Welfare

Branca: «La scuola bocciata in integrazione»

Mentre l'anno scolastico che è appena iniziato ha il 9% di alunni stranieri sui banchi, arriva il pungente giudizio del docente universitario esperto di migranti e seconde generazioni. Una provocazione che può portare l'istituzione scolastica a migliorarsi

di Daniele Biella

Alunni stranieri, è record: nell’anno scolastico che è appena iniziato mancano di poco la soglia di 800mila unità, arrivando per la prima volta al 9% del totale. La stima arriva dalla direzione generale del Miur, che indica anche come la crescita annuale, però, sia più contenuta rispetto a tre anni fa, con 40mila unità in più all’anno contro le 70 mila di fine primo decennio del XXI secolo. Segno che molte famiglie sono tornate nel paese d’origine a causa della crisi economica, soprattutto quelle provenienti dall’Est Europa, Albania in primis. “E’ importante sottolineare il fatto che molti stiano tornando a casa: l’ invasione paventata da qualcuno non c’è stata e non ci sarà”, sentenzia Paolo Branca, docente di Lingua e letteratura araba all’università Cattolica di Milano e profondo conoscitore delle dinamiche legate alla quotidianità dei giovani stranieri in Italia. Rimane comunque il dato: quasi uno studente su dieci nelle aule d’Italia oggi ha origini straniere. “Un potenziale incredibile, perché la scuola è il luogo principe dell’integrazione. Peccato che la stessa scuola sia del tutto impreparata”.

Professor Branca, boccia la scuola in 'integrazione'?
Sì. Lo stesso vale per la società, di cui la scuola è uno specchio. Attenzione, però: sto parlando dell’istituzione scuola, non degli insegnanti, che spesso fanno salti mortali per valorizzare le singole storie personali degli alunni che arrivano da fuori, o che hanno genitori stranieri ma sono nati in Italia: c’è da ricordare che gran parte di quelli che chiamiamo ‘stranieri’ si sentono più italiani che vicini alla patria della famiglia, e parlano italiano benissimo.

Dove sbaglia l’istituzione scolastica?
È troppo italocentrica nell’insegnamento, cosa che oggi non ha molto senso. Basterebbe ricordare che l’Italia stessa si è unificata da tanti regionalismi. Lo stesso potrebbe valere oggi, con i relativi distinguo, ma dando più spazio alle varie regioni del mondo, alla diversità tra culture intesa come ricchezza. Molti docenti vanno in questa direzione, lo ribadisco, seppur a volte compiono errori di ingenuità ‘folcloristica’, ad esempio quando chiedono a un bambino proveniente dall’Africa di descrivere alla classe i cammelli: è evidente che poi l’alunno, soprattutto nella scuola elementare, sarà marchiato da questa associazione.

Come vede la relazione tra studenti italiani e di origine straniera?
Molto più avanzata del mondo in cui vivono. Il punto è che a una certa età gli studenti non italiani odiano sentire differenze tra loro e i coetanei solo per il fatto di avere un’origine diversa. Per questo può capitare di sentire parlare tra loro in italiano, e spesso anche in modo gergale, due persone della stessa nazionalità straniera: vogliono seguire la logica del branco, ovvero sentirsi parte del gruppo e fanno di tutto per essere accettati. Ciò va capito, perché poi una volta arrivati alle superiori i giovani, nel farsi domande su di sé, recuperano anche le proprie tradizioni e, se si sentono ben inseriti, sono una risorsa in più per la società. Oggi hanno un alto grado di maturazione anche nei nostri confronti e possono essere persino d'aiuto nel farci capire come migliorarci: stanno uscendo anche libri in questa direzione, uno molto interessante è Italiani per esempio (ed. Feltrinelli, ndr).

La politica latita nel promulgare la legge sulla cittadinanza, che concederebbe maggiori diritti ai giovani stranieri, in particolare alle seconde generazioni. Cosa servirebbe allora per migliorare la situazione?
Il lungo tira e molla sulla concessione della cittadinanza è il segno che i politici non sono assolutamente al passo con i tempi. Legge a parte, basterebbero piccoli segni di attenzioni che però oggi mancano del tutto. Un esempio: perché non facilitare l’ingresso in Italia di chi, fin da piccolo, studia italiano nelle scuole missionarie di tutto il mondo? Ho toccato con mano l’esempio degli alunni egiziani che studiano nelle scuole salesiane: sono pronti e competenti per venire da noi svolgendo mansioni anche ricercate, come ingegneri o professionisti di vario tipo. Invece loro, per ottenere anche un semplice visto, devono fare la trafila canonica che il più delle volte non ha esito positivo. Perché non promuovere borse di studio in tal senso? Così come altre borse per studiare in Italia materie umanistiche, oggi poco seguite dagli studenti non italiani perché spesso più desiderosi di specializzarsi in ambito tecnico-scientifico, magari per realizzare il sogno interrotto del padre. Dico questo perché così questi giovani potrebbero crescere meno sguarniti dal punto di vista culturale rispetto ai loro coetanei, e nello stesso tempo valorizzare la loro cultura d’origine.


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