Adolescenti e ragazzi
Bullismo, gesto estremo per riempire vuoti interiori
Che ruolo abbiamo nel percorso di crescita dei nostri ragazzi? Quali sono le radici del bullismo? Quali sono gli effetti di questi comportamenti sui ragazzi più fragili? Domande a cui, dopo il suicidio del ragazzo di Senigallia, provano a dare risposta Ivano Zoppi, direttore di Fondazione Carolina e Antonella Brighi, autrice insieme a Annalisa Guarini del libro “Cyberbullismo a scuola. Percorso di prevenzione per muoversi consapevolmente in rete”
Leonardo, 15 anni, non c’è più. Nella notte tra il 13 e il 14 ottobre si è tolto la vita in un casolare nelle campagne di Senigallia, in provincia di Ancona. Aveva confidato ai genitori di essere oggetto di vessazioni da parte di alcuni coetanei. Ma neanche il sostegno della famiglia è bastato a evitare che arrivasse a compiere un gesto così estremo.
Davanti a Leonardo, e ai tanti ragazzi come lui, è inevitabile interrogarsi sul ruolo che come adulti abbiamo nel percorso di crescita dei nostri ragazzi. Su quali sono le radici del bullismo, del bisogno di prendere di mira un coetaneo senza comprendere le conseguenze. Sugli effetti di questi comportamenti.
«Con il loro gesto questi ragazzi riempiono dei vuoti interiori», spiega Ivano Zoppi, direttore di Fondazione Carolina che aiuta i ragazzi che, sempre più in tenera età, si fanno del male tra loro usando la rete in maniera distorta e inconsapevole. «Sono ragazzi che hanno bisogno di affermarsi e di essere considerati. Credono che attraverso il loro gesto possano essere visti dagli altri. La nostra esperienza ci fa dire che il comportamento di questi ragazzi riflette un fallimento della comunità educante che non è più in grado di trasmettere loro il valore di quello che sono, nella loro unicità, a prescindere dal giudizio degli altri. Come adulti abbiamo il dovere di ricominciare a educare i ragazzi a gestire le emozioni a cominciare dalla rabbia che non sanno più elaborare».
Reale e virtuale come vasi comunicanti
La vita relazionale dei ragazzi è sempre più vissuta in maniera fluida tra gli spazi reali e quelli virtuali e questa condizione sta cambiando la percezione delle loro emozioni. Secondo Antonella Brighi, autrice insieme a Annalisa Guarini del libro “Cyberbullismo a scuola. Percorso di prevenzione per muoversi consapevolmente in rete” edito da Erickson: «la comunicazione sui social non permette di vedere le reazioni del nostro interlocutore alle nostre azioni. Viene meno il vissuto empatico, non ci identifichiamo più nell’altra persona. Invece, nella vita reale percepiamo immediatamente cosa le nostre azioni provocano nell’altra persona. Nella rete si ha quasi la sensazione di poter fare le cose senza dover tener conto delle conseguenze. Possiamo dire che il mondo online genera una sospensione dalle regole morali che normalmente ci dovrebbero essere. Il problema è che questo modello di comportamento viene trasferito dai ragazzi anche nella vita reale».
Dunque i contesti reali e virtuali diventano come dei vasi comunicanti non distinti nella mente degli adolescenti. È così che la vittima senza accorgersene rischia di ritrovarsi schiacciati da «una moltitudine di persone che gli rimando l’immagine di fallito, sbagliato e che è meglio che “si tolga dalla faccia della terra”», prosegue Brighi, «tutto questo è devastante per la mente di un ragazzo sia che questo accada nella vita reale che in rete. A schiacciare è spesso la vergogna dell’esposizione del sé a un’audience praticamente infinita».
Bullismo: il ruolo di chi guarda
Le dinamiche di bullismo o cyberbullismo non coinvolgono solo la persona che agisce e quella che subisce. Fondamentale è il ruolo di chi assiste perché spiega Brighi: «chi è spettatore di un atto di sopraffazione su un amico, sia esso nella vita reale o in rete, può avvisare l’insegnate, bloccare un’immagine che circola nelle chat e essere vicino alla vittima. Gli spettatori possono avere un ruolo importante per fermare questi atti di violenza».
Il ruolo della scuola e della comunità educante
Per prevenire il bullismo è importante che le scuole sappiano offrire percorsi di insegnamento flessibile, spazi di ascolto e figure di riferimento specializzate. Come spiega Brighi: «la letteratura in materia ci dice che gli interventi che funzionano bene sono quelli sistemici ossia quelli che coinvolgono tutte le figure presenti a scuola. Non sono sufficienti gli interventi fatti per risolvere il singolo episodio. Servono strategie a lungo termine».
Ma per affrontare fattivamente il fenomeno del bullismo, e in generale degli atti di violenza tra coetanei, la nostra società deve rendere prioritario il tema educativo. Lo ribadisce più volte Ivano Zoppi che conclude: «dobbiamo metterci in ascolto dei ragazzi. Dobbiamo imparare a chiedergli come stanno, come si sentono. Queste sono domande che ci responsabilizzano come adulti ossia ci impongono di ascoltare e dedicare tempo ai ragazzi. Invece spesso abbiamo già la risposta da dare senza ascoltare il bisogno che ci manifestano».
Nella foto di apertura Ivano Zoppi durante un colloquio con un ragazzo (foto di Fondazione Carolin)
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