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Bruxelles: Europa e africa, la guerra delle dogane

Dal nostro “intrufolato speciale” ai lavori di una Commissione: una fase negoziale decisiva tra i vertici dell’Unione europea e le delegazioni di Africa, Caraibi e Pacifico

di Joshua Massarenti

Affacciato al palazzo della Commissione europea, sorge il Charlemagne Building, un edificio nuovo di zecca, inaugurato in pompa magna poche settimane fa per dare sfogo a quaranta piani di lusso amministrativo in cui si annidano migliaia di esperti pronti a rispondere alle sfide più complesse della globalizzazione. Quella che oppone l?Unione europea ai 77 Paesi che compongono l?area Acp, ossia Africa-Caraibi-Pacifico, sta tutta scritta in un foglio A4 appeso a una parete color ocra: «1 March 2007. Committee ministerial commercial mixt Acp-Eu». L?annuncio è dannatamente burocratico. Eppure in ballo ci sono interessi enormi. «Di quelli che determineranno i prossimi trent?anni di politiche commerciali e di sviluppo per i Paesi Acp».

Tra i pochi giornalisti presenti, c?è Hegel Goutier, caporedattore del bimensile Courrier Ue-Acp. Per lui, gli accordi di partenariato economico non hanno più segreti. Non così l?opinione pubblica, «ignara dei negoziati cruciali che si stanno svolgendo in questi mesi». Di certo, la latitanza del servizio stampa dell?Ue non aiuta.

Meeting vietato ai media

Passa una mezz?ora abbondante. Niente. Poi dal nulla spuntano uomini vestiti in doppiopetto, valigette ventiquattrore in mano e sguardi tesi. Con passo veloce, i delegati dei Paesi Acp e delle Commissioni Ue per il commercio e lo sviluppo si affrettano verso i posti di controllo per dirigersi al primo piano, nella sala S3.

Per i giornalisti, invece, non c?è verso: quello che nell?ambiente è definito un «meeting tra i più importanti per i futuri accordi commerciali», è vietato ai media. Passa un?altra mezz?ora di noia che provo ad uccidere sfogliando un documento sugli accordi. La storia ci dice che «nel 2000, a Cotonou, nel Benin, Ue e Paesi Acp firmano accordi che prevedono l?adozione di un nuovo regime commerciale valido dal 1° gennaio 2008 in cui viene posto fine all?accesso cosiddetto ?preferenziale? sul mercato europeo dei prodotti esportati dai Paesi Acp». La posta in giocoAl mio fianco, Mariano Iossa storce il naso. Adviser di ActionAid International per la sicurezza alimentare e il commercio internazionale, mi spiega che «in realtà il sistema preferenziale non è mai stato realmente applicato. Perché se è vero che i Paesi europei hanno abbassato le loro tariffe doganali a favore dei prodotti Acp, è altrettanto vero che le norme sanitarie imposte dall?Ue sui medesimi prodotti sono talmente severe da impedirne l?accesso sul nostro mercato».

Oggi come oggi, i negoziati sono a un?impasse. La Ue preme sui Paesi Acp perché si mettano in regola con i principi del Wto, l?Organizzazione mondiale del commercio che impone la fine del regime preferenziale entro il 31 dicembre 2007. Di conseguenza, «questi Paesi dovranno non solo liberalizzare l?80% degli scambi commerciali con l?Ue, ma pure i servizi, gli investimenti e la concorrenza». Un dramma secondo questo rappresentante della società civile, non a caso tenuta costantemente alla larga dalle riunioni che costellano dal 2002 i negoziati.

Schiaffi con Mandelsson

Per miracolo, uno sherpa della segreteria generale dei Paesi Acp ci rilascia un paio di pass. Giungiamo nella sala in un clima surriscaldato. Sul palco presiedono i pezzi grossi dei negoziati, e cioè Peter Mandelsson, commissario Ue per il Commercio, il suo alter ego per lo sviluppo, Louis Michel affiancato da Stefano Manservisi, direttore generale del Dipartimento sviluppo dell?Unione, e un manipolo di consiglieri tra cui spicca il mentore di Mandelsson, Denis Redonnet.

Poco più in là, sulla sinistra, i rappresentaanti dei Paesi Acp si presentano a ranghi serrati dietro Paul Biyoghé Mba, ministro del Commercio gabonese che conduce l?incontro. In platea, 79 delegazioni del Sud del mondo stanno dando battaglia sulla questione spinosissima dei fondi compensativi previsti ai Paesi Acp.

Quasi a scongiurare gli scatti d?ira, la Commissione ribadisce che «l?obiettivo degli accordi di partenariato è di accelerare l?integrazione regionale tra i Paesi Acp e stimolare i loro mercati». Condizioni sine qua non per raggiungere lo sviluppo di aree geografiche come l?Africa in cui i prodotti dell?Ue rappresentano oltre il 40% delle importazioni totali, ma il cui peso nel commercio mondiale non supera l?1%.

«La Commissione parla di sviluppo», confida Iossa a bassa voce, «ma la crescita economica di molti Paesi africani dipende in larga misura dai dazi doganali sui prodotti europei». La Banca mondiale calcola che in Africa le entrate doganali rappresentino tra il 7 e il 10% delle entrate fiscali dello Stato. Questo significa che una volta adottati, gli accordi provocheranno una perdita, con la conseguenza di dover tagliare le spese in settori come l?educazione e la sanità.

Per compensare i rischi paventati dagli accordi, l?Ue ha accettato di sbloccare oltre un miliardo di euro per ?rimettere a livello? i settori produttivi dei Paesi Acp. Ma all?Africa non basta. Uno studio della Commissione economica dell?Unione africana ha stimato in 9,3 miliardi di euro i danni inflitti dagli accordi alle loro economie. Sbattendo il pugno sul tavolo, un delegato keniota giura che «di questo passo, non firmeremo nulla. A Mandelsson chiediamo più garanzie sui costi di aggiustamento finanziario».

Africani e caraibici divisi

A ruota, un collega del Benin denuncia «il silenzio dell?Ue sui rischi che corriamo in termini di perdite di impiego e di chiusure di fabbriche». Il Commissario incassa senza batter ciglio. Passano pochi secondi e dopo l?ennesimo suggerimento di Redonnet arriva la risposta: «Abbiamo già parlato dei finanziamenti previsti dal Fondo di sviluppo, quelli aggiuntivi non sono all?ordine del giorno». La tensione è alle stelle. Gli africani brontolano sotto gli sguardi impassibili dei loro colleghi caraibici, già pronti a firmare accordi che potrebbero salvaguardarli dalle pressioni di Washington.

«Ci sono settori che non possiamo aprire di punto in bianco al mercato», sostiene il ministro del Commercio del Congo-Brazzaville, Adelaide Moundele-Ngolo. All?uscita del palazzo, il negoziatore Ue Karl Falkenberg si vuole fiducioso: «Abbiamo ribadito agli africani che i loro prodotti verranno liberalizzati in maniera progressiva, su dieci-venti anni. Ma questi accordi vanno firmati, anche perché lo sviluppo dell?Africa passa necessariamente per l?apertura dei suoi mercati». Il prossimo appuntamento è per luglio 2007, sempre a Bruxelles. «Lì» assicura Hegel Goutier, «saremo a una svolta».

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