Volontariato

Bufera sui Centri di permanenza temporanea. Il limbo o l’inferno?

Stanziati 25 milioni di euro, più 33 per la gestione. Con la Bossi-Fini che prevede tempi raddoppiati di fermo, il fabbisogno è raddoppiato.

di Emanuela Citterio

Non è vero che il governo Berlusconi non abbia costruito case per gli immigrati. Le ha costruite, ma sarebbe più corretto chiamarli carceri. Si tratta dei due nuovi Centri di permanenza temporanea e assistenza, appena aperti a Bologna e Modena, che si vanno ad aggiungere agli altri 12. Un nome pomposo, che in realtà nasconde strutture spesso fatiscenti in cui gli immigrati si trovano reclusi senza aver commesso nessun reato. Per costruire i due nuovi Cpt il ministero degli Interni ha speso quest?anno 12,39 milioni di euro. Uno stanziamento che verrà raddoppiato l?anno prossimo per costruire altri quattro centri: 25,31 milioni di euro. Mentre per il 2004 la spesa già prevista è 12 milioni di euro. L?idea di queste strutture, pensate come un?anticamera per l?espulsione, appartiene alla Turco-Napolitano, la legge approvata nel 1998 dal centrosinistra. Ma è con la Bossi-Fini che il fabbisogno di nuovi centri è esploso: infatti ora il tempo di permanenza è stato raddoppiato, passando da 30 a 60 giorni. Sino ad ora i Cpt garantivano 1.400 posti. Con la Bossi-Fini i posti dovrebbero diventare addirittura 5.200, quasi quattro volte tanto quelli attuali. Scarsa efficienza Ma non ci sono solo i soldi spesi per i muri. Ci sono naturalmente anche le spese di gestione, che quest?anno ammonteranno a 33,78 milioni di euro. Ma quando i 10 nuovi Centri previsti dalla Bossi Fini nel triennio 2002/2004 verranno costruiti, la spesa toccherà i 125 milioni di euro all?anno. Tanti soldi e scarsa efficacia: stando ai dati del ministero, dai Cpt nel 2001 sono passate 26.420 persone. I rimpatriati però sono poco più del 16%. Una percentuale che la Bossi-Fini difficilmente potrà scalfire, nonostante le promesse fatte agli elettori. Infatti, in mancanza di accordi bilaterali con i Paesi di provenienza, l?identificazione e l?espulsione restano complicate come prima. «Oltretutto il meccanismo delle espulsioni, così com?è, è costosissimo. Ed è un incubo dal punto di vista burocratico», attacca Giuseppe Sciortino, ricercatore dell?Ismu e curatore di un libro-inchiesta che contiene risultati inediti sugli effetti delle sanatorie (Assimilati ed esclusi, il Mulino). «Per ogni straniero trattenuto, lo Stato spende 66 euro al giorno. E raddoppiare i tempi di permanenza, in mancanza di una politica di accordi bilaterali con i Paesi di provenienza, rischia di congestionare ancora di più questi centri». La macchina è complessa: ci vogliono traduzioni, contatti fra i consolati, accertamenti di identità da parte dei funzionari delle diverse ambasciate. E anche quando tutto funziona, per l?effettivo rimpatrio ci sono ancora le spese di viaggio, e c?è bisogno di personale per accompagnare chi, presumibilmente, non ha per niente voglia di andarsene. Il costo del rimpatrio Ma quanto costa rimpatriare un immigrato irregolare? Solo per i mezzi di trasporto se ne vanno in media 413 euro, poi ci sono le spese per il personale che deve seguire tutta la procedura: 428 euro se si tratta di accompagnamento coatto alla frontiera, quasi 1.200 se c?è bisogno di andare all?estero. Ma il dispendio più rilevante è in risorse umane. Emblematico il caso del Ctpa di Modena che, ha dovuto rinviare l?apertura per mancanza di personale di sorveglianza. «In questo meccanismo complicato e dispendioso finiscono anche persone che si sa già che non potranno essere espulse», continua Sciortino. «I rifugiati, per esempio: in questi centri teoricamente non ci dovrebbero stare. Eppure abbiamo visto transitare afghani e curdi che, sinceramente, era un po? difficile catalogare come immigrati clandestini». Già, i rifugiati. Non possono essere trattenuti e rimandati indietro. Almeno stando alla Convenzione di Ginevra, che vieta di rimpatriare uno straniero in un Paese in cui sarebbe in pericolo, e stando alla Costituzione italiana che assicura il diritto di asilo «secondo le condizioni stabilite dalla legge» (art. 10). Ma in Italia, unico Paese dell?Unione europea, una legge sul diritto di asilo non c?è. Così capita che questa categoria di persone vada a finire in quella zona grigia in cui uno straniero non è un immigrato regolare ma non è nemmeno espellibile. Cosa succede in questi casi? «Alcuni finiscono nei Cpt, e poi vengono dimessi allo scadere dei termini», spiega Sciortino. Ma c?è di più. Nei centri, tra gli immigrati irregolari in attesa di identificazione, capita che ci finiscano anche ex detenuti. «Succede perché il ministero della Giustizia e quello dell?Interno non si parlano», commenta Sciortino. «Chi viene da una prigione si suppone sia già stato identificato. Eppure il passaggio di documenti non funziona». Chi le gestisce In un Centro possono trovarsi contemporaneamente donne, uomini e bambini che fuggono, immigrati che se ne vanno via dalla povertà e stranieri che hanno violato la legge. «Tutto questo rende molto problematico il trattenimento nei Cpt», spiega Ngo Dinh Le Quyen, la responsabile del coordinamento di 15 Caritas regionali nato per monitorare la situazione dei diversi Cpt. «In molti centri, promiscuità e condizioni igieniche spaventose rendono pericolose le condizioni di chi è trattenuto e che, è bene ricordarlo, non ha commesso nessun crimine». La Caritas si è rifiutata di gestire i Cpt. Il perché lo spiega Ngo Dinh Le Quyen: «Questi centri vengono spesso fatti passare per centri di assistenza e non lo sono affatto». La Caritas ha scelto però di entrare per dare ascolto e consulenza legale. Continua la signora Le Quyen. «Accade che anche persone che avrebbero titolo per richiedere l?asilo non riescono a far valere questo diritto, perché non conoscono la lingua e le leggi del nostro Paese. L?ascolto ci permette essere presenti per garantire una tutela maggiore». Quali alternative? Ma la società civile che alternative propone alla barbarie dei centri? «La Caritas pensa a delle strutture di tutela, che garantiscano di più i diritti delle persone», spiega don Giancarlo Perego, responsabile dell?area Immigrazione della Caritas. Il Tavolo migranti, espressione dei Social forum, ha chiesto come priorità la chiusura di tutti i centri. Dice Giovanni Amedura, reponsabile del Comitato NoCpt di Torino: «La migrazione, la ricerca di un luogo migliore in cui vivere è un diritto. Invece della fobia del controllo ci vorrebbero politiche all?altezza del problema». Conclude Giuseppe Sciortino: «Ci sono diverse alternative più efficaci e meno dispendiose, come le quote di ingresso, penalizzate dalla Bossi-Fini. I Paesi di provenienza si sono dimostrati più disponibili a riammettere gli immigrati irregolari in cambio di un flusso riservato di regolari ogni anno. Si sa che gli ingressi legali per lavoro dovrebbero essere almeno il doppio per soddisfare il mercato. Un altro errore di questa legge è stata l?eliminazione della figura dello sponsor, che permetteva anche a un immigrato regolare di garantire per un?altra persona con una fideiussione bancaria».


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