Mi è capitato di leggere in questi giorni le previsioni demografiche dell’Onu (Population Division). Ebbene, la popolazione africana, dovrebbe crescere, entro il 2100, di ben quattro volte. In questo contesto, l’area continentale con l’incremento maggiore potrebbe essere l’Africa Occidentale (+436%). È bene rammentare che nel 1960 questo continente contava circa 284 milioni di abitanti, mentre oggi sono oltre un miliardo (circa 1.123.800.000 abitanti). Se l’Italia fosse cresciuta allo stesso ritmo oggi gli italiani sarebbero 185 milioni! Tra l’altro – in particolare nella zona Subsahariana – vi è un’enorme popolazione giovanile, (circa il 60% della popolazione con meno di 25 anni). Questa crescita esponenziale non può, però, essere, valutata solo in termini quantitativi. Infatti, l’aritmetica, in questo caso, non può prescindere dal dato qualitativo. Le stime degli esperti delle Nazioni Unite indicano che in Africa si registrerà un graduale e costante aumento della popolazione in età lavorativa. Nel frattempo, si ridurranno le fasce passive, sia quella troppo giovane, che quella troppo anziana, per essere considerate produttive. Un destino opposto a quello dei paesi occidentali, che saranno abitati da una popolazione sempre più anziana. Lo si evince dal cosiddetto “dependence index”, un indicatore che misura la percentuale delle persone di età inferiore ai 15 anni e superiore ai 64, rispetto alla fascia lavorativa. Se, ad esempio, l’indicatore misura il 70%, significa che ci sono 70 bambini/anziani ogni 100 persone in età lavorativa. Più alto è questo indicatore, maggiore è il numero di coloro che vivono in una condizione di dipendenza. Ebbene, nel 2010, il continente con il dependence index più alto era proprio l’Africa, con 80 persone in età non attiva (in gran parte minori) su 100 in età lavorativa. Di converso, l’Europa in quell’anno vantava un indice del 47%. L’Onu, però, prevede un ribaltamento in poco meno di un secolo. L’Africa diventerà così il continente per eccellenza della produttività, con un indice del 56% contro l’82% del Sud America e l’80% del Vecchio Continente. Da rilevare che già nel 2010, gli africani erano un miliardo, mentre gli europei risultavano essere 740 milioni. Nel 2100, invece, gli africani dovrebbero essere più di 4 miliardi, mentre l’Europa dovrebbe decrescere attestandosi attorno ai 639/650 milioni. L’Asia, invece, raggiungerà il suo picco tra circa 50 anni, con poco più di 5 miliardi di persone, per poi iniziare gradualmente a calare.
Quale impatto avrà, nel contesto della globalizzazione, questo fenomeno? Idealmente, potrebbe rappresentare un’opportunità , non foss’altro perché la forza lavoro dovrebbe essere intesa, in linea di principio, una grande risorsa. Ma non è tutto oro quello che luccica. Secondo uno studio di Oxfam – autorevole organizzazione non governativa britannica – oggi, 85 persone nel mondo hanno la ricchezza posseduta da 3 miliardi e mezzo di persone. Questo, in sostanza, significa che il governo mondiale è in mano ai plutocratici, cioè ai fautori di un liberismo economico finanziario al di sopra degli Stati sovrani. Questa casta vorrebbe controllare anche in futuro l’economia globale, consolidando il liberismo a proprio uso e consumo. Ecco che allora l’esercito di lavoratori di cui, tra poco più di 80 anni, l’Africa dovrebbe disporre, potrebbe essere vittima di un indicibile sfruttamento (manodopera a basso costo) da parte di grandi aziende straniere o multinazionali. Qualora invece, nel frattempo, si rafforzassero i meccanismi di state building, l’Africa potrebbe davvero trasformarsi in un Eldorado. Difficile, francamente, fare previsioni. Tra l’altro, qualora dovessero permanere gli stessi meccanismi del nostro attuale mercato globale, si genererebbero flussi migratori senza precedenti. Molto dipenderà dalla forza della politica nel consesso delle nazioni, sia nel Nord che nel Sud del mondo, impedendo un’iniqua sperequazione tra ricchi e poveri.
La sfida della sostenibilità del nostro pianeta, naturalmente, non può prescindere dai consumi energetici, in quanto, crescendo la popolazione mondiale, maggiore sarà la richiesta di energia su scala planetaria. Secondo l’International Energy Agency (Iea), entro il 2035, la domanda energetica a livello planetario crescerà di un terzo e il 90% dell’incremento sarà generato da Paesi non appartenenti all’Ocse, cioè da Paesi emergenti le cui economie sono in rapida ascesa (in particolare la Cina). Un simile scenario richiederà, da parte dei governi, una disponibilità al compromesso sulle delicatissime questioni ambientali che gli scarsi risultati riportati, finora, in sede internazionale, fanno ritenere lontana dal realizzarsi. Se il sovrasfruttamento ambientale dovesse inasprirsi, saranno molte le vittime dell’impatto ecologico e l’Africa, continente ricco di commodities, continuerebbe ad essere penalizzato. Sarà la Storia a giudicare.
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