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Bono Vox? Una caduta prevedibile

Tutti sono sotto shock per la rivelazione che il cantante degli U2 avrebbe eluso il fisco sfruttando alcuni paradisi fiscali. Tutti tranne l'economista Pierangelo Dacrema: «L'etica è un fatto. Non è qualcosa che basta dire. Cammina sulle gambe dei comportamenti degli uomini. Per questo quando qualcuno sente il bisogno di sottolineare il proprio essere etico c'è qualcosa che non va. Diventa sospetto». L'intervista

di Lorenzo Maria Alvaro

È esploso l'ennesimo scandalo. Questa volta si chiama Paradise Papers ed è un pacchetto da oltre 13 milioni di documenti trafugati sottratti a due società finanziarie e finiti nelle mani dei giornalisti della testata tedesca Süddeutsche Zeitung, che li ha a sua volta messi a disposizione dell’International Consortium of Investigative Journalists (Icij). File che descrivono le attività off-shore di persone famose e società importanti. Il nome però che ha creato più rumore è quello di Paul David Hewson. Che detta così non dice molto. Ma se a quel nome sostituiamo il suo pseudonimo artistico allora il tutto assume una portata diversa. Dietro a quel nome anagrafico infatti c'è Bono Vox. Che non è solo il leader di una delle band più famose e importanti degli ultimi 50 anni ma è forse una delle rock star più impegnata dal punto di vista sociale della storia. Per usare il titolo di una nota canzone degli U2 siamo al “moment of surrender” per il cantante che risulta avere partecipazioni minoritarie in una società di diritto maltese che ha investito in un centro commerciale lituano. Un’operazione come molte altre e in effetti per nulla scandalosa, se non fosse che il leader degli U2 è da sempre in prima linea nel chiedere ai governi di ridurre o abolire il debito contratto dai paesi in via di sviluppo, destinando a tale causa anche parte degli incassi dei tour. Insomma, sempre per stare alla discografia degli U2, «even better than the real thing». Ma com'è possibile una così grande dicotomia tra pubblico e privato tra convinzioni predicate e quotidianità praticata? Abbiamo provato a parlarne con l'economista Pierangelo Dacrema.



Prof. avrà letto i giornali e il caso Paradise Papers che coinvolge niente di meno che Bono Vox?
Sì, e la cosa mi ha colpito. Stiamo vivendo la caduta degli dei. Da Weinstein a Kevin Specey passando per il regista italiano accusato da Le Iene di cui non si sa ancora il nome fino a Bono Vox stanno crollando tanti totem in queste settimane. È come se dietro a questi palcoscenici scintillanti ci siano delle quinte desolanti. E più sono scintillanti i palcoscenici più le quinte sono desolanti.

Trova delle analogie tra i vari casi?
Certo dal punto di vista dei “peccati” di cui sono accusati i vari protagonisti della cronaca no. C'è però certamente qualcosa che lega tutti questi episodi. E credo che sia questa enorme distanza tra l'apparenza e la realtà celato dietro questa narrazione.

Dunque per lei la vera notizia è che è coinvolto Bono, non il fatto che per l'ennesima volta scopriamo che tantissime persone eludono il fisco?
Che esistano questi paradisi fiscali francamente non la ritengo una notizia. Si sa ed è naturale che ci siano avidi cumulatori che cercano di utilizzarli per farne profitto. La notizia vera notizia è che lo faccia chi sbandiera certi comportamenti etici. Sono sempre più convinto che chi sbandiera queste buone intenzioni debba essere considerato sospetto.

Non le sembra un po' estrema come posizione?
No. Mi spiego meglio. Quello che voglio dire che è un ossimoro relativamente prevedibile. Io per esempio nonostante il furore morale di certe frasi o posizioni e atteggiamenti di Grillo darei quasi per scontato che lui, personalmente, sia il contrario. Ho sempre pensato che l'etica sia un fatto. L'etica si fa, non si dice. O meglio: non è qualcosa che basta dire. Cammina sulle gambe dei comportamenti degli uomini. Per questo quando qualcuno sente il bisogno di sottolineare il proprio essere etico c'è qualcosa che non va.

Insomma secondo lei quando la forma prevale sulla sostanza nasce il problema?
Si. Il fatto che Bono calchi tutti i palcoscenici mondiali delle buone cause purché ci sia un riflettore puntato dovrebbe bastare insospettire. Se infatti da un lato indigna il caso di Bono devo dire che paradossalmente a me non sorprende affatto.

In sostanza lei sta dicendo che è più pericoloso chi si pone come modello di chi invece ogni tanto scivola…
Si, ho più paura di quello che si affida ad una totale political correctness per essere presentabile al pubblico di quello che magari si abbandona ad una battuta infelice e lascia pensar male.

Per parafrasare: è preferibile uno che ogni tanto si lascia andare a battute sessiste o razziste che quello che si professa integerrimo e mette in croce ogni comportamento politicamente scorretto perché probabilmente ha qualcosa da nascondere?
Si, esatto. Il problema è proprio il nascondere le proprie debolezze dietro una facciata inattaccabile. Invece con le proprie debolezze bisogna dialogare. Bisogna affrontarle e averci a che fare. È l'unico modo per superarle. Parliamoci chiaro: uno che è sempre stato considerato il capitalista per antonomasia era Bernardo Caprotti di Esselunga. In particolare per il suo libro “Falce e carrello” con cui attaccava le Coop rosse. Bene una cosa come questa, di nascondere i soldi nei paradisi fiscali, Caprotti non l'ha mai fatta né l'avrebbe mai fatta. Faccio un altro esempio: pensiamo a Oscar Farinetti. Ho avuto modo di conoscerlo a casa di Michele Serra insieme a Petrini. Stiamo parlando di uno di quei salotti di una certa sinistra, molto per bene, molto buona e molto educata. Bene, oggi tutti sanno che Eataly sfrutta i precari e sottopaga i dipendenti.

Tutti sanno certe cose ma a quanto pare non cambia molto…
Non è vero che non cambia nulla. Credo, ad esempio, che la sfiducia radicata in quello che ci raccontano i giornali e i media sia dovuta proprio a questo. Gli avvenimenti di questi giorni sono piccoli prove del fatto che il castello delle immagini e delle narrazioni costruito dai media è fatto di sabbia. Immagini molto fragili. Palloni che basta poco per sgonfiare. Una responsabilità enorme dei media che ne sancisce in qualche modo anche la crisi. Direi che fa un enorme differenza.

Tornando alla questione tecnica dell'elusione fiscale. Ma è possibile che non si riesca ad arginare o limitare?
Questo questione si risolve con una sola parola: ricchezza. Se sei ricco puoi comprare strade che ti fanno risparmiare le tasse. Se sei ricco puoi fare quello che vuoi e questi paradisi sono creati proprio per attirare quel tipo di “clientela”. Noi persone comuni non ci pensiamo neanche perché non abbiamo né l'esigenza né gli strumenti per eludere il fisco. Stiamo parlando di strumenti ben costruiti, difficilmente illegali, al massimo riprovevoli. Quindi no, non ci sono soluzioni o vie d'uscita di ordine generale. È uno degli aspetti di un certo tipo di capitalismo finanziario in cui i soldi contano più di tutto.


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