Mondo
Buffet&Gates? Due cattivi esempi
«Con la loro esposizione mediatica lanciano il messaggio che per fare solidarietà occorre essere ricchi», spiega Forrester. Ma i trend Usa dimostrano che non è così
«Se avessi pianificato la mia vita, sarei rimasto fregato» è il motto preferito di Robert H. Forrester, presidente e amministratore della Newman’s Own Foundation nonché noto esperto di filantropia. La pillola di saggezza, però, è del fondatore e suo amico, l’attore Paul Newman, di cui Forrester gestisce attualmente l’eredità morale ed economica. In Italia per una visita al Dynamo Camp, il campo estivo sull’appenino tosco-emiliano dedicato ai bambini con problemi gravi e malattie croniche, lo abbiamo incontrato a Milano.
Vita: Perché si parla tanto di filantropia?
Robert H. Forrester : Quello che posso dirle è che negli ultimi dieci anni abbiamo assistito a un interesse da parte dei più giovani al mondo della filantropia. Stanchi probabilmente della decade precedente in cui il benessere rappresentava l’unico traguardo possibile. Mi lasci dire: oggi si tende a dare nomi diversi a un fenomeno che però è sempre esistito. Alcuni parlano di filantrocapitalismo, di csr, impresa sociale. Non ho nessuna obiezione, ma credo che la parola filantropia, ovvero “amore per il genere umano” dal greco phileo, amico, e anthropos, umanità, sia quella più giusta. Identifica chi non si limita a soccorrere l’uomo singolo, ma si impegna a migliorare le condizioni sociali dell’umanità.
Vita: Come si spiega il primato degli Stati Uniti in questo campo?
Forrester: Un noto studioso francese dell’800, Alexis de Tocqueville, descrisse gli americani, nel suo famoso La democrazia in America, come «persone curiose». E credo indichi un aspetto importante del carattere degli americani, essenziale direi per essere filantropi. Le faccio un esempio: se negli Stati Uniti c’è un problema nella propria comunità, i cittadini si riuniscono e cercano di risolverlo senza aspettare l’intervento delle istituzioni. E questo, ancora una volta, spiega il perché gli Usa abbiano questo alto tasso di generosità. Tanto che quest’anno sono stati donati 300 miliardi di dollari.
Vita: Cosa ne pensa dell’annuncio del duo Buffett&Gates, che invitano i ricchi della Terra a donare la metà dei loro averi in beneficenza?
Forrester: I giornali hanno prestato molta attenzione al loro annuncio, per via delle cifre iperboliche di cui si parlava. Ma in realtà è una piccola parte di quello che potremmo chiamare il mondo della filantropia americana. Credo, poi, che il vero filantropo sia colui che non ha bisogno della ribalta dei giornali o delle tv. È colui o colei che dona e che non intravede un tornaconto mediatico. Bisogna stare molto attenti a quella che oggi chiamerei “filantropia sensazionale” che mortifica l’esperienza a beneficio dello spettacolo.
Vita: Il loro annuncio ha forse però aiutato il mondo della filantropia a ottenere la giusta attenzione…
Forrester: Hanno certamente avvicinato i media a queste tematiche. Ma che questa sia la “giusta” attenzione, non lo so. Il problema sta nel fatto che in questo modo potrebbe passare il messaggio secondo cui, per essere filantropi, è necessario essere miliardari. E questo non è per nulla vero.
Vita: E allora cosa bisogna avere per essere veri filantropi?
Forrester: Non dipende dall’ammontare dei soldi. Questo è sicuro. Prima di tutto bisogna davvero credere di poter fare del mondo un posto migliore, di procedere nel settore che più sta a cuore, ma di sapere anche che non si potrà mai fare dei veri progressi da soli.
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