Mondo

Brave le ong. purché stiano zitte

Due arresti per aver denunciato stupri. Così Khartoum tenta di intimidire gli umanitari. E spesso ci riesce.

di Joshua Massarenti

«Stavo attingendo acqua lungo il fiume, quando un gruppo di uomini in uniforme mi hanno chiesto di dissetarli. Ma non appena ho dato loro l?acqua, mi hanno rigettato il secchio in faccia. Quindi mi sono avviata verso il mio villaggio, con i militari decisi a seguirmi. Giunta nei pressi del villaggio, mi hanno poi ordinato di andare nel loro campo. Al mio rifiuto, hanno deciso di portarmi via. Mia madre era a due passi e chiese loro di lasciarmi in pace. Ma gli uomini iniziarono a pestarci. Mia madre è crollata al suolo. E uno degli uomini mi ha preso da parte e violentato». Questa testimonianza è stata raccolta lo scorso gennaio da Medici senza frontiere (sezione Olanda) da una donna di 28 anni originaria del West Darfur, in Sudan. Come lei, ce ne sono altre 500, di età compresa fra i 12 e i 45 anni, che tra ottobre 2004 e febbraio 2005 sono state ?prese in carico? da Msf in seguito ad abusi sessuali perpetrati da miliziani o militari (in)direttamente sostenuti dal regime sudanese di Khartoum. Per molte di loro, il silenzio sarebbe stato insopportabile. E così hanno deciso di parlare, rilasciando una serie di testimonianze agghiaccianti, parte delle quali raccolte in un rapporto di otto pagine pubblicato da Msf lo scorso 8 marzo dal titolo inequivocabile: Il fardello drammatico dello stupro. La violenza sessuale in Darfur. Ma questa pubblicazione, Msf l?ha pagata un prezzo altissimo. Nello spazio di 24 ore, tra il 30 e il 31 maggio, il responsabile Msf-Holland in Sudan, Paul Foreman, e il suo coordinatore in Darfur, Vincent Hoedt sono stati arrestati dalle autorità governative e successivamente rilasciati su cauzione. L?accusa è di «crimini contro lo Stato»?. Per Hoedt, «si parla addirittura di pubblicazione di rapporti falsi, di spionaggio e di minaccia alla società sudanese», dichiara a Vita il portavoce di Msf in Sudan, Miles Kempley. «A quanto ci risulta», prosegue, «non hanno subito né minacce verbali né aggressioni fisiche durante il loro interrogatorio. Restiamo quindi fiduciosi, anche se il futuro si annuncia davvero difficile». E non solo per Msf. In realtà la vicenda della più importante ong internazionale in Darfur (circa un terzo degli operatori umanitari presenti nella regione occidentale del Sudan sono di Msf) è solo la punta di un iceberg alla deriva. «Negli ultimi sei mesi», ricorda Leslie Leskow di Human Rights Watch (Hrw), «sono stati arrestati una ventina di operatori umanitari, sia locali che internazionali, appartenenti a sette ong attive nell?area di Nyala, nel Sud Darfur». Ma a differenza di Msf, «nessuna di queste organizzazioni ha voluto pubblicizzare gli arresti per paura di ritorsioni da parte di Khartoum». Che il silenzio fosse d?obbligo e la paura enorme, ne abbiamo avuto la conferma cercando di interpellare alcune ong operative in Darfur. A ogni tentativo di richiesta di informazione sulle difficoltà incontrate sul terreno, la risposta è sempre la stessa: «Non fateci parlare di queste cose. Qui la situazione è complicatissima, se non disastrosa». Anche garantendo l?anonimato, c?è chi si giustifica con la volontà «di voler tornare a casa sano e salvo». Il giro di vite imposto dal governo sudanese alle ong risponde a una precisa esigenza: limitare al massimo il diffondersi di notizie fuori dal perimetro darfuriano. Per chi viola il ?segreto di Stato?, le conseguenze sono pesantissime. A farne le spese è stato addirittura il traduttore sudanese di Kofi Annan, arrestato all?indomani della partenza del segretario generale dell?Onu dopo tre giorni di tournée in Sudan (27-30 maggio). La sua colpa: aver tradotto le testimonianze di alcuni dei 100mila sfollati del campo profughi di Kalma (Sud Darfur). Del resto, i problemi riscontrati sul terreno dagli operatori umanitari si misurano con le percentuali di accesso dei civili ai beni primari da consegnare. L?ultimo rapporto Onu Darfur Humanitarian Profile (aprile 2005) rivela che delle 2,6 milioni di persone afflitte dal conflitto, il 43% non ha accesso né al cibo né all?acqua potabile. Per limitare i danni, la comunità internazionale ha deciso di rafforzare il suo sostegno logistico e finanziario alla missione di pace dell?Unione africana (Unamis) in Darfur. Al termine di un summit svoltosi il 26 maggio a Addis Abeba (Etiopia), la Nato, l?Ue, l?Onu e l?Ua hanno deciso di stanziare 200 milioni di dollari a sostegno dell?Unamis. Da parte sua, l?Alleanza atlantica, per la prima volta nella storia coinvolta in un conflitto africano, si è detta pronta a offrire ponti aerei, addestramento e sostegno logistico a una missione di pace che al momento dispone di soli 2.400 soldati (per una regione grande come la Francia) e che da qui a settembre dovrebbe salire a 7.700 uomini. Una misura fortemente voluta da Kofi Annan, conscio, dopo il suo soggiorno in Darfur, che «laddove l?Ua è presente 24 ore su 24, 7 giorni su 7, la sicurezza aumenta». Sia per i civili che per gli operatori umanitari.


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