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Bye bye liquidazione

La “rivoluzione” del nuovo Tfr vista dall’osservatorio delle imprese non profit. Da un lato, i rischi per la capitalizzazione; dall’altro, le opportunità offerte dai fondi pensione

di Redazione

La parola flop per il momento è bandita. Si preferisce lo slalom semantico di «strada in salita», «scarso entusiasmo dei lavoratori», «mancanza di adeguata informazione». Tant?è che a quattro mesi dall?entrata in vigore della riforma del Tfr e a 60 giorni alla scadenza fatidica del primo luglio, solo un dipendente su quattro ha preso la sua decisione. Stando al recente sondaggio di Assogestioni, la platea di 9,5 milioni di persone interessate alla rivoluzione del sistema previdenziale vive ancora nell?incertezza. Forse deciderà all?ultimo minuto. O, con maggiore probabilità, si lascerà trasportare dall?abbraccio della legge che prevede, in assenza di dichiarazione esplicita all?azienda sul destino del proprio Tfr, il conferimento automatico al fondo negoziale.

Finora 17 lavoratori su 100 hanno scelto di mantenere il Tfr in impresa, 8 su 100 hanno optato per i fondi negoziali chiusi (quelli di categoria), mentre percentuali molto piccole sono andate ai fondi aperti (0,6%) e ai Pip e Fip (Piani individuali previdenziali). Tutti gli altri – 74 su 100 – circa 7 milioni di persone, per ora, tacciono. Insomma dati molto lontani dal 40% di adesioni auspicato dal ministro del Lavoro, Cesare Damiano.

Numeri bassi

Per il mondo cooperativo questo sonnecchiante trend ha una lettura a due facce. Da un lato c?è la soddisfazione controcorrente dei fondi, come Cooperlavoro e Previcooper, per il buon andamento dei nuovi iscritti (oltre duemila da inizio gennaio) e ottimi rendimenti (8,46% per Cooperlavoro, numero quattro nella classifica dei fondi chiusi). Dall?altra però cresce l?insoddisfazione dei protagonisti del terzo settore, un?amarezza espressa peraltro con forza al legislatore.

«Un disastro. Non si può chiamare altrimenti la situazione in cui viviamo. Siamo penalizzati due volte, sia come aziende che come soci lavoratori». Per Felice Romeo di Legacoopsociali Lombardia non c?è spazio per i mezzi termini. La sua sentenza è senza appello. «Il risultato di questa riforma è che le cooperative di medie dimensioni, che già scontano problemi di sottocapitalizzazione, si troveranno presto a corto di liquidità. Insomma, libere di chiudere i battenti o di morire per mancanza d?aria». E poi precisa: «L?unica via di uscita è scovare nuovi strumenti finanziari per sopperire alla mancanza di risorse in cassa. Anche perché la nostra proposta, di escludere le onlus, non è stata neppure presa in considerazione dal legislatore».

Gli fa eco Giacomo Libardi, vicepresidente di Cgm. «Il meccanismo del nuovo Tfr è stato pensato per il lavoratore classico. Chi è impegnato nel non profit, evidentemente, è un soggetto che sfugge agli interessi del governo». Faccia un esempio… «Penso ai soci delle cooperative sociali di tipo B, dove il 60% del personale è part time. La capacità di accumulare risorse per la previdenza è minima, e allo stesso tempo spoglia la coop di risorse importanti».

L?altra questione che preoccupa la galassia cooperativa è legata al processo inarrestabile di finanziarizzazione della società. «La riforma», dice Libardi, «contiene in sé diversi rischi e poche opportunità. I fondi pensione dovrebbero avere la funzione di enti stabilizzatori del territorio rinunciando al solo aspetto speculativo».

L?etica non va in pensione

La partita in corso è di quelle toste. Assicurarsi una vecchiaia dignitosa grazie al contributo della previdenza complementare. E allo stesso tempo investire in ?buone azioni?. Giuseppe Zadra, direttore generale dell?Abi, ha definito il Tfr la grande occasione di rilancio della finanza etica.

Ad oggi però, di pari passo con l?incertezza dei lavoratori, anche i fondi pensione sono indecisi. Sono infatti solo una manciata quelli che hanno puntato la bussola sugli investimenti socialmente responsabili. Ci sono Teseo di Reale Mutua, Aequalits di Banca Popolare Etica, la linea Csr di Banca Lombarda, e pochi altri ancora.

Anche i fondi chiusi cooperativi si stanno muovendo. Luigi Coppini, presidente di Previcooper, annuncia: «Entro qualche mese partiremo con la linea etica. Il nostro bacino di utenza, di lavoratori della distribuzione, è particolarmente sensibile alle tematiche sociali. E noi non li deluderemo, offrendo un prodotto impeccabile per rendimenti ma anche socialmente responsabile».

Cooperlavoro, invece, ha già anticipato i tempi. Spiega Flavio Casetti, responsabile dell?Unità fondi: «Collaboriamo con i rating di Avanzi Vigeo per passare al setaccio i titoli selezionati dai nostri gestori. Una scelta che si sposa con i valori della cooperazione».

Insomma, se gli italiani sono rimasti freddi alla rivoluzione della previdenza complementare significa che manca ancora qualche ingrediente alla ricetta salva pensioni. Tante norme, leggi e leggine, percentuali, titoli azionari, obbligazionari e benchmark di cui fino a ieri non si sospettava neppure l?esistenza. C?era la liquidazione prima, ora un vocabolario per tecnici della finanza. Forse qualche parola rassicurante, in mezzo ai geroglifici dei prospetti informativi, non avrebbe fatto male. E chi ha scelto questa strada, puntando su investimenti socialmente responsabili, sta portando a casa risultati. Lo dimostra lo spot che la Cgil sta facendo girare su molti organi di informazione, in cui la scelta di una linea etica degli investimenti del fondo Cometa viene messa tra le principali motivazioni della scelta. Chi non segue questa scelta è in affanno.

Non sia mai che la finanza etica possa conquistare i cuori dei fanatici dei super-rendimenti a tutti i costi.


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