Non profit

Brebemi e Tem. Oggi l’inaugurazione

Oggi ci sarà la doppia apertura per la diretta Milano-Brescia e per la tangenziale est esterna. Ma continuano le polemiche su la cementificazione senza sosta. Per questo riproponiamo il servizio “Ci stanno asfaltando il Nord” a cura di Silvano Rubino

di Silvano Rubino

Ogni giorno, centinana di operai si svegliano e si recano sui cantieri delle autostrade in costruzione. Ogni giorno, schiere di ingegneri mettono a punto gli ultimi dettagli di faraonici progetti esecutivi di altre autostrade, ancora sulla carta. Ogni sera, in tutta la pianura padana, centinaia di persone si riuniscono, in sedi improvvisate, case private, circoli e si trasformano, da comuni cittadini, in membri di comitati contro queste autostrade. No Pedemontana, No Brebemi, No-Orte-Mestre, No Tem, No Mantova-Cremona. poca fantasia nei nomi, ma in quei consessi si bada all’essenziale. Si bada a porre un freno alla colata di asfalto che sta per calare sul nord, dal piemonte al veneto. almeno una ventina di nuove arterie a pagamento, per una pianura che detiene già da tempo tristi primati, quello del tasso di cementificazione e quello dell’inquinamento. Il mantra è sempre quello: sono opere che servono soprattutto al tessuto delle nostre imprese, «le chiedono le aziende», conferma Cristina Manara, esperta di OtiNordOvest, l’Osservatorio sulle infrastrutture di Confindustria.

«Il nord italia ha una congestione stradale molto elevata e documentabile ed è quasi sempre il territorio che spinge per la realizzazione di queste opere, anche perché è un dato di fatto che anche in questo periodo di crisi il trasporto su gomma continua a crescere». «È vero», concorda Andrea Boitani ordinario di Economia politica alla Cattolica di Milano, esperto di infrastrutture per lavoce.info, «come è vero che un certo tipo di traffico, soprattutto quello delle tratti brevi, non può essere trasferito su ferro».

La città infinita
«In realtà la faccenda del ritardo autostradale italiano», ribatte Damiano Di Simine, presidente di Legambiente Lombardia, «è una bugia ideologica, basta guardare a una qualunque mappa della pianura padana per rendersene conto. caso mai il vero ritardo è sul trasporto delle merci su ferro, oggi fermo a un misero 6%. La verità è che l’Italia ha bisogno di un diverso tipo di infrastruttarazione, visto che ci troviamo di fronte a enormi aree urbane come quelle lombarde e come quella veneta, aree in cui non si è fatta mai pianificazione territoriale, in cui si è costruito senza tener conto della mobilità delle merci e delle persone, creando una inevitabile congestione».

L’esempio più lampante è quello della cosiddetta Pedemontana Lombarda. Cinque miliardi di costo, in gran parte a carico dei privati con il meccanismo del project financing, 87 chilometri di autostrada (più 70 di viabilità locale) tra gli aeroporti di Malpensa e Orio al Serio, attraverso la Lombardia produttiva, la bergamasca, la Brianza, il Varesotto, una delle zone più densamente popolate d’Europa: «Viene propagandata come la più grande opera europea», spiega Di Simine, «mentre in realtà quella che si andrà a creare è un’opera totalmente disfunzionale. Perché quello è un territorio che ha bisogno di interventi alla rete viabilistica già esistente, per migliorare la viabilità ingolfata in quella che ormai è come un’unica grande città: chi farebbe passare un’autostrada in mezzo a una città? C’è bisogno di trasporto metropolitano, anche di viabilità stradale, certo, ma non certo di un’autostrada che, sui percorsi di breve gittata, è dimostrato che non serve».
 


La cartina dei cantieri nel Nord Italia a cura di Matteo Riva

E infatti i comitati della zona (che domenica 22 settembre hanno sfilato in corteo a Desio) chiedono miglioramenti viabilistici per eliminare i colli di bottiglia, piccole tangenziali dei centri abitati, nuovi collegamenti agli svincoli esistenti, trasporti ferroviari migliori in un territorio dove le ferrovie ci sono, ma sono mal collegate tra loro: «E anche gli imprenditori della zona», spiega Di Simine, «nella maggior parte dei casi hanno il problema dell’ultimo miglio e non sentono affatto la necessità di una nuova autostrada». Che per di più andrebbe a gravare sui costi aziendali, visto che la Pedemontana, come tutte le opere in cantiere, sarebbe a pedaggio. E pure salato: «Chi fa brevi percorsi continuerà a usare la viabilità ordinaria. E il problema del traffico non sarà risolto».

Un meccanismo perverso
Già, perché il meccanismo del project financing, venduto come la bacchetta magica per far partire opere pubbliche che lo Stato non ha più i quattrini per finanziare, ha questo risvolto inevitabile: le imprese che investono devono avere ritorni adeguati. Uguale: tariffe di pedaggio alle stelle. Ma non c’è solo questo. C’è anche che la bacchetta magica, in questi tempi di crisi, sembra funzionare molto male. E se a dirlo è proprio Confindustria, c’è da crederci. L’ultimo report di OtiNordOvest ha segnalato il grave ritardo in cui si trovano tutti i cantieri e i progetti del settentrione. Colpa dei soliti intoppi burocratici, certo, ma soprattutto della difficoltà di reperire finanziamenti per opere costosissime. In Lombardia, entro la fatidica data dell’Expo 2015, sarà pronta solo la Brebemi (la nuova arteria che collega Milano a Brescia). Della Pedemontana nel migliore dei casi si completerà solo la bretella di collegamento tra le autostrade A8 e A9 e per la Tem (la tangenziale esterna di Milano), si riuscirà a portare a casa solo un tratto, quello che eviterà che la suddetta Brebemi sfoci in aperta campagna…  

