Sostenibilità

Buttiamo 1,3 miliardi di tonnellate di cibo nella spazzatura

E' questa la quantità di prodotti agricoli e alimenti che ogni anno si spreca nel mondo. Un'enormità che basterebbe, se recuperata, a sfamare altri due miliardi di persone sul pianeta. Senza contare le conseguenze sull'ambiente

di Gabriella Meroni

Come fare per produrre quel 70% in più di cibo che servirebbe per sfamare, di qui a 30 anni, i 9 miliardi di abitanti che popoleranno il pianeta? Semplice: non sarà necessario, se smettiamo subito, ora, di sprecare il cibo che già si produce sulla terra. E' questa la tesi dell'ultimo studio Fao relativo proprio alla riduzione dello spreco alimentari e alle sue conseguenze.
Secondo gli esperti dell'organizzazione Onu, se si riuscisse a ridurre significativamente lo spreco, la mecesssità di produrre nuovo cibo si ridurrebbe del 60%. Invece, la perdita della incredibile quantità di 1,3 miliardi di tonnellate di cibo l'anno non solo causa gravi perdite economiche, ma anche grava in modo insostenibile sulle risorse naturali dalle quali gli esseri umani dipendono per nutrirsi.
Il rapporto Food Wastage Footprint: Impacts on Natural Resources (L'impronta ecologica degli sprechi alimentari: l'impatto sulle risorse naturali) è il primo studio che analizza l'impatto delle perdite alimentari dal punto di vista ambientale, esaminando specificamente le conseguenze che esse hanno per il clima, per le risorse idriche, per l'utilizzo del territorio e per la biodiversità.
Il rapporto evidenzia che: ogni anno, il cibo che viene prodotto, ma non consumato, sperpera un volume di acqua pari al flusso annuo di un fiume come il Volga; utilizza 1,4 miliardi di ettari di terreno – quasi il 30 per cento della superficie agricola mondiale – ed è responsabile della produzione di 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra. Oltre a questo impatto ambientale, le conseguenze economiche dirette di questi sprechi (esclusi pesci e frutti di mare), si aggirano secondo il rapporto intorno ai 750 miliardi di dollari l'anno.
Secondo lo studio FAO, il 54 per cento degli sprechi alimentari si verificano "a monte", in fase di produzione, raccolto e immagazzinaggio. Il 46 per cento avviene invece "a valle", nelle fasi di trasformazione, distribuzione e consumo. In linea generale, nei paesi in via di sviluppo le perdite di cibo avvengono maggiormente nella fase produttiva, mentre gli sprechi alimentari a livello di dettagliante o di consumatore tendono ad essere più elevati nelle regioni a medio e alto reddito – dove rappresentano il 31/39 per cento del totale – rispetto alle regioni a basso reddito (4/16 per cento).
Il rapporto fa notare che più avanti lungo la catena alimentare un prodotto va perduto, maggiori sono le conseguenze ambientali, dal momento che i costi ambientali sostenuti durante la lavorazione, il trasporto, lo stoccaggio ed il consumo devono essere aggiunti ai costi di produzione iniziali.
Lo spreco di cereali in Asia è un problema grave, che ha grandi ripercussioni sulle emissioni di carbonio, sulle risorse idriche e sull'uso del suolo.  Nella coltivazione del riso questo è particolarmente evidente, in considerazione dell'elevata emissione di metano che la sua produzione comporta e del grande livello di perdite. Mentre il volume degli sprechi di carne in tutte le regioni del mondo è relativamente basso, il settore carne genera un notevole impatto sull'ambiente, in termini di occupazione del suolo e di emissioni di carbonio, in particolare nei paesi ad alto reddito e in America Latina, che insieme sono responsabili dell'80 per cento di tutti gli sprechi di carne.  
 

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