Mondo

Buona politica e cooperazione per affrontare le crisi

Le riflessioni di Nino Sergi, presidente di Intersos – Link2007 su Iran e Ucraina

di Nino Sergi

Ci voleva la guerra lanciata in Iraq dalle fanatiche milizie dell’Isis per smuovere la politica e renderla capace di guardare oltre e di superare ciò che regolarmente ci è presentato come “impossibile”. L’impossibile dialogo con l’Iran, paese dell’asse del male, diviene ora per gli Usa, e di conseguenza per l’Occidente, necessario e conveniente. Si sbagliava negli anni passati o si sta sbagliando ora? Molti sono i dubbi sulla lucidità e adeguatezza delle decisioni passate. Quando ci si reca in Iran, si rimane sbalorditi dalla differenza tra la realtà che si vede, si incontra, con cui si parla e l’immagine per lo più negativa che ci è stata trasmessa e che abbiamo interiorizzato, anche in Italia.

La ricca storia millenaria, l’arte, la cultura, l’istruzione diffusa, le persone – con le loro aspirazioni, il desiderio di apertura al mondo, la voglia di vivere e di essere liberi delle nuove generazioni, la capacità di convivere -, l’islam sciita, utilizzato e strumentalizzato dal potere, certo, ma assolutamente non fanatico, liberamente praticato o non praticato, un’economia e un’attività produttiva che, senza le sanzioni internazionali, potrebbe generare un fiorente sviluppo al paese ma anche ai suoi partner economici, tra cui l’Italia …sono tutti aspetti che non sono adeguatamente trasmessi quando si parla di Iran.

Quanto ai rapporti tra l’Italia e la Persia, stiamo sottovalutando che risalgono a otto secoli fa, con successivi e intensi scambi commerciali e culturali, da quelli con la repubblica di Venezia e il granducato di Toscana, fino alle più recenti relazioni tra istituti universitari, enti di ricerca scientifica, e ai rapporti in campo economico, commerciale, industriale. Mi ha positivamente sorpreso la recente pubblicazione in Iran di un libro di un centinaio di pagine in italiano, Lo specchio della cultura, curato da Mohammad Hossein Riyahi, sulle centenarie relazioni culturali tra Isfahan e le città italiane.

Dobbiamo fare di tutto per non disperdere ciò che è stato così meravigliosamente costruito. L’interesse dell’Italia è certamente quello di riprendere e sviluppare ulteriormente, pur nel rispetto delle decisioni internazionali, queste relazioni con l’Iran, in parte perse e in parte sospese a causa di sanzioni internazionali che, va detto, pesano sulla popolazione e poco o nulla sui responsabili politici che si vorrebbero colpire.
Ben venga quindi l’apertura del dialogo con l’Iran e la ripresa della buona politica. L’Italia non perda quest’occasione per riaprire, il più ampiamente possibile, i rapporti di cooperazione con questo paese e la sua gente, sfidando la stessa dirigenza iraniana sulla strategia di apertura del presidente Rohani.

Anche l’Ucraina richiederebbe un ritorno alla buona politica: quella basata sulla capacità di dialogo e sulla volontà di cooperazione, quella che il nostro Paese dovrebbe assumere come propria, in ogni occasione, facendola valere nelle sedi europee e internazionali.

Non era difficile prevedere che la situazione ucraina andasse peggiorando. Non si è stati capaci di pensare a forme nuove di negoziato, basate sul dialogo politico, meno costoso e certamente più efficace, piuttosto che sulla forza, molto costosa, anche in vite umane, e quasi mai risolutiva. Gli esempi, in questi ultimi decenni, sono moltissimi, ma la politica continua ad essere incapace di trarne gli evidenti insegnamenti.

È così impossibile, nell’azione politica internazionale, partire dall’interesse del paese in difficoltà invece che dagli interessi europeo, russo, americano o altrui, che nell’immediato dovrebbero sempre rimanere sfumati perché antitetici e spesso inconciliabili? E’ così impossibile mettere al centro non tanto l’interesse di parte ma l’interesse comune, più solido e duraturo, data anche la profonda interdipendenza economica esistente tra Ue, Occidente e Russia?

I paesi a cavallo tra due aree geopolitiche in competizione economica, politica e culturale dovrebbero essere accettati come sono, paesi-cerniera, senza spingerli a scelte di campo laceranti. L’Ucraina ha un piede ad Est e l’altro ad Ovest, con un’ampia parte della popolazione schierata in questa duplice e contrapposta tensione. Un’attiva e aperta neutralità converrebbe certamente all’Ucraina, ma anche a tutti i paesi confinanti. Un paese non membro dell’Ue, né dell’Unione eurasiatica, ma con una forma di attiva neutralità riconosciuta, aperta a rapporti politici, economici, culturali e ad accordi di partenariato con entrambe le entità, potrebbe meglio garantire la propria unità territoriale, la convivenza delle diverse nazionalità, il proprio sviluppo economico, insieme a quello culturale radicato nella storia e nei legami con aree sia russe che europee.

Potrebbe al contempo rappresentare un punto magnetizzante tra l’Ue, l’Occidente e la Russia e potrebbe rafforzarne il rapporto politico, la fiducia reciproca, l’interesse e il bene comune, la pace. Il neopresidente ucraino Poroshenko ha deciso di formare l’accordo di associazione con l’Ue. Si tratta certamente di un successo per l’Unione europea. Rimane però forte il dubbio che tale decisione contribuisca possa contribuire alla soluzione dei problemi ucraini.

Anche per l’Ucraina, la politica del dialogo e delle cooperazione, tra tutti i paesi coinvolti, è l’unica che può affrontare e risolvere la crisi. L’Italia può certamente dare un valido contributo, valorizzando fortemente, nel semestre di presidenza Ue, l’azione di dialogo diplomatico e politico intrapresa.


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