Famiglia

Brescia, dove le armi non sono leggere

La fiera annuale delle armi sportive scatena la polemica : decine di conflitti nel mondo si combattono con pistole e fucili italiani.

di Benedetta Verrini

È da vent’anni il fiore all’occhiello del distretto armiero bresciano, la Mostra di armi sportive e accessori. La fiera Exa, che dal 21 al 24 aprile occupa il quartiere fieristico di Brescia con centinaia di espositori italiani e stranieri, è una vera orgia di coltelli, munizioni, armi sportive, abbigliamento e oggettistica per i cultori del settore e per i cacciatori. Cosa ci faranno, questi appassionati, con un lanciarazzi o con un fucile a pompa (che pure si trovano tra i prodotti esposti), risulta difficile spiegarselo. Una risposta ce l’ha padre Elia Meo, missionario saveriano e direttore della rivista Missione Oggi: «A Brescia si producono armi da caccia e da diporto, ma questa attività è solo una fetta di un mercato molto più ampio, come la Mostra. I guadagni più grossi non li fanno mica con i cacciatori», dice. Forti di anni di battaglie per la messa al bando delle mine antiuomo, che hanno portato alla cessazione della produzione di mine dell’industria (bresciana) Valsella, i Saveriani hanno organizzato un convegno dal titolo “Armi leggere, guerre pesanti”. Negli stessi giorni della fiera. Obiettivo: riportare l’attenzione dell’opinione pubblica sul grande business delle armi leggere, di cui l’Italia rappresenta il terzo esportatore mondiale dopo gli Usa e la Gran Bretagna, con un giro d’affari di quasi 300 milioni di dollari l’anno. Un fatturato astronomico che concorre ad alimentare le decine di conflitti in corso nel Sud del mondo. «I nostri fratelli in missione ne sanno qualcosa», continua padre Meo. «Dall’Asia, dall’America Latina e dall’Africa ci danno una testimonianza diretta di come vengono utilizzate queste pistole, queste carabine, i mitra e i lancia-missili. Tutte armi definite leggere». Ed è proprio il distretto bresciano a finire al centro del dibattito (innescato dalla campagna di Amnesty International) sul commercio di queste armi, visto che a Gardone Val Trompia c’è l’azienda leader del settore, la Beretta, che con i suoi 1.500 dipendenti ha creato un impero che fattura circa 600 miliardi l’anno. «La Beretta dichiara che oltre il 50% della sua produzione è di tipo civile», dice Carlo Tombola, ricercatore dell’università di Milano. «In realtà, risulta evidente che molte delle armi portatili esportate per uso civile sono adatte all’uso militare. È un escamotage ormai consolidato per aggirare la legge 185 del 1990, che ha posto severi divieti di esportazione per gli armamenti». In effetti, dopo l’entrata in vigore della legge del 1990 le esportazioni italiane di natura militare sono crollate in modo equivoco. Il fatturato Beretta comprende un’ampia quota di produzione fatta direttamente in Paesi esteri, e costituisce il frutto di una vasta rete distributiva e commerciale presente in 120 Paesi. Tra i principali acquirenti di armi leggere si trovano Algeria, Turchia, Messico, Slovenia. Grandi consumatori di queste “piccole armi” sono anche, ovviamente, gli Stati Uniti. Proprio la Beretta si era fatta promotrice, sotto l’amministrazione Clinton, di una grossa campagna d’opposizione alle proposte di legge per la regolamentazione della vendita d’armi ai civili. Ora il vento è cambiato: i Bush sono amici personali della famiglia Beretta e George W. Bush ha ostentato con orgoglio, durante i comizi elettorali, una cravatta della linea d’abbigliamento dell’azienda bresciana. «Non abbiamo la pretesa di chiudere le industrie bresciane e di mettere in difficoltà le migliaia di dipendenti che vi lavorano», spiega il giornalista Francesco Terreri, presidente di Microcredito, una società che si occupa della promozione della finanza nei Paesi del sud del mondo. «Ma vorremmo richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica su questa piaga e sugli enormi interessi finanziari che vi ruotano attorno, e che coinvolgono tante banche italiane». Gli attivisti che promuovono la campagna per la regolamentazione delle armi leggere ora aspettano la conferenza Onu di settembre, in cui si discuterà del problema. «Per quella occasione noi auspichiamo una presa di posizione dell’Italia e dello stesso comune di Brescia», dice padre Meo, «perché sia in prima linea, almeno simbolicamente, a promuovere maggiori controlli e trasparenza». Info:www.saveriani.bs.it


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