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#Bringbackourgirls: oltre 150 ragazze ancora nelle mani di Boko Haram

A tre anni dal rapimento delle oltre 200 studentesse di Chibok, solo poche decine sono state rilasciate, mentre nella regione del Lago Ciad, continua a peggiorare la situazione di donne e bambini schiacciati da una delle peggiori crisi umanitarie del Continente, nel silenzio della comunità internazionale

di Ottavia Spaggiari

Non è bastata la mobilitazione globale, con l’hashtag #bringbackourgirls, né gli appelli dei leader della terra e delle star di Hollywood ad ottenere il rilascio delle ragazze rapite il 14 aprile 2014, nel nord-est della Nigeria, dal gruppo di estremisti islamici Boko Haram, il cui significato in italiano potrebbe essere tradotto con “l’educazione occidentale è un peccato”. Il rapimento di massa delle ragazze è stato uno degli episodi più discussi a livello globale, nella storia del gruppo armato fondato nel 2002, che si oppone all’occidentalizzazione del Paese e ha come obiettivo l’imposizione della sharia e per qualche settimana era riuscita ad accendere l’attenzione su una delle crisi più gravi del continente africano.

Le ragazze, tutte studentesse tra i 16 e i 18 anni, erano state rapite nella scuola secondaria statale di Chibok, che era rimasta aperta per permettere alle ragazze di sostenere gli esami di fine anno, a differenza della maggior parte delle scuole del Paese, rimaste chiuse proprio per paura di ripercussioni da parte dei terroristi, contrari in particolare all’istruzione femminile. Circa 20 ragazze erano state rilasciate lo scorso ottobre e 57 sono riuscite a a scappare ma più di 150 sono ancora prigioniere e il conflitto tra Boko Haram e le forze governative, esploso nella regione del Lago Ciad, tra Camerun, Ciad, Niger e Nigeria, continua a rappresentare una delle più gravi e sottovalutate crisi umanitarie del continente, con un coinvolgimento diretto di circa 17 milioni di persone, per la maggior parte donne e bambini, 7 milioni delle quali sono a rischio denutrizione. Secondo Al Jazeera, nel Nord Est della Nigeria, circa 1 donna su 3 ha riportato di aver subito violenza sessuale, da parte di Boko Haram, delle forze di sicurezza o di altri gruppi armati.

Sono proprio le ragazze e i bambini, secondo l’ultimo rapporto di Unicef, ‘Silent Shame: Bringing out the voices of children caught in the Lake Chad crisis’, ad essere utilizzati sempre più frequentemente negli attacchi suicidi nel conflitto del lago Ciad, con 27 nuovi episodi nei primi tre mesi del 2017, rispetto ai 9 dello stesso periodo, lo scorso anno. Dal 2014 sono stati utilizzati 117 bambini per portare a termine attacchi con bombe in luoghi pubblici in Nigeria, Ciad, Niger e Camerun. Nella maggior parte di questi attacchi sono state utilizzate ragazze. Per questo, le ragazze, i ragazzi e anche i bambini vengono visti con maggiore timore presso i mercati e ai checkpoint, in quanto si sospetta che trasportino esplosivo.

Sempre secondo l’Unicef, nelle interviste, molti bambini che sono stati reclutati da Boko Haram hanno dichiarato di non parlare con nessuno della loro esperienza perché hanno paura sia di essere stigmatizzati, sia di possibili rappresaglie violente da parte delle loro comunità. Molti di loro sono costretti a sopportare gli orrori subiti in silenzio e si allontanano da altri gruppi per paura di essere banditi o stigmatizzati.

Il rapporto, inoltre, sottolinea le sfide che le autorità locali devono affrontare con i bambini che sono stati fermati ai checkpoint e presi in custodia amministrativa per fare loro domande e controlli, facendo crescere la preoccupazione sui prolungati periodi di custodia. La risposta alla crisi del Lago Ciad, che avrebbe costretto circa 1,3 milioni di bambini a lasciare le proprie abitazioni, continua ad essere ancora oggi ampliamente sotto finanziata. Lo scorso anno, l’appello dell’Unicef per il il bacino del lago Ciad, di 154 milioni di dollari, è stato finanziato solo per il 40%.

Foto: SIA KAMBOU/AFP/Getty Images

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