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Buona causa, cioè buon investimento
Uno studio sulle donazioni delle imprese italiane consente di guardare la sostenibilità aziendale sotto un profilo concreto. Hi-tech le migliori
È un?industria del settore delle nuove tencnologie o una banca, ha un fatturato di oltre 50 milioni di euro e più di 300 addetti: è l?azienda donatrice media, secondo una ricerca realizzata da Experian research.
Il prototipo dell?impresa responsabile proviene da un campione significativo: 800 aziende estratte casualmente dal mazzo delle 8.618 sopra i 100 adetti, presenti nel nostro Paese. Per contro, il profilo dell?impresa ?irresponsabile? e non è disposta a investire nel sociale è quello di un?impresa di servizi, con un numero di addetti fra 100 e 200, e che dichiara redditti più bassi della media.
La ricerca consente di mettere a fuoco due piccoli universi imprenditoriali: quello delle imprese donatrici, 352 su 800, pari al 44%, e quello delle aziende che decidono di non farlo, 448, ovvero il 56% del campione.
Come si sviluppa la propensione all?investimento sociale nei vari settori produttivi? La ricerca dimostra che le imprese che hanno finanziato (o che hanno intenzione di farlo nell?anno successivo) i progetti sociali abbondano nel settore bancario (72,5%), nelle industrie hi-tech (54,5%), nel commercio (52%). Il settore tecnologico assicura però il gettito di donazioni di gran lunga maggiore: pur rappresentando solo il 10,2% dei donatori, copre da solo quasi la metà (48,9%) delle cifre erogate.
Per contro, l?industria tradizionale, cui appartiene il 53,7% dei benefattori, contribuisce solo con il 40,2% dei finanziamenti. Le banche danno un contributo proporzionale alla loro presenza: 7,8% contro 8,2%.
Le 352 aziende donatrici riversano su ambiente, cultura e solidarietà circa 285 milioni di euro che, rapportati al totale delle imprese con queste caratteristiche, fanno stimare un gettito annuo di 750 milioni (con 343 milioni sull?area ambientale, pari al 46,4% e 200 su quella della solidarietà, pari al 27%).
Per quanto riguarda l?entità dei contributi, il 35,5% entro 10mila euro e il 21,9% fra 10 e 25mila. Gli interventi milionari, fra 500mila e 1 milione e oltre, rappresentano insieme il 5,4% degli investimenti.
Il sociale piace
In valore assoluto, è la solidarietà sociale a raccogliere la maggior parte degli investimenti (79,3%), seguita da mostre e manifestazioni culturali (41,8%), restauro d?opere d?arte (10,5%), difesa dell?ambiente (14,8%). In rapporto ai finanziatori, l?indagine spiega che le banche prediligono le mostre (30,6%) e snobbano l?ambiente (1,6%), il commercio è maggiormente incline alla solidarietà (52,4%), così come il settore trasporti (50,1%), mentre all?hi-tech spetta il record positivo in conservazione ambientale (90,1%) e negativo in azioni umanitarie (4%).
Per il futuro, le aziende pensano di lasciare sostanzialmente immutato il proprio budget etico ambientale: 78 su 100 non prevedono infatti l?aumento di questa voce, contro un 15% che prevede maggiori investimenti e un altro 5,7% che invece programma una diminuzione.
Fra le motivazioni che spingono alla donazione, l?affidabilità dell?associazione è al primo posto: la pensa così il 56,6% dei donatori.
L?immagine più della mission
Fra gli altri fattori, troviamo il ritorno di immagine all?esterno (24,7%), il contributo sociale dell?iniziativa (23,1%) e la rispondenza della stessa con la mission aziendale (18,7%).
A rivelare in quale contesto viene inquadrata l?attività benefica, c?è il sondaggio sulla percezione della corporate social responsability. Secondo il 40,1% dei donatori è tenuta «in alta considerazione», mentre un 47% risponde che la responsabilità aziendale è «abbastanza» considerata. Per arrivare ai giudizi negativi, «poco considerata», bisogna fare un salto fino al 9,6%. Bassissimo (1,1%), il dato di coloro che rispondono «per niente».
Le aziende che non donano sono concentrate nel settore dell?industria tradizionale (56%), adducendo motivi come la «mancanza di interesse» (33,9%) e la «mancanza di fondi» (31%), mentre una significativa percentuale (5,7%) ammette la propria disinformazione rispetto alla iniziative filantropiche e culturali. Nessuna foglia di fico, dunque, e questo è già un buon punto di partenza per cominciare parlare di responsabilità sociale.
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