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Brunelli (Intersos): «L’assistenza umanitaria in Afghanistan non si può fermare»

«Lavoriamo nelle regioni del Sud del Paese», racconta Matteo Brunelli, vice direttore Regione Afghanistan, per l’organizzazione umanitaria Intersos, «in modo particolare nelle province di Kandahar e Zabul. I nostri progetti sono al momento operativi, garantendo il supporto a diversi centri di salute primaria. È fondamentale permettere alle organizzazioni umanitarie di lavorare nel Paese. I cittadini che rimarranno in Afghanistan sono la stragrande maggioranza e non possono essere dimenticatati, soprattutto adesso che i bisogni aumenteranno»

di Anna Spena

Secondo i dati diffusi dalle Nazioni Unite il 13 agosto, circa l’80% di quasi un quarto di milione di afgani costretti a fuggire dalla fine di maggio sono donne e bambini. Quasi 400mila persone sono state costrette a lasciare le loro case dall’inizio dell’anno, unendosi a 2,9 milioni di rifugiati interni preesistenti. I talebani hanno preso Kabul, le immagini che stanno arrivando dal Paese negli ultimi giorni sono drammatiche. Ma l’offensiva lanciata dall’Emirato Islamico dell’Afghanistan è iniziata molti mesi fa.

«La situazione era già critica alla fine del 2020», racconta Matteo Brunelli, vice direttore Regione Afghanistan per l’organizzazione umanitaria Intersos che sostiene la popolazione nel Sud del Paese dal 2001. «Noi», continua Brunelli, «lavoriamo nelle regioni del Sud, in modo particolare nelle province di Kandahar e Zabul. I nostri progetti sono al momento operativi, garantendo il supporto a diversi centri di salute primaria presenti nei distretti di Spin Boldak, Maywand, Shawalikot, Shahjoy, all’ospedale di Qalat e al centro di salute di Kharwaryan nella provincia di Zabul». L’intervento di Intersos all’interno delle strutture sanitarie è supportato dall’attività delle cliniche mobili impegnate nelle aree più remote. Particolarmente significativa, in questa fase, è l’attività medica di prima emergenza garantita dal Trauma Center di Kandahar.

«Con noi lavorano circa 150 persone, considerando anche i volontari. In questo momento parte dello staff, in modo particolare quello internazionale, è stato spostato nel centro di coordinamento di Kabul. Gli ultimi due cooperanti italiani hanno lasciato ieri il Paese. La presa di Kandahar è avvenuta il 13 agosto, è stata piuttosto veloce. Nelle settimane precedenti lo scontro è stato più attivo nelle periferie delle città. Ma il sud del Paese da sempre è stato una roccaforte talebana, di fatto noi operavamo già in aree sotto il loro controllo e con una serie di misure di sicurezza ulteriori e una certa attenzione alle usanze locali. E tutti i nostri progetti umanitari continueranno per garantire assistenza umanitaria e rispondere ai gravi bisogni della popolazione coinvolta nell’escalation dei combattimenti. I bisogni più urgenti riguardano il grande numero di sfollati e la carenza di beni primari, incluse medicine e materiale medicale».

Già all’inizio del 2021, la popolazione bisognosa di assistenza umanitaria era di 18,4 milioni di persone, tra cui oltre 7 milioni di minori, secondo i dati del Global Humanitarian Overview di OCHA. Oltre 10 milioni di persone vivono condizioni di grave insicurezza alimentare. «In questi mesi», spiega Brunelli, «i cittadini che hanno avuto la possibilità di scappare hanno lasciato il Paese, ma parliamo di una piccolissima percentuale di popolazione che ci è riuscita grazie a possibilità economiche o contatti con la diaspora. Per un’altra parte di popolazione ad alto rischio, come chi ha collaborato con le ambasciate, i media e le ong, si sta provando a far ottenere dei visti veloci. Ma anche in questo caso, le immagini che arrivano dell’aeroporto di Kabul, raccontano di un numero di persone che comunque non è rappresentativo dell’intera popolazione. Abbiamo assistito in questi mesi ad un numero ingente di persone che dalle periferie si spostava nelle città, è cosi cresciuto il numero di rifugiati interni. Ora che anche Kabul è stata presa sembra che il flusso inizi ad invertirsi e le persone stanno tornando verso le periferie. In molti proveranno a spostarsi nei Paesi limitrofi, ma alcuni Stati, come il Pakistan, stanno chiudendo temporaneamente le frontiere. E in ogni caso, raggiungere altri Paesi, significa attraversa zone dell’Afghanistan molto pericolose. Allo stato attuale i corridoi umanitari sono necessari per portare in salvo la popolazione, ma parliamo di milioni di abitanti. È quindi fondamentale discutere con le autorità legittime e con la comunità internazionale per garantire e permettere alle organizzazioni umanitarie di lavorare nel Paese. I cittadini che rimarranno in Afghanistan sono la stragrande maggioranza e non possono essere dimenticati, soprattutto adesso che i bisogni aumenteranno».

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