Volontariato
Brexit, profughi, guerre, armi e omicidio di Jo Cox. Alcuni elementi di un circuito perverso
Ricordo che mio padre, dopo aver professato per una vita ideali socialisti, negli anni ’90 durante la sua vecchiaia era preoccupato per la propria incolumità personale – nei lunghi pomeriggi solitari passati nel piccolo appezzamento della una campagna calabrese – a causa della “invasione” degli albanesi di cui vedeva a sera le immagini degli sbarchi in tv e leggeva al mattino i commenti allarmati sui quotidiani mainstream. Probabilmente non ha mai incontrato un albanese di persona, ma – pur vivendo in un territorio completamente in mano alle cosche mafiose – era convinto che bande di albanesi invasori fossero per tutti la più pericolosa minaccia incombente… Questo ricordo, che mi torna oggi alla mente, credo abbia a che fare con quanto accaduto nel voto britannico per la brexit, nel quale gli inglesi hanno scelto in maggioranza l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Il voto è l’esito di una campagna guidata dall’estrema destra razzista di Nigel Farage, fondata sulla promozione della paura di una imminente invasione di profughi – in fuga dalle tante guerre che bagnano di sangue il pianeta – attraverso l’Europa. Una campagna che ha avuto la meglio tra la popolazione più anziana e tra quella impoverita dalla politiche liberiste, prevalentemente residente nelle periferie e nelle aree rurali del Paese, alla fine della quale – dopo l’esito del referendum – milioni di utenti britannici hanno chiesto a google: “che cos’è l’unione europea?“
Il 20 giugno – tre giorni prima del voto inglese – in occasione della “Giornata mondiale del rifugiato” le Nazioni Unite hanno diffuso i dati dei rifugiati in fuga dai Paesi devastati dalle guerre, in cerca disperata di protezione: 65 milioni di persone nel solo 2015, con un incremento di sei milioni rispetto all’anno precedente. Una cifra mai raggiunta dai tempi della seconda guerra mondiale, il più grande esodo biblico della storia che dà la misura della “terza guerra mondiale” diffusa nelle diverse aree del pianeta: dall’Africa al Medioriente, dal Mediterraneo al Golfo Persico. Del resto i profughi sono l'”effetto collaterale” e inevitabile di un’altra cifra record: quella delle spese militari globali che, nel solo 2015, hanno raggiunto il costo astronomico di circa 1.700 miliardi di dollari. Sono le armi che alimentano le guerre, producono le vittime, generano i rifugiati, arricchiscono i produttori di armi ed i governi dei Paesi che – intanto – innalzano muri contro i profughi, escono dalla UE per paura della loro invasione, sulla spinta di cittadini spaventati che votano i movimenti razzisti, fascisti e nazionalisti che vogliono fare in tutta Europa “come gli inglesi”. Movimenti populisti spesso finanziati direttamente dalla lobby delle armi, come Donald Trump finanziato dalla potentissima Nra che impedisce in USA ogni regolamentazione sull’uso delle armi. Un circolo perverso che si autoalimenta. Per cui la brexit non riguarda solo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, ma rischia di essere l’innesco di un processo disgregativo dalle conseguenze imprevedibili e pericolose per l’intera Europa.
Ne era consapevole la parlamentare laburista britannica Jo Cox, uccisa da un fanatico nazionalista al grido di “prima la Gran Bretagna” durante la campagna per il “remain” perché – da sempre un’attivista per i diritti umani – era impegnata nell’accoglienza dei rifugiati. Non è un caso che il suo ultimo articolo, pubblicato il 14 giugno anche sul suo profilo facebook, chiede al governo britannico di interrompere la vendita di armi all’Arabia Saudita, che le usa nella guerra in Yemen, di cui le prime vittime sono i bambini. Così scriveva Jo Cox, due giorni prima di essere uccisa per strada: “il Regno Unito è uno dei maggiori fornitori di armi dell’Arabia Saudita, con vendite che toccano i 6 bilioni di sterline nell’ultimo anno. Se il governo continua a vendere armi a monarchie che le utilizzano per infliggere danni indiscriminati e sproporzionati ai civili e alle infrastrutture, stando al diritto nazionale, dell’Unione Europea e a quello internazionale, allora lo sta facendo illegalmente. Questa settimana abbiamo sentito un’altra volta il governo dire che solo lavorando insieme all’Arabia Saudita possiamo influenzarla. Lo accetto. Ma sicuramente è ora che il governo dimostri che questa influenza può aiutare i bambini yemeniti, così come contribuire alla sicurezza della Gran Bretagna. Stasera, i bambini in Yemen andranno a dormire con la paura del presente e sperando in un futuro migliore. Questi bambini hanno disperatamente bisogno che il governo inglese compia queste tre azioni. Non possiamo continuare a deluderli.”
Questo appello che Jo Cox rivolgeva al governo inglese è stato ripreso anche nell’appello analogo che Rete Italiana Disarmo ha rivolto in questi giorni al governo italiano: “nello scorso marzo quasi 5 milioni di euro di bombe sono state inviate dalla provincia di Cagliari all’Arabia Saudita nonostante la risoluzione votata con ampia maggioranza dal Parlamento europeo lo scorso febbraio abbia chiesto alla Vicepresidente della Commissione ed Alto Rappresentante della Politica Estera, Federica Mogherini, di avviare un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’UE di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita, tenuto conto delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale da parte di tale paese nello Yemen”. Inoltre, scrive ancora Rete Disarmo, “non va dimenticato che l’Italia è, tra i paesi dell’UE, uno dei maggiori fornitori di sistemi militari alle monarchie del Golfo. Lo scorso 16 giugno ad esempio è stato perfezionato con il Qatar, alla presenza della Ministra della Difesa Pinotti e dagli amministratori delegati di Fincantieri e di MBDA (azienda missilistica di cui anche Finmeccanica-Leonardo fa parte), un contratto per la fornitura di mezzi navali e sistemi d’arma per circa 5 miliardi di euro”. L’accordo è stato siglato con il ministro per gli Affari della Difesa del Qatar che subito dopo si è recato in visita alle truppe del suo Paese attive nel conflitto sanguinoso in Yemen, in una guerra che sta seminando morte soprattutto tra i civili, in gravissima e palese violazione della nostra legislazione sull’export di armamenti. Il quale, intanto, ha triplicato il proprio fatturato, passando nell’ultimo anno da 2,9 a 8.2 miliardi di euro. Tuttavia, conclude Rete Disarmo, “i miliardi di guadagni dell’industria bellica nazionale non giustificano in alcun modo l’invio di armamenti a Paesi coinvolti in conflitti armati che, tra l’altro, favoriscono l’avanzamento di formazioni terroristiche e contribuiscono all’instabilità di ampie regioni con le conseguenti fughe di popolazioni che spesso sbarcano sulle nostre coste per chiedere rifugio e assistenza.”
E tutti gli elementi vanno a comporre il circuito perverso che si chiude. A meno che non decidiamo di interromperlo con una straordinaria mobilitazione europea che costringa i governi al disarmo e alla riconversione civile dell’industria bellica.
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