Sostenibilità

Brasile. Se l’energia verde produce schiavi

L'altra faccia del boom dei biocarburanti

di Paolo Manzo

Che il governo dell?ex sindacalista-operaio Luiz Inácio Lula da Silva punti tutto sulle cosiddette energie verdi è risaputo. Lo testimoniano i 17,7 miliardi di litri di bio-etanolo prodotti dalla stagione 2006-2007 e dal fatto che il Brasile, assieme agli Stati Uniti, garantisce oltre l?80% dell?energia verde mondiale.

Il signor Barbosa
Ma non è tutto oro ciò che luccica perché per produrre bioenergie è necessario coltivare canna da zucchero in grandissime quantità e, proprio per questo, l?euforia intorno ai biocombustibili è vista con sospetto da molti, a cominciare dai popoli della foresta. Agli occhi di Júlio Barbosa de Aquino del Cns, il Consiglio nazionale dei seringueiros, i lavoratori addetti all?estrazione del caucciù, quella che viene presentata come un?opportunità eccezionale altro non è che una grande minaccia. «Per noi il boom del bioetanolo rappresenta un rischio enorme perché le monoculture su grande scala, come la soia e la canna da zucchero, continuano a fare pressione sulle frontiere dell?Amazzonia».

La sua reazione di fronte all?espansione della canna è l?altra faccia della medaglia della proposta di consolidamento di un mercato internazionale dell?etanolo che fa luccicare gli occhi di Lula, dei grandi industriali del settore, di chi investe nell?agro-business e dei grandi consumatori di energia, a cominciare da Stati Uniti, Giappone e Unione Europea. Ma voci che fuoriescono dal coro come quella di Barbosa fanno capire come la sostenibilità non si possa ridurre solo al combustibile, più o meno inquinante, che brucia nei motori delle macchine. Lo dimostra la nuova ondata di ?lavoro schiavo? che, pur essendo stato abolito in Brasile nel 1888, per la produzione di energia verde è tornato prepotentemente alla ribalta.

Da brividi la storia di un altro Barbosa, di nome Juraci, morto a 39 anni dopo aver lavorato la canna da zucchero per 70 giorni di fila sotto il sole. Juraci Barbosa è «morto per schiavitù»: lo ha riconosciuto ufficialmente anche il ministero del Lavoro, confermando quello che lo Iea, l?Istituto di economia agricola, aveva rivelato già da tempo. Certo, la produttività dei lavoratori della canna da zucchero nel solo stato di San Paolo è aumentata del 7,89 % negli ultimi tre anni, ma finora quindici persone sono già morte per sfinimento.

Il bioetanolo si ottiene mediante un processo di fermentazione delle biomasse della canna da zucchero. Produzione questa che nel solo 2006 in Brasile ha quasi raggiunto i 6mila litri per ettaro coltivato, una cifra enorme se si pensa che nel 1975 era di appena 2mila litri. Del resto Brasilia è arrivata a coprire circa il 20% dei consumi di carburante dei trasporti interni e lo zucchero insieme all?alcool è il secondo prodotto agricolo d?esportazione, con giri d?affari valutati in otto miliardi di dollari l?anno. Boom della produttività e delle esportazioni e, parallelamente, boom del ?lavoro schiavo?: 1.108 lavoratori lo scorso 30 giugno sono stati liberati dall?unità mobile del ministero del Lavoro dopo essere stati costretti a turni di lavoro massacranti dalla Pastoril Agricola S.A., unica azienda del Pará (lo stesso stato dove nel 2005 fu uccisa suor Dorothy Stang) a produrre bioetanolo.

Sviluppo anarchico
Oltre alla nuova schiavitù e ai rischi per l?Amazzonia, il boom dell?energia verde sta anche rivoluzionando la produzione agricola del Paese. «L?allevamento tradizionale nello stato di San Paolo sta scomparendo e si sta, di conseguenza, modificando la vita di molta gente». Questo l?allarme lanciato qualche settimana fa dalla Folha, prestigioso quotidiano brasiliano: siamo di fronte a una vera e propria invasione della canna da zucchero nelle terre coltivate a pascolo. Non solo nello stato paulista ma anche nel Mato Grosso, nel Tocantins e a Goiás, tutte regioni dove il bestiame sino a ieri aveva distese sterminate per rifocillarsi, mentre oggi è rinchiuso in recinti sempre più stretti.

Un paradosso per un Paese che misura 33 volte l?Italia per estensione territoriale. Ma è un fatto che dal 2003 ad oggi i terreni coltivati a canna da zucchero nel solo stato di San Paolo sono cresciuti del 17,63%, mentre quelli a pascolo si sono dimezzati. I rischi della rivoluzione verde sono dunque enormi «dal momento che oggi in Brasile la corsa verso i biocombustibili è totalmente irrazionale», spiega Sérgio De Zen, ricercatore del Centro studi in economia applicata dell?università di San Paolo.
Paolo Manzo


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