All’appello mancherebbero, secondo Confindustria, circa 7,1 miliardi sui 10 previsti per le autostrade lombarde: «Questo accade», spiega Stefano Lenzi coordinatore Trasporti e Infrastrutture WWF Italia, «anche a causa di meccanismi di approvazione dei progetti che sono veramente folli. Si fanno progetti preliminari che si mettono in gara con il project financing, poi arrivano tutte le prescrizioni di carattere ambientale e le varianti che fanno lievitare i costi: la Brebemi è già arrivata a raddoppiare la cifra preventivata». Così accade che la certezza dei tempi e dei costi se ne va a farsi benedire e lo Stato deve intervenire. O con interventi diretti di iniezione di denaro pubblico, come è accaduto per la Tem, a cui il Decreto del Fare dello scorso giugno ha regalato 350 milioni a fondo perduto. O con incentivi fiscali ad hoc, come quelli avviati dal governo Monti e ora  confermati da quello Letta, destinati proprio alle opere in project financing: le imprese coinvolte potranno godere di sconti sotto forma di compensazione con le imposte sui redditi, l’Irap e l’Iva. Contro quest’ultimo provvedimento le associazioni ambientaliste si sono immediatamente rivolte all’Unione europea con un ricorso, considerandolo un indebito aiuto di Stato.

«Il fatto è che è cambiato il contesto economico», spiega Di Simine, «per lungo tempo si è pensato che le autostrade fossero galline dalle uova d’oro con grandi margini di utili e che quindi le banche dovessero investire in queste opere a prescindere dalle valutazioni dell’utilità dell’opera. E i politici locali, in vorace ricerca di nastri da tagliare, hanno pensato di potersi avvantaggiare di questa munificenza bancaria». Ma ora le banche sono meno generose, la liquidità un miraggio, i costi lievitano e finanziatori latitano. E i nodi della “bacchetta magica” vengono al pettine: «Il fatto è», spiega Boitani, «che spesso i progetti venivano scelti non perché più necessari, più utili socialmente, ma semplicemente perché erano finanziabili. E questo ha creato una grande distorsione». Insomma, visto che soldi pubblici non ce ne sono, si punta sui finanziamenti dei privati. Che però rischiano solo in opere che possono risultare profittevoli, quindi grandi arterie autostradali a pedaggio e non certo piccoli interventi che potrebbero risolvere i problemi di traffico alla stessa maniera se non meglio. Altro effetto perverso del project financing: «Spesso questo tipo di progetto», aggiunge Boitani, «si regge in piedi solo se il traffico aumenta. E un modo per far aumentare il traffico è collocare lungo questi percorsi outlet e centri commerciali, che fanno aumentare il traffico. E anche il consumo di suolo».

Mille centri di ricerca
Se l’obiettivo è il business e non il miglioramento della mobilità, non c’è da sorprendersi che «manchino, in queste grandi opere, analisi serie che dimostrino la redditività delle tratte e la loro utilità a livello trasportistico», spiega Lenzi. E non c’è da soprendersi che questo tipo di analisi, invece, le facciano proprio i comitati che a queste opere si oppongono: «La forza dei comitati», spiega Luca Martinelli, autore del libro “Salviamo il paesaggio!”, edito da Altraeconomia «è nella loro capacità di argomentare le loro tesi con analisi e numeri precisi e circostanziati. Oggi si leggono articoli in merito ai problemi di raccolta delle risorse per infrastrutture come Pedemontana e Tem messi in luce già qualche anno fa dalle analisi fatte dai comitati». Altro esempio: gli attivisti del Comitato No Valdastico Nord che, a forza di documentazione, hanno fatto saltar fuori alcune “stranezze” nell’iter del progetto, legato agli interessi del concessionario, che è quello che gestisce oggi l’A4 Brescia-Milano (vedi box accanto). «Incongruenze che la classe politica che ha preso decisioni importanti su quest’opera », dice Martinelli, «non ha nemmeno notato». Le grandi opere hanno risvegliato tanti focolai di attivismo, che hanno riavvicinato centinaia di cittadini al loro territorio, prodotto analisi, progetti alternativi che troppo spesso politica e grande impresa hannosnobbato.

«Siamo sempre pronti all’ascolto e al dialogo e a prendere in discussione le richieste che arrivano dai comitati», replica Cristina Manara di Confindustria. Che però non crede che questo fermento di attivismo rappresenti l’opinione della maggioranza dei cittadini di quei territori, «che secondo me è invece favorevole alle opere». Sarà vero? Difficile dirlo. Resta il fatto che spesso i comitati pagano lo scotto di un’eccessiva frammentazione e di un’incapacità di superare gli stretti confini delle loro localissime vertenze: «Invece», spiega Martinelli, «è necessario fare sistema, aggregare le sigle», come capita con il Forum Salviamo il Paesaggio che è riuscito, nell’iter di approvazione della Legge Catania sul consumo di suolo agricolo, a ottenere modifiche importanti. «E si deve comunicare in maniera appropriata, attraverso internet, i social network, usando un linguaggio il più possibile accessibile, che coinvolga le persone». Percorrendo le uniche autostrade che i comitati ritengono davvero utili: quelle telematiche.

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