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Brasile: perché da tre anni il prezzo della benzina non aumenta

di Paolo Manzo

Da tre anni in Brasile il prezzo della benzina e del diesel al consumatore non è aumentato neanche di un centesimo. Nello stesso periodo il prezzo del petrolio trattato sui mercati di Londra e a New York è passato, invece, da meno di 60 a 135 dollari il barile. Certo, un lieve aumento del prezzo dei carburanti pari al 10% alla fonte, ossia il prezzo a cui l’azienda pubblico-privata Petrobras commercializza questa materia prima indispensabile per qualsiasi economia, è stato annunciato nei giorni scorsi dal ministro dell’Economia brasiliano, il genovese di nascita Guido Mantega. Il quale, tuttavia, si è premurato subito di comunicare la simultanea riduzione del 10% delle imposte statali sui prezzi alla pompa. Il risultato è stato appunto che da tre anni la benzina costa sempre, 2,70 reais il litro. Niente rispetto all’incremento netto superiore al 100% del prezzo del barile.

Come mai il Brasile sembra immune dalla crisi internazionale che fa sì che in tutti i paesi del mondo meno i produttori tradizionali, il prezzo del carburante aumenti? Oltre alla leva fiscale, molto semplicemente perché, negli ultimi tempi, il paese del samba si è scoperto grande produttore. Forse addirittura il principale produttore dell’intera America Latina, potenzialmente in grado di scavalcare due giganti dell’Oro nero quali Venezuela e Messico. E che il Brasile sia la nuova Arabia Saudita sembrano convinti in tanti, a cominciare dal Wall Street Journal che ha aperto qualche settimana fa con le nuove scoperte petrolifere della baia di Santos le quali, assieme ai biocarburanti che oramai forniscono la maggior parte del parco macchine brasiliano, de facto sembrano rendere il paese immune dal crescente prezzo del petrolio, al pari dei paesi già considerati produttori dai salotti buoni dell’economia energetica mondiale. Interessante, da questo punto di vista, anche l’analisi della Stratford, agenzia di news e di analisi geopolitico-militari con sede a Washington, la quale collega la scoperta di Tupi al nuovo ruolo di superpotenza regionale del Brasile, cui gli Usa guardano con moltissima attenzione per controllare l’intera area sudamericana.

In seguito alle ultime scoperte, infatti, il titolo Petrobras è letteralmente schizzato in Borsa. Secondo i calcoli della società di consulenza Economatica (www.economatica.com) il valore delle azioni della compagnia petrolifera brasiliana, pari a 287.171 miliardi di dollari Usa, ha superato anche la Microsoft. Tra le prime 50 multinazionali dell’intero continente americano (Nord, Centro e Sud), il gigante verde-oro è addirittura terzo, appena dietro alla Exxon Mobil e alla General Electric. Stupefacente o no?

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