Il trafficante di armi più famoso al mondo, il russo Viktor Bout, è stato condannato dalla corte federale di New York a 25 anni di carcere. Soprannominato “il mercante di morte”, Bout era stato arrestato in Thailandia nel 2008 ed estradato negli Stati Uniti per rispondere delle sue attività criminali. Dopo la caduta del Muro di Berlino, Bout ha approfittato del crollo dell’impero sovietico per impadronirsi di alcuni aerei militari rimasti inchiodati sui campi di aviazione. Gli Antonov e Ilyushin sono noti per le loro capacità di carico eccezionali e la capacità di atterrare su piste impossibili. Un valore aggiunto prezioso che, secondo la giustizia americana, ha consentito all’ex ufficiale dell’aeronautica sovietica di trasportare e vendere in modo illegale una quantità impressionante di armi (soprattutto munizioni e kalashnikov) «ai regimi più crudeli e più violenti del mondo». Durante il suo processo, Viktor Bout ha giurato «su Dio di non aver mai venduto armi». Ma i rapporti delle Nazioni Unite e di numerose organizzazioni di difesa dei diritti umani sui conflitti in Congo, Liberia, Libano o Colombia hanno dimostrato la colpevolezza del trafficante russo.
La condanna della Corte federale di New York chiude definitivamente i conti con l’era Bout, ma il traffico di armi rimane una minaccia costante in molte aree geografiche. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute, nel periodo 2007-2011 il volume della compra-vendita bellica mondiale è aumentato del 24% rispetto al periodo compreso tra il 2002 e il 2006. L’India è in cima alla classifica dei maggiori importatori di armi al mondo, mentre America e Russia si contendono il primato come più grandi esportatori, soddisfando rispettivamente il 24 e il 30% del mercato bellico mondiale. Per contrastare il fenomeno, l’Onu organizza a luglio una conferenza con l’obiettivo di negoziare un trattato vincolante in materia di commercio delle armi convenzionali.
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