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Bosnia: l’ultima frontiera e la memoria (persa) dei migranti

Un racconto corale, curato da Gabriele Proglio, "Bosnia: l’ultima frontiera – Racconti dalla Rotta Balcanica” che mette insieme le voci di chi conosce bene la Rotta e quei profughi che la attraversano. Un libro nato per non disperdere la loro memoria e ricordare che c'è una dimensione soggettiva dell’immigrazione. «I migranti si sentono continuamente fuori posto», dice Proglio, «non c’è tregua. Quello spostamento di significati – rispetto a come si era – riguarda un equilibrio precario, mai definito». Una parte dei ricavati della vendita del testo andrà a finanziare l’attività dell’associazione Linea d’Ombra ODV che supporta le persone migranti che tentano di arrivare in Europa

di Anna Spena

È un racconto corale quello curato da Gabriele Proglio direttore del progetto di ricerca “Mobility of memory, memory of mobility. The Western Mediterranean Crossings in the XX and XXI centuries”, all’Università di Coimbra, al Centre for Social Studies, il progetto partito nel 2017 andrà avanti fino al 2023.

«L’obiettivo», spiega Proglio, «è studiare, dal punto di vista della storia culturale e orale, i tanti confini del Mediterraneo concentrando l’attenzione sulla mobilità e sul ruolo delle memorie». Da una parte di ricerca è nato il libro “Bosnia: l’ultima frontiera – Racconti dalla Rotta Balcanica”, disponibile da domani 26 giugno, pubblicato da Eris Edizioni.

È un racconto corale quello curato da Gabriele Proglio direttore del progetto di ricerca “Mobility of memory, memory of mobility. The Western Mediterranean Crossings in the XX and XXI centuries”, all’Università di Coimbra, al Centre for Social Studies, il progetto partito nel 2017 andrà avanti fino al 2023.

«L’obiettivo», spiega Proglio, «è studiare, dal punto di vista della storia culturale e orale, i tanti confini del Mediterraneo concentrando l’attenzione sulla mobilità e sul ruolo delle memorie».

Da una parte di ricerca è nato il libro “Bosnia: l’ultima frontiera – Racconti dalla Rotta Balcanica”, disponibile da domani 26 giugno, pubblicato da Eris Edizioni. Ma perché proprio la Bosnia è diventata l’ultima Frontiera? «Il Paese», spiega, «non è solamente una frontiera interna ai Balcani, ma anche una tra le più importanti nel Mediterraneo. Due sono gli eventi che hanno determinato il cambiamento dei passaggi migratori: la formalizzazione del blocco della traiettoria centrale, dalla Libia/Tunisia verso la Sicilia, con gli accordi del Ministro Minniti poi ripresi da Salvini e il patto siglato dall’Europa con la Turchia di Erdogan nel 2016. Da quel momento, la via per arrivare in Europa – la più “sicura” – è la rotta Balcanica».

Un racconto corale perché mette insieme le voci di chi quei territori e quei profughi che li attraversano li conosce bene. Come Silvia Maraone, project manager di IPSIA, Ong delle Acli che vive in Bosnia e ha scritto il primo capitolo del libro. O ancora Emanuela Zampa, fotografa specializzata in migrazioni e confini, pone attenzione al potere del passaporto, del viaggio nei campi di Boric ́i, Bira e Sedra. Mariapaola Ciafardoni, presidente dell’Associazione Almaterra, propone una riflessione sulle contraddizioni della Bosnia, tra campi oim e responsabilità individuali e collettive. Benedetta Zocchi, dottoranda alla Queen Mary University, analizza il game, il gioco – questo il termine usato da chi lo intraprende – per giungere oltre frontiera senza essere fermati dalle polizie. Gian Andrea Franchi, ex professore e attivista, affronta i temi dei corpi delle persone migranti, tra dolore ed evocazione della verità. E a chiudere la riflessione di Lorena Fornasir, psicologa ed attivista presidente dell’associazione Linea d’Ombra odv, sul trauma di violenze continue, di pushback e torture. Quelle vite non le vuole nessuno. Non l’Europa, e neanche la Bosnia che in quei corpi che scappano e sperano in una vita migliore, non si riconosce.

«Adesso In Bosnia si dimentica per non ricordare che, in qualche modo, c’è qualcosa di simile tra l’essere stati profughi dal 1992 al 1995 e la condizione di chi arriva oggi nel Paese. Perché anche se le vicende storiche sono diverse, i vissuti di chi scappa sembrano costruire una medesima geografia delle emozioni: la perdita definitiva di ciò che era casa e con lo spiazzamento perenne nel luogo d’arrivo. Si è continuamente fuori posto, non c’è tregua. E, dopo aver fatto il primo passo, indietro non si può tornare. Quando il viaggio fisico ha consumato tutti i chilometri inizia a divorare le ore. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, quello spostamento di significati – rispetto a come si era – riguarda un equilibrio precario, mai definito. È un’immagine di sé allo specchio che non convince, un gioco di appartenenze in cui il mosaico non è mai finito, è perennemente incompleto».

La Bosnia è il passaggio più difficile e importante che le persone migranti che la attraversano per entrare in Europa. Ma che memoria mantengono del loro vissuto? «Ci sono due questioni. La prima che raccogliere la memora di qualcuno che è in transito e non è ancora arrivato a destinazione mostra una serie di sentimenti e di emozioni anche di stati d’animo che sono contraddittori: da una parte c’è l’abbandono della loro casa, lasciarsi alle spalle la loro vita, dall’altra l’idea di una speranza al di là dei confini. Spesso si raccontano i migranti per i loro paesi d’origine, per il loro colore della pelle. Spesso li trattiamo solo come numeri. Invece c’è una dimensione soggettiva dell’immigrazione, perciò raccogliere le loro storie è fondamentale. Ci sono meccanismi che rendono invisibili queste persone o iper visibili se hanno commesso un reato. E questo creerà una grossa falla di produzione di sapere».

Credit Foto: Emanuela Zampa, dalla mostra "Corpi fuori posto", 2019.

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