Sostenibilità

Bruciate le barche usate dai migranti

Decine di piccole imbarcazioni giacevano dismesse su una spiaggia. Qualcuno ha dato loro fuoco, cancellando così i simboli del futuro 'museo della memoria'

di Daniele Biella

Un incendio doloso. È questa l’ipotesi più accreditata per spiegare il rogo con cui la notte di venerdì 10 settembre sono andate distrutte su una spiaggia di Lampedusa le decine di di imbarcazioni abbandonate che erano state utilizzate negli anni scorsi dai migranti africani per i loro viaggi della disperazione verso l’Europa (dalla ratifica dell’accordo tra Italia e Libia di pattugliamento in mare, il numero di sbarchi sull’isola si è azzerato così come le presenze nel Cie, Centro identificazione ed espulsione isolano).

Mentre la procura ha aperto un’inchiesta, sull’isola oggi pomeriggio si è tenuto un sit-in organizzato da Legambiente. “Stiamo manifestando contro questo atto scellerato, che nuoce alla salute della gente (il fumo è rimasto nell’aria parecchie ore ed è arrivato nelle abitazioni)”, spiega Peppino Palmieri, capogruppo del Pd e membro dell’opposizione del Consiglio comunale di Lampedusa, il cui sindaco è Bernardino De Rubeis, Mpa.

“Ma soprattutto questo incendio, bruciando le imbarcazioni (sembra che se ne siano salvate solo tre o quattro), ha rovinato il progetto del museo alla memoria delle tragedie dei migranti in mare”, aggiunge Palmieri. Proprio lo scorso 3 settembre 2010, infatti, era stato siglato un accordo con l’omologo museo dell’immigrazione italiana di Ellis Island (New York), per realizzare un’esperienza simile a Lampedusa. L’iniziativa, nata da un’idea delle sezioni locali di Arci e Legambiente aveva ottenuto l’avallo sia del comune isolano che della Regione Sicilia. Ora, grazie al gesto (folle o premeditato che sia) di qualcuno per ora rimasto ignoto e impunito, tale museo ha perso la maggior parte dei suoi simboli principali, i ‘barconi della morte’.

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