Economia
Brewster: «Così portiamo avanti la forza del bene»
Come si è sviluppato e sta cambiando il settore della filantropia tra condivisione globale, web e istruzione. L’esempio americano e i passi avanti dell’Italia. Intervistato da Civic, nel primo dei Quaderni di Fondazione Italia Sociale il Ceo del Committee Encouraging Corporate Philanthropy spiega: «Le grandi aziende stanno capendo sempre di più come avere un impatto positivo sulla società»
di Redazione
Diretto, pragmatico, entusiasta. Daryl Brewster è tutto quello che ci si aspetta da un affermato manager statunitense. Ma il ceo di Cecp, Committee Encouraging Corporate Philanthropy, è molto di più: ha una visione globale delle dinamiche economiche e sociali, conosce a fondo i numeri e le realtà di cui parla e sa andare oltre il singolo dato. D’altra parte Brewster ha oltre trent’anni di esperienza come dirigente – da Nabisco e Kraft – e ha dalla sua anche una vasta attività in organizzazioni non pro t. «Cecp lavora da ormai vent’anni con le più grandi aziende del mondo per incoraggiarle a intraprendere iniziative che aiutino la società, a creare “una grande forza del bene”», scandisce in italiano per rendere più chiaro il senso della missione di Cecp.
E in che modo portate avanti questo processo virtuoso?
Incoraggiamo il dialogo e riuniamo i Ceo e i leader delle maggiori compagnie e dei più grandi gruppi imprenditoriali, spingendoli a discutere delle possibili ricadute del business sulla società. Forniamo un supporto logistico organizzando meeting, attraverso report e ricerche. Aiutiamo le aziende a comprendere a pieno il senso della solidarietà realizzando studi relativi alle singole aziende o su uno spettro più ampio.
In che modo la comunicazione digitale, dal web ai social, può cambiare questo settore?
È evidente che con il web e i social abbia- mo a disposizione una quantità incredibile di informazioni a una velocità impensabile no a pochi anni fa e con un abbattimento sensibile dei costi. Altra novità è la trasparenza che internet e i social hanno portato, la possibilità di conoscere molto di qualsiasi persona o azienda, ad esempio attraverso le pagine Facebook. E tutto questo ha messo in discussione la strategia di comunicazione dei grandi gruppi, li ha spinti a essere intraprendenti e non più solo reattivi.
Perché gli Stati Uniti sono diventati un punto di riferimento per quanto riguarda la filantropia?
Ci sono almeno due grandi ragioni. Prima di tutto negli Stati Uniti, lo Stato fornisce meno tutele alla popolazione rispetto ai paesi europei. Gli Usa sono un paese fortemente capitalistico, con una società fondata sul libero mercato. Allo stesso tempo storicamente gli americani hanno un forte senso della comunità, dell’aiutarsi e del lavorare insieme. Solo per fare un esempio, il primo governo, quello di George Washington, nacque proprio con lo scopo del giving back, dell’investimento sulle generazioni future.
In questo momento in Italia la filantropia è al centro di una popolarità non solo positiva e di un rinnovamento legislativo. Come pensa che questo genere di argomento possa essere di uso non solo all’interno delle aziende ma anche della popolazione?
Ciascun paese deve imparare dal proprio vicino le migliori attitudini nel volontariato. Io credo che all’interno di un paese, come tra un paese e l’altro, sia importante condividere tendenze, far conoscere quello che succede e scambiarsi le idee. In Germania, per esempio, oggi il volontariato nazionale non è integrato nel tessuto economico-sociale. Noi abbiamo parlato con alcune aziende tedesche, che stanno cercando di trovare formule per ingaggiare il volontariato.
C’è un altro aspetto poco indagato, ed è quello del come voi raccontate i fatti e come le stesse aziende raccontano questi fatti ai loro impiegati, ai loro referenti o ai loro clienti…
Il business è una filosofia, una filosofia non è perfetta. Quando Paul Newman fondò Cecp la prima cosa che si domandò fu “cosa possono fare le grandi aziende per rendere il mondo migliore”. E lui ci ha pensato per un po’ e poi ha risposto: “Io penso che le aziende possano fare di più, qualsiasi cosa e in qualsiasi modo ma possono fare di più”. Nello stesso modo in cui aumentano i profitti possono anche determinare un positivo impatto sulla società. È un aspetto su cui molte aziende stanno riflettendo e alcune stanno già guidando la nuova onda. Queste operazioni si rendono necessarie anche per reclutare le migliori risorse umane e acquisire nuovi clienti.
I programmi a favore dell’istruzione sono i più finanziati, perché?
Le imprese stanno vivendo in un contesto competitivo straordinario, con evoluzioni tecnologiche altrettanto straordinarie – basti pensare che 10 anni fa non c’erano gli smartphone e i tablet. Quindi è importante investire nell’istruzione per disporre di risorse umane aggiornate e pronte ad affrontare le sfide attuali e future perché i programmi scolastici non evolvono così velocemente come la tecnologia. Le scuole sono state costruite decenni fa, i libri di testo sono spesso vecchi di molti anni e le aziende colgono una reale opportunità nel creare un ponte tra il miglioramento dell’istruzione e ciò di cui hanno bisogno. Non è solo per avere studenti aggiornati ma per istruire le società. Di esempi perfetti ce ne sono tanti, anche in Italia e vanno sostenuti e seguiti. Noi abbiamo l’obbligo di continuare a istruire la gente e il business sta capendo che questa è una parte importante del loro ruolo.
L'intervista è tratta da Civic. I quaderni di Fondazione Italia Sociale – Numero 1
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