C’è chi li chiama lobbysti, chi non li può vedere, chi dice che farebbero meglio a pensare ai bambini e anche chi, quando li vede, carica la doppietta. Ma nessuno può negare che siano sempre di più, sempre meglio organizzati, e sempre più incisivi. Sono gli animalisti: centinaia di migliaia di persone che in Italia si impegnano per difendere “i non umani” e i loro diritti. Dagli estremisti ai moderati che si commuovono per la tigre che allatta i maialini, una cosa è certa: nessuno come loro è capace di mobilitarsi: mettendo mano al portafoglio, facendo clic sul computer, volantinando in strada o occupando un allevamento-lager.
Senza contare i fenomeni mediatici: dalla tv a internet, basta mettere un gatto, un cavallo o un cagnolino in video per guadagnare ascolti, contatti e clic. Dunque (anche) soldi. Uno degli esempi più eclatanti è il successo di Edoardo Stoppa, ultima star di Striscia la notizia, che gira per l’Italia denunciando chi maltratta le bestiole, salvo ritrovarsi anche lui maltrattato (l’ultima incursione, il 21 marzo, in un allevamento di cavalli a Treviso gli ha regalato la frattura del setto nasale). Amatissimo dai bambini e odiatissimo da titolari di circhi e fattorie-prigioni, Stoppa fa segnare regolarmente il picco d’ascolto di Striscia ed è diventato un punto di riferimento anche per il web: il suo sito, online dal 1° aprile, ha fatto subito il botto e su Facebook ha oltre 56mila fans. Sempre in tv, il successo è invece planetario per Cesar Millan, protagonista della serie Dog whisperer – Uno psicologo da cani, che mostra tecniche strabilanti di “riabilitazione canina”. In onda negli States dal 2004, oggi è trasmessa in oltre 80 nazioni del mondo, Italia compresa.
E che dire di fenomeni come Cheezburger Network, una rete di 53 siti di “videotormentoni” che genera ricavi a sette zeri grazie a pubblicità, merchandising e diritti? Star dei video più cliccati sono i gatti, ripresi nelle situazioni più strane e bizzarre, a riprova del fatto che il mercato dei “pet” non conosce frontiere né crisi.
Dal video al terreno
Anche il fronte dell’attivismo italiano è in piena fase di spinta, a partire dalla campagna per la chiusura della Green Hill, alla nascita della “Federazione italiana associazioni diritti animali e ambiente”, che riunisce organizzazioni importanti come Lav, Enpa, Oipa, Lega nazionale per la difesa del cane e la Leida di Michela Vittoria Brambilla (presidente della neonata federazione), fino ai risultati di 1ClickDonation, il contest che fa votare online le associazioni meritevoli di finanziamenti, che nella sua prima edizione ha visto trionfare tre associazioni animaliste. E se si dà uno sguardo ai risultati del 5 per mille, termometro del gradimento popolare per le non profit, si scopre che le realtà nel cui nome compaiono parole come animali, cane o gatto rappresentano ben il 10% del totale, mentre le più famose e organizzate (come Lav, Enpa, Oipa) sono ai vertici delle preferenze.
Ma come fanno, di questi tempi, queste organizzazioni (circa 800 quelle censite a livello nazionale, molte di più quelle locali) a raccogliere sostenitori in tutto lo Stivale? La chiave è il web, universo che coagula entrambe le anime dell’animalismo italiano, quello più istituzionale, legato alle sigle storiche, e quello più informale e aggressivo. La piazza virtuale per eccellenza è Facebook, dove pullulano gruppi locali che postano le segnalazioni di emergenze, casi di maltrattamento o richieste di adozione, ma negli ultimi tempi il fenomeno capace di attirare l’attenzione di migliaia di attivisti e mettere a fuoco la capacità di marketing sociale di gruppi, formali e non, è il caso Green Hill, lo stabilimento di Montichiari (Brescia) dove si allevano cani beagle destinati a sperimentazioni mediche.
Il “modello Green Hill”
Partita in sordina nel 2010, la mobilitazione contro Green Hill ha catturato in pochi mesi l’attenzione di media e grande pubblico. Niente di improvvisato: il sito fermaregreenhill.net, insieme al partner agireora.org, è un’eccellente case history da cui molte altre organizzazioni, anche di altri settori, potrebbero prendere spunto. Il visitatore curioso può trasformarsi in un provetto militante grazie a ogni genere di sussidio fornito online: volantini prestampati e manifesti, adesivi, magliette e spille, fino alle gallerie fotografiche già pronte per allestire mostre e banchetti, dal canale YouTube dedicato alla lista dei fornitori e clienti di Green Hill con tanto di telefoni e mail che i sostenitori sono invitati a “bloccare” con messaggi di protesta. Non basta: su agireora.org si trova il “Manuale dell’attivista” con tutte le istruzioni dettagliate per allestire, anche se si è principianti assoluti, tavoli informativi, volantinaggi di protesta, affissioni, cene benefit, interventi e conferenze in scuole e luoghi istituzionali, presidi e sit-in; il sito offre gratuitamente moduli-tipo per ottenere le autorizzazioni della questura, consigli utili per contattare i giornalisti, organizzare riunioni e ovviamente raccogliere fondi. Citate anche attività «non perfettamente lecite» come il blocco dei centralini o dei siti dei “nemici”, e la “liberazione” di animali di proprietà altrui.
Estremismi a parte ? che in Italia comunque non hanno mai preso piede davvero: le azioni rivendicate dall’Animal liberation front di casa nostra si contano ogni anno sulle dita di una mano ? la difesa degli animali è la vera miniera d’oro del consenso popolare per le non profit. Ne è convinto Gianluca Felicetti, presidente della Lav – Lega anti vivisezione, recentemente diventata la prima organizzazione animalista italiana con quasi 40mila tra soci e sostenitori. «Sì, il settore dell’animalismo è in crescita», conferma, «grazie sia alla ricchezza delle piccole realtà locali che al consolidarsi di quelle nazionali, che hanno deciso di costituire la Federazione proprio per contare di più e superare vecchie divisioni e gelosie. Siamo diventate adulte, non vogliamo più perdere tempo a sottolineare le differenze ma unirci su obiettivi comuni per essere più incisivi».
Una mossa che potrebbe però anche essere letta come un arroccamento contro la diffusione grassroots dei movimenti spontanei. Ma Felicetti non la vede così: «La Lav è stata la prima, vent’anni fa, ad occupare un allevamento di animali da pelliccia. Animalisti comunque si può essere in tanti modi, mica è obbligatorio essere vegani o incatenarsi alle inferriate di uno zoo. E sia chiaro: niente in contrario ad azioni anche illegali, come la liberazione di animali, purché fatte alla luce del sole e mettendoci faccia e firma. I passamontagna e gli incendi invece no: ci relegano in una galassia, quella del terrorismo, che non ha niente a che fare con noi. Solo un cretino non capisce che così fa il gioco dei nostri avversari».
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