Welfare

Bonanni: «una giornata speciale»

Intervista al segretario della Cisl: «E' il Papa operaio che diventa beato». Anteprima da VITA in edicola

di Giuseppe Frangi

Si avverte un filo di emozione nelle parole di Raffaele Bonanni, alla vigilia di un Primo maggio molto particolare. Dopo un anno complicato, segnato da contrapposizioni molto dure, si troverà sullo stesso palco, a Marsala, con la Cgil, alla vigilia del referendum di fabbrica in Fiat che potrebbe decidere le sorti della ex Bertone (e che vede i sindacati ancora una volta divisi). In contemporanea, a Roma, viene proclamato beato il primo Papa “operaio” della storia. Due circostanze che fanno del Primo maggio 2011 un Primo maggio molto speciale.

Cominciamo dal momento unitario di Marsala. Che cosa si aspetta?

Mi aspetto che lo spirito che ci ha portato là, per celebrare quella spinta che 150 anni fa unì l’Italia, suggerisca strade per superare le difficoltà che abbiamo vissuto in questi ultimi tempi. Sempre in un sano rapporto di convivenza e di rispetto reciproco.

Intenzioni che potrebbero infrangersi già il giorno dopo alla ex Bertone, dove Marchionne vuolo un accordo “tipo Mirafiori” per avviare la produzione della nuova Maserati…

La nostra posizione è sempre stata chiara: difendere il lavoro innanzitutto. Per questo abbiamo insistito perché l’investimento non si perda: ne abbiamo bisogno non solo per dare a un migliaio di lavoratori un futuro, ma per confermare la validità del progetto Fabbrica Italia.

Sono tempi difficili per la cultura del lavoro nel nostro Paese. La beatificazione di Papa Wojtyla non ha una funzione un po’ consolatoria?

Assolutamente no. Direi che riveste un significato esattamente contrario. In un momento di confusione e di fatalismo diffuso rilancia il significato fondamentale del lavoro. Io davvero vedo questa beatificazione come una festa del lavoro italiano e mondiale. Non dimentichamoci che sale agli altari un Papa che è stato operaio, che ha quindi conosciuto il lavoro nella sua durezza ma anche nella sua ricchezza.

In che senso?

Nel senso che ha capito come il lavoro sia un momento fondamentale non solo per la sussistenza di ciascuno, ma anche per la costruzione della persona, in quanto sviluppa le sue capacità. Il lavoro migliora la società perché è la miglior scuola di relazioni e così è alla base della creazione di una comunità. Questo il Papa non solo l’aveva capito ma l’aveva anche vissuto.

Uno dei problemi di oggi è una visione privatistica del lavoro?

Probabilmente sì. Ma non bisogna restare prigionieri di un sentire che oggi è determinato dai media e che nella realtà non esiste. Io credo in quell’idea del Papa secondo la quale il lavoro ha una funzione insostituibile e positiva non solo perché permette di vivere, ma anche perché costruisce il senso della vita di ciascuno. E son o convinto che quell’idea sia ancora connaturata nella coscienza delle persone che lavorano. Il fine di chi ha ricevuto la vita è di usarla per costruire comunità e tenere in manutenzione il creato per affidarlo alle generazioni future.

Non le sembra che però la globalizzazione, con tutti i suoi aspetti mal governati, abbia eroso questa coscienza?

Wojtyla parlava in un momento di pieno sviluppo. Oggi la situazione è molto diversa: la globalizzazione ha anche portato tanti nuovi popoli ad affacciarsi sulla scena del mondo sviluppato e a chiedere spazi. Più che lamentarcene, sarebbe più giusto impegnarsi a creare questi spazi. Siamo immersi in una cultura che si dimentica sempre di come si stava prima. Una cultura del mormorio continuo. Il seme buttato da Wojtyla è lievitato. È uno stimolo alle coscienze che invece di rinchiudersi nel fatalismo cercano soluzioni alle situazioni nuove che si sono create. Wojtyla ha interpellato le coscienze degli uomini sulla centralità del lavoro. E se le condizioni cambiano, quella sollecitazione resta.

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