Mondo

Bukavu, parla un missionario. Congo: è pace?

Dalla regione dei grandi laghi, Franco Bordignon commenta la fine della guerra con il Ruanda. "Un accordo difficile".

di Benedetta Verrini

Alla fine, è tutta una questione di copertura mediatica. Di questa guerra, di questi morti noi non abbiamo immagini. Niente foto, niente filmati: solo cifre, triste contabilità di un lontano conflitto africano. Il mondo inorridisce di fronte all?ennesimo morto israeliano o palestinese, ma non si cura di quelle migliaia di congolesi che sono morti e muoiono ancora. Per questo penso che la pace potrà realizzarsi solo se la comunità internazionale comincerà a volgere il suo sguardo anche qui». In 30 anni, padre Franco Bordignon ne ha viste tante. Dalla sua missione a Bukavu, città in riva al lago Kivu, vicino alla frontiera con il Ruanda, da anni l?esercito ruandese occupa la zona mascherando, col pretesto della difesa delle frontiere e la caccia ai responsabili del genocidio del 1994, lo sfruttamento delle ricchezze dell?intera regione. Truppe ferme Adesso però è arrivata la firma della pace. «Sì, ho sentito che il Ruanda si è impegnato a ritirare le sue truppe entro 90 giorni. Per la verità, potrebbe farlo anche in una settimana. Il problema è se questo ritiro sarà controllato e supportato dalle potenze occidentali o no. Questa regione del Congo è tuttora fuori dal controllo del governo Kabila: ci sono soldati dell?esercito ruandese, miliziani ugandesi e bande armate senza una chiara fisionomia che terrorizzano i villaggi». Tutti questi anni di conflitto sono trascorsi, spiega il missionario saveriano, senza contatti con la capitale. Al centro della situazione di guerriglia di zona che ancora attanaglia la popolazione, il controllo sulle enormi ricchezze della regione: diamanti, petrolio, oro, coltan (un minerale ricercatissimo necessario alla costruzione di tutti gli oggetti ad alta tecnologia, come i telefonini, i satelliti, la Play Station). Guerra infinita «È questo il motivo per cui questa guerra è durata così tanto», si sfoga padre Bordignon, «qualcuno, all?estero, aveva interesse a far sì che nessun governo potesse completamente controllare le esportazioni di queste ricchezze. E non ha solo chiuso gli occhi di fronte ai massacri, ma li ha finanziati. Il 40-50% degli aiuti internazionali è stato utilizzato per comprare armi. Possibile che la comunità internazionale lo ignorasse?». Il missionario saveriano racconta che, fino al settembre 1996, la convivenza tra ruandesi e congolesi è stata pacifica: «Non c?era una vera ostilità etnica. Poi la situazione è precipitata con un?escalation di massacri che hanno favorito solo chi, dall?esterno, tirava le fila della guerra», spiega. La popolazione «è rimasta a lungo ostaggio dei militari che, non pagati, gestivano il traffico di ricchezze estratte nel nord Kivu e di civili, anche di nazionalità congolese, che s?improvvisavano commercianti e si arricchivano mentre migliaia di persone fuggivano dalla guerra». «Se dovessi riassumere un sentimento dominante, in questi anni», continua, «è stato proprio il senso di isolamento. Mi auguro che adesso la comunità internazionale voglia dare un segno a questa umanità dimenticata: basta davvero poco a restituire fiducia e riportare la pace». Info: Notizie sulla regione dei Grandi Laghi su Beati i Costruttori di Pace

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