. Un modo per accontentare sia l?ala riformista che quella radicale dell?Unione. Entrambe hanno infatti messo gli occhi sulla sedia di via Veneto, che vedrà tra i suoi primi atti uno dalla fortissima valenza simbolica, cosa fare della legge Biagi (o legge 30 o legge Maroni come preferisce chiamarla sia il programma dell?Unione che la sua ala più estrema). Mentre le parti sociali più moderate (dalla Cisl a Confindustria) tifano con fervore perché il nome – e la fisionomia – del futuro ministro sia il più possibile ?riformista? e indicano in Tiziano Treu, già ministro del Lavoro e buon amico di Prodi (che ha visto in via riservata a Pasqua in Umbria) il ?ministro perfetto? ma che ha il difetto di quotazioni molto in ribasso dentro il suo partito, i Dl. E poi l?ala radicale dell?Unione rivendica quella poltrona per sé. Diliberto, poche chance Ma se il nome che più circola, quello del segretario del Pdci Olivero Diliberto, ha poche chanche di riuscita non foss?altro perché la voce sempre più insistente che circola è che il Pdci potrebbe orientarsi sul solo appoggio esterno al governo, quella di lasciare la casella libera per un esponente di Rifondazione comunista è sempre più consistente. Molti i fattori che concorrerebbero a determinare la scelta: le quotazioni in ribasso di Giuliano Pisapia alla poltrona della Giustizia (i magistrati vicini ai Ds si oppongono alla sua nomina) e la necessità di attribuire al Prc, con la presidenza della Camera a Bertinotti (data sempre più certa), almeno un ministero ?di peso? oltre a uno più ?leggero?. In questo caso, però, il nome più accreditato non sarebbe quello del numero due del Prc, Franco Giordano ma quello del responsabile Lavoro del partito, Paolo Ferrero, che del partito è il numero tre. In realtà, tra i due contendenti potrebbe spuntarla un terzo nome, quello del responsabile Lavoro dei Ds, Cesare Damiano, riformista doc ed ex esponente della Cgil, che il programma dell?Unione sul lavoro lo ha materialmente steso, sotto la diretta ispirazione di Treu. Ed è proprio la troika citata (Treu-Damiano-Ferrero) quella che, in qualsiasi caso, si aggiudicherà la poltrona del Welfare: con Treu (o Damiano o Ferrero) in qualità di ministro e uno dei secondi due come viceministro (Ferrero alle Politiche sociali è la soluzione più probabile) mentre l?altro farebbe da sottosegretario al primo. Un passo indietro Peraltro, un ministro neo comunista o comunque troppo sbilanciato a sinistra potrebbe ritrovarsi contro buona parte – se non tutta – della pianta stabile dell?organico. I timori che aleggiano in via Veneto, infatti, sono principalmente due: quello di trovarsi con un ?massacratore? della legge Biagi (che non solo è legge dello Stato con relativi decreti attuativi ma di cui si può già fare un bilancio), e il timore di una figura ministeriale che chieda di tornare indietro, in merito alle scelte di politica sociale, a una inversione di tendenza rispetto ai principi – e alle norme attuative – che fanno della sussidiarietà e del welfare familiare e societario un perno del corso impresso dal duo Maroni-Sacconi che ha in questi anni retto le sorti del dicastero. Una via dalla quale, notano orgogliosi ai piani alti di via Veneto, nemmeno la ex ministra Livia Turco intendeva tornare indietro, come ha detto a più riprese in convegni pubblici e riunioni ?carbonare?. Ma se c?è una cosa certa, è il rammarico: che la Turco non tornerà a sedersi su quella poltrona.


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