Sostenibilità

Bonus ai manager, stipendi bassi ai promotori La miscela esplosiva che ha fatto flop

Parliamone

di Redazione

di Gustavo Ghidini*
Manager che fanno fallire la propria società e che, sempre per il medesimo risultato, a fine anno intascano un bonus milionario. Notizie del genere rimbalzano periodicamente sugli organi di stampa e fanno indignare l’opinione pubblica.
Si ritiene, addirittura, che una delle cause dell’attuale crisi finanziaria sia da ricercare proprio nella dimensione spropositata dei superbonus. Come affrontare, dunque, il problema? Tra i governi,sembra affermarsi la soluzione più ragionevole. Non un tetto ai bonus, che rappresenterebbe un non senso economico. La soluzione più probabile dovrebbe essere quella di cercare di correlare ai risultati di medio o lungo periodo dell’impresa, il bonus per il manager. La correlazione del bonus a eventuali risultati del breve periodo, non sarebbe invece una soluzione proponibile. Il miraggio del bonus potrebbe portare i manager a cercare di aumentare ad ogni costo gli utili, entrando presumibilmente in conflitto con gli interessi dei clienti. Si pensi al collocamento di titoli cosiddetti tossici.
La soluzione indicata, quindi, è assolutamente condivisibile tanto da chiedersi come mai non sia stata adottata da tempo. Sembra però che in questo modo si ponga rimedio solo a metà del problema. Già, perché non sono i manager che collocano materialmente i titoli tossici, sono le reti di promotori ad avere il contatto con il consumatore. Sono sempre queste reti a soffrire di un egual conflitto di interessi. Maggior rischio del prodotto collocato, maggiore commissione. Legge di mercato né buona né cattiva in sé purché si possa contare sulla professionalità e “imparzialità” del promotore. Garantire questa professionalità e imparzialità è compito delle reti. Il problema è che alcune direzioni di reti di promotori, nei fatti, sembrano incentivare una diversa strada. Una strada che porta verso l’acuirsi di quel conflitto tra operatore e consumatore. Come altro descrivere la prassi di riconoscere una remunerazione di “base” ridotta ai minimi termini ai promotori lasciando così alla spasmodica ricerca della provvigione più elevata la possibilità di raggiungere a fine mese uno “stipendio” dignitoso? A cosa porta una realtà di questo tipo? Al collocamento di prodotti rischiosi (ma più remunerativi per chi li colloca) anche a quei risparmiatori che tali prodotti non vogliono e non cercano.
Dopo aver curato la testa, quindi, sarebbe opportuno intervenire anche sulle braccia, altrimenti si rischia di aver fatto un intervento di facciata che, alla fine dei conti, non ha affatto curato il problema.
Il sistema deve essere ripensato in tutte le sue componenti, dai livelli dirigenziali a quelli operativi, avendo però sempre come riferimento la tutela del consumatore/investitore.

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