Il regime criminale di Blaise Compaoré, presidente-padrone del Burkina Faso, si è finalmente dissolto dopo lunghi anni di tirannia. Si tratta di evento importante e dunque da non sottovalutare nel contesto della geopolitica dell’Africa Subsahariana. Anzitutto perché, rispetto a quanto accaduto in altri Paesi della regione, è stato il popolo a chiedere le sue dimissioni. La goccia che, per così dire, ha fatto traboccare il vaso, è stato l’annuncio di una riforma costituzionale per consentire a Compaoré di prolungare ulteriormente il suo mandato, dopo aver ucciso, 27 anni fa, il suo predecessore, il carismatico Thomas Sankara. Di fronte al crescente malessere che già da tempo covava tra la gente, Compaoré si era poi detto disposto a rinunciare al progetto di riforma costituzionale, in cambio di un prolungamento del suo mandato, cosa che ha fatto infuriare ancora di più la popolazione. Sta di fatto che ora il potere è nelle mani di una giunta militare che ha annunciato una transizione, in vista di nuove elezioni entro 90 giorni. Naturalmente, gli osservatori invitano alla prudenza, non foss’altro perché bisognerà vedere fino a che punto i militari saranno in grado di creare le condizioni per un passaggio dei poteri ai civili, nel rispetto delle prerogative di uno stato davvero democratico. Per dovere di cronaca, è bene rammentare che ieri i militari hanno fatto la voce alta, mettendo a tacere migliaia di manifestanti – uno dei quali è rimasto ucciso – che contestavano la presa del potere da parte del leader della giunta militare, il colonnello Isaac Zida, 49 anni. In serata, poi, i militari hanno assicurato che garantiranno un processo di transizione democratico, al termine di un incontro con tutti i principali leader dell’opposizione.
Da rilevare che l’ex presidente Compaoré comunque è al sicuro. Si sta già godendo il suo esilio dorato in Costa D’Avorio, nella residenza a cinque stelle del suo compagno di merende, il presidente Alassane Ouattara, a Yamoussoukro, dove è arrivato venerdì sera con molti familiari e collaboratori. Chissà che non venga in mente a qualcuno dalle parti dell’Aja e dintorni di processarlo per i crimini perpetrati in questi anni. Sarà comunque difficile (temo…) se si considerano le complicità, soprattutto da parte della Francia, nelle nefandezze compiute in questi anni da Compaoré. Una cosa è certa: se questo agognato cambiamento dovesse verificarsi in Burkina Faso, esso costituirebbe un precedente nell’intero scacchiere africano e rappresenterebbe un monito per tutti quei personaggi, veri e propri dinosauri della politica, che da decenni dominano la scena continentale, dall’ugandese Yoweri Museveni al camerunese Paul Biya, per non parlare dell’inossidabile presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe.
Come era prevedibile, l’uscita di scena di Compaoré preoccupa non poco le diplomazie occidentali, in quanto il suo governo costituiva una sorta di baluardo contro il fenomeno del jihadismo che ha interessato vasti settori della fascia saheliana, soprattutto dopo la caduta del regime di Muammar Gheddafi. Il “Paese degli uomini integri” (questo significa Burkina Faso) è tra i più poveri al mondo. C’è da augurarsi che sappia interpretare al meglio il sogno di Sankara: “Per ottenere un cambiamento radicale bisogna avere il coraggio d’inventare l’avvenire”.
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