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Bosnia, i richiedenti asilo vengono prelevati dai campi e buttati in strada

A denunciare l’accaduto Abdullah Khan, un ragazzo pakistano di 23 anni. «In Bosnia Erzegovina», dice Silvia Maraone project manager di Ipsia, Ong delle Acli, che vive nel Paese, «vige il caos. Il Cantone di Una Sana vuole chiudere i campi gestiti dall’Iom. La polizia ha già preso, senza precisi criteri, 106 persone al Bira, campo nella città Bihać»

di Anna Spena

La Rotta Balcanica (ne abbiamo parlato qui Rotta Balcanica, attraversare i confini è un game disperato e qui Rotta Balcanica, migranti trattati come gli animali) che inizia in Grecia, e fisicamente finisce in Italia, a Trieste – non ha mai spesso di essere percorsa. Non l’ha fatto neanche nei mesi del lockdown, quando diversi campi profughi nei Paesi Balcanici sono stati messi in quarantena. I confini chiusi non hanno scoraggiato i migranti, non c’è confine chiuso che tenga se a farti muovere è la disperazione.

Negli ultimi mesi la situazione è peggiorata drasticamente. «In Bosnia Erzegovina», dice Silvia Maraone project manager di Ipsia, Ong delle Acli, e dei progetti Caritas lungo la Rotta Balcanica, «vige il caos. Partiamo dai numeri: sul territorio bosniaco ci sono tra gli 8mila e i 9mila migranti. C’è molto movimento adesso: la gente arriva dalla Grecia, risale la Serbia e poi arriva in Bosnia. L’obiettivo non è fermarsi, ma raggiungere la Croazia e poi l’Italia. La speranza finale è quella di arrivare in Nord Europa. In Bosnia il problema è che la maggior parte di queste novemila parsone sono concentrate nel Cantone di Una-Sana e divise tra le città di Bihać e Velika Kladuša».

Nei campi profughi gestiti dell’Iom (International Organization Migration) non c’è posto per tutti i migranti in transito. «Se campi non li riescono a contenere», continua Maraone, «le persone sono costrette a sostare negli squat, nelle foreste, in case abbandonate. Più persone fuori dai campi significa più persone che non hanno accesso all’acqua, ai servizi igienici, a un pasto. E per sopravvivere qualcuno si dà alla microcriminalità». É un circolo vizioso quello che si verifica in Bosnia, la popolazione del Cantone di Una Sana è arrabbiata ma non ha, dall’altro lato, la capacità critica di vedere che questa situazione è stata creata dai loro stessi politici che hanno iniziato ad eseguire deportazioni illegali dei migranti: le persone vengono prelevate dai campi profughi e lasciate in strada.

«La presidenza del Consiglio della BiH», spiega Maraone, «ha accolto la richiesta del Cantone di Una Sana di chiudere i campi nel cantone, il Bira a Bihać e il Miral a Velika Kladuša, la polizia cantonale con due autobus si è presentata al Bira e senza precisi criteri ha caricato i106 persone dei settori D e G, file dei container nel campo, e li ha portati via senza dire la destinazione. Arrivati a Lipa, altro campo profughi gestito da Iom, la struttura ha rifiutato l'accesso per mancanza di spazio e le persone sono state scaricate lì, senza una soluzione. Sottolineo che l'operazione è illegale perchè da un lato le perosne registrate nei campi hanno fatto richiesta di asilo nel Paese, dall'altro il personale dell'Oim non è stato informato "dell'iniziativa". Nel frattempo i media locali hanno aggiunto che la polizia continuerà nelle operazioni di sgombero del campo. Il problema è evidente: dove mettere queste persone? Nessuno nega che la situazione nel Cantone sia da tempo ben oltre la possibilità massima e che le politiche degli ultimi mesi non fanno che aumentare il problema. Quindi la soluzione dovrebbe concentrarsi sulla creazione di centri di transito umani e decenti in cui offrire protezione e alloggio alle persone in cammino. Ma purtroppo la battaglia tra cantoni e entità sub-statuali che da anni caratterizza il contesto locale non fa che accentuare la fragilità di questo Paese, giocando sulla pelle delle persone».

Un ragazzo del Bira, Abdullah Khan, 23 anni di origine pakistana, nel gruppo che migranti cacciati dal Bira e lasciato in strada, ha lanciato una petizione su change.org, per chiedere giustizia e rispetto dei diritti umani. “L'8 settembre 2020, io, Abdullah Khan, richiedente asilo registrato in Bosnia ed Erzegovina, insieme ad altri 100 migranti e rifugiati, beneficiari del campo profughi TRC Bira, sono stato portato fuori con la forza da questo campo dalla polizia bosniaca. Senza alcun preavviso, né a noi né all'OIM (l'organizzazione che gestisce i campi) siamo stati messi su un autobus senza sapere dove stavamo andando e siamo stati portati vicino alla TRC Lipa. Quando siamo arrivati ​​lì, la polizia ci ha lasciato e noi siamo rimasti fuori dal campo. Ci è stato detto che questo campo di Lipa non aveva posto per me o per le altre 100 persone che sono arrivate. Questo campo è già pieno con più di mille residenti, inoltre non ha condizioni adeguate, dato che gli alloggi sono in tenda e di notte la temperatura ora scende fino a 8ºC.

Dove dovrei andare adesso? La polizia e le autorità locali mi fanno diventare un senzatetto senza riparo e protezione. I miei diritti come umani vengono violati. Non solo per il fatto che sono legalmente registrato in un campo profughi e la polizia mi ha trasferito con la forza in un altro luogo, ma anche perché a noi rifugiati non vengono fornite le condizioni dignitose di base. Perché la polizia ha costantemente usato la forza, la violenza e la coercizione. Chiedo di essere rispettato come essere umano, chiedo condizioni di vita dignitose, libertà di movimento, protezione e la fine delle molestie da parte delle autorità”.

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