Politica

Bosnia, segnali di società civile

Un portale racconta il terzo settore postbellico

di Daniela Verlicchi

«Disoccupazione (il 40% dei giovani non ha lavoro), burocrazia dilagante, un sistema sanitario inefficiente, politici corrotti e, di conseguenza, scarsa partecipazione dei cittadini al processo democratico». La Bosnia degli anni 2000 ha un tessuto sociale disgregato nel quale il terzo settore «è un efficiente supporto a un welfare che si sbriciola». Parola di un?osservatrice di eccezione, Valentina Pellizzer, 40 anni, ex cooperante e oggi direttrice del portale d?informazione sul terzo settore balcanico One world See.

Vita: Cos?è One World See?
Valentina Pellizzer: È un portale regionale che ha sede a Sarajevo e che fornisce informazioni sul terzo settore nelle tre lingue locali (albanese, macedone e il gruppo linguistico sud-slavo). Abbiamo 11 corrispondenti da Albania, Croazia, Bosnia, Montenegro, Serbia e Kosovo. L?idea è quella di raccontare la società civile alla società civile: creare contenuti orientati non solo all?esterno ma anche alle associazioni. Per sviluppare relazioni e creare una massa critica.
Vita: Cosa ti ha portato a lavorare a Sarajevo?
Pellizzer: L?assurdità della guerra. Ho iniziato nel 1992 con la mia ong, il Cric – Centro Regionale di intervento per la cooperazione, lavorando ad un progetto di sensibilizzazione sul territorio calabrese. Nel 1994 poi sono partita per Rijeka, in Croazia, poi ho lavorato a Vukovar, in un campo profughi e infine a Sarajevo. Era l?agosto del 1996. Ci tornai nel 1999, come scelta di vita. Nel 2003 poi è iniziata l?avventura di One world See.

Vita: Cosa ti ha sorpreso del terzo settore in Bosnia?
Pellizzer: È molto professionale: un efficiente supporto a un welfare che si sbriciola. D?altra parte, trovo che molti abbiano una concezione un po? ?impiegatizia? del lavoro di cooperazione. Una parte di terzo settore non riesce ad essere anche società civile: la passione politica e civile vengono messe da parte in virtù di un giusto principio d?indipendenza dai partiti che a volte però nasconde una reale mancanza di opinioni e di critica.

Vita: Cosa potete insegnare al terzo settore europeo?
Pellizzer: La sostenibilità di alcune associazioni è sorprendente, se si tiene conto che non esistono meccanismi come il finanziamento pubblico. Ci vuole creatività, resistenza, abilità per far quadrare il cerchio. È il pragmatismo tipico dei Balcani.
Vita: Se i soldi non arrivano dallo Stato, allora da chi arrivano?
Pellizzer: Dai grandi donatori, US Aid per esempio, dalle fondazioni e dalla cooperazione internazionale (il ministero britannico per lo Sviluppo internazionale, per esempio; quello canadese e quello svedese, poi). Ora però stanno diminuendo e qui viene il bello.

Vita: Cioè? Come è cambiato il terzo settore dalla guerra civile ad oggi?
Pellizzer: All?inizio bisognava affrontare le grandi emergenze. C?erano le organizzazioni umanitarie internazionali che si occupavano di distribuire gli aiuti attraverso i loro partner locali. Nei Balcani la forma di organizzazione non profit più comune è quella delle associazioni di cittadini, che è persino riconosciuta giuridicamente. Nel dopoguerra questi organismi hanno subìto una trasformazione importante: da generiche (umanitarie, appunto) sono diventate specialiste, sviluppando un proprio mandato e definendo la propria area di intervento. Infine c?è la terza generazione : associazioni e organizzazioni che non nascono da un bisogno impellente ma dalla necessità di riunirsi perché qualcosa non funziona. Quello che comunemente chiamiamo società civile.

Vita: Voi considerate il terzo settore europeo come un modello?
Pellizzer: In qualche modo sì, anche se spesso è un modello che genera frustrazione. La situazione qui ovviamente è molto diversa: la società è esplosa, le istituzioni sono sorde a qualsiasi bisogno della società civile. D?altra parte, l?Europa non è un blocco unico: ci sono situazioni molto comparabili alle nostre. Ad esempio la Slovenia, che oggi è Europa. È un modello comprensibile per noi perché faceva parte di un sistema comune, quello socialista, e lì il terzo settore è riuscito ad evolvere positivamente.


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