Politica

Bonafoni: su Terzo settore e sociale il Pd deve cambiare marcia

Intervista alla coordinatrice della segreteria e responsabile associazionismo e Terzo settore del partito di Elly Schlein: «Riconoscere le potestà del Terzo settore significa passare da una prassi di delega o di fornitura di prestazioni, alla partecipazione al governo dei processi politici e delle politiche istituzionali»

di Stefano Arduini

Marta Bonafoni, romana classe 1976, nella primavera di quest’anno dopo l’elezione di Elly Schlein a segretaria del Partito Democratico, è stata chiamata a ricoprire il ruolo di coordinatrice della segreteria nazionale, con delega al Terzo Settore e ai rapporti con le associazioni. Classe 1976, tanti anni da giornalista a Radio Popolare, fondatrice nel 2020 di Pop – Idee in Movimento, una rete eterogenea di buone pratiche finalizzata alla cura del territorio e delle comunità. 

L’abbiamo incontrata nei giorni del Festival dell’Unità, dopo una fase di “consultazione” durata qualche mese e fatta di incontri con diverse realtà sociali, al termine della quale Bonafoni ha accettato il nostro invito di un confronto sui temi più rilevanti dell’agenda sociale. «Mi faccia però sottolineare un aspetto a cui tengo molto: la completezza della mia delega: non è un caso che Elly Schlein abbia voluto affidare alla coordinatrice della segreteria nazionale, la delega al Terzo settore e all’associazionismo. In tanti dopo la pandemia hanno espresso riconoscenza a un mondo, fatto di volontari, lavoratori, attivisti che durante la pandemia ha letteralmente salvato vite. Noi vogliamo passare dalla riconoscenza al riconoscimento».

Ovvero?

Riconoscere le potestà del Terzo settore significa passare da una prassi di delega o di fornitura di prestazioni, alla partecipazione al governo dei processi politici e delle politiche istituzionali. Per questo ho chiesto che tutti i membri della segreteria, a prescindere dalla delega,  aprissero le porte ai soggetti del Terzo settore che vogliano interloquire con noi. Io stessa appena nominata ho attivato un percorso di ascolto per impostare un lavoro comune, non per il Terzo settore, ma con il Terzo settore. Il primo esito è stato l’istituzione di una serie di tavoli di lavoro sui temi del welfare. 

Quali sono i soggetti del sociale che avete incontrato in questi mesi?

Il primo è stato quello con il Forum del Terzo settore, che raccoglie un’ampia rete di soggetti che già lavorano insieme. Poi la Caritas e una serie di enti che insieme a lei si occupano di povertà materiale, povertà alimentare, povertà educativa. Altre realtà sono state le tre centrali cooperative, Arci, Acli e Csv.net, la rete dei centri di servizio per il volontariato. Inoltre ci sono interlocuzioni aperte con questo mondo su temi specifici, come il lavoro che sta facendo Alessandro Alfieri sul Pnrr. Lì, dalla prima infanzia alle scuole, dalla salute mentale alla non autosufficienza, c’è uno spazio enorme di lavoro comune col Terzo settore. 

Lei rappresenta un partito che oggi dopo anni di Governo sta all’opposizione, ma continua ad esprimere tanti amministratori locali. Se davvero, come dice, l’idea è di condividere coi soggetti sociali la funzione di decision maker, allora mi aspetterei da parte vostra una grande campagna a favore dei meccanismi di amministrazione condivisa, a partire da co-programmazione e co-progettazione. E invece le amministrazioni locali che applicano davvero questi modelli di governance sono ancora molto pochi…

Uno dei tavoli di lavoro a cui facevo riferimento che si chiamerà “Strumenti” riguarda esattamente questo tema: budget di salute, co-programmazione, co-progettazione e via dicendo. Per portare a terra questi meccanismi servirà però una fase di formazione per i nostri dirigenti: servono competenze e responsabilità politiche nuove. Ciò detto siamo ben coscienti che la rigidità e l’età anagrafica della pubblica amministrazione sono scogli non da poco.  

In questi giorni a Palermo e Caivano è di nuovo esplosa la questione “giovani”. Il Governo ha reagito mostrando i muscoli e inasprendo le pene. Il Pd al di là delle critiche di prammatica non pare aver avanzato proposte incisive. Sembra quasi intimidito.  Provo a fargliene una io: l’avvio di un programma di servizio civile volontario da 120mila posti per “invadere” Caivano (e tutte le altre Caivano d’Italia) di ragazzi pronti a passare un anno della loro vita al servizio del prossimo. Questo sì sarebbe stato un segnale e un esempio molto forte. Non crede?

Se è vero che il Pd le pare timido, dobbiamo toglierci al più presto di dosso questa timidezza. Sui giovani voglio allargare il discorso. I ragazzi e le ragazze di questa generazione non meritano né retorica, né giochetti. Il riferimento al servizio civile è giusto, ma dobbiamo prima capire che questa generazione è depositaria di competenze eccezionali penso al sociale, ma anche al digitale. Uno dei compiti del Terzo settore, specie se considerato come lo vogliamo considerare noi, è quello di dare spazio ai giovani affinché mettano i loro talenti al servizio dei cambiamenti sociali che sempre di più sono necessari. Venendo poi a Caivano. Il Governo Meloni sta facendo passerella e retorica. Prima degli assedi securitari, servono “assedi” sociali: maestri, oratori, assistenti sociali, associazionismo, Terzo settore. Le piazze devono tornare a essere vissute dalle persone solo così potranno venir sottratte alla criminalità organizzata. 

Sarebbe favorevole all’istituzione dei corpi civili di pace europei così come proposto dal Mean, il Movimento europeo di azione non violenta che dall’inizio dell’invasione russa sta tenendo i rapporti  e organizzando iniziative con la società civile ucraina?

Io dico che dobbiamo metterci all’ascolto delle carovane della pace che in questi lunghi mesi hanno fatto la spola con l’Ucraina. E penso anche che l’Europa sia chiamata a un salto di qualità sperimentando anche strumenti come quello dei Corpi civili di pace, una sorta di servizio civile federalista da inserire in una prospettiva di difesa comune dell’Europa. E da qui, dalla costruzione di una Generazione della Pace, che si deve partire per contrastare il fenomeno dei nazionalismi, purtroppo oggi così diffuso anche nel nostro Continente come ben sappiamo in Italia.  

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Altro tema nodale è quello della gestione dei migranti. La politica dei “porti chiusi” si sta rivelando del tutto fallimentare, ma anche quando il partito democratico era al governo una vera politica dell’accoglienza e dell’inclusione non è mai stata nemmeno abbozzata. I risultati sono sotto gli occhi di tutti…

La feroce retorica del governo ha fallito per un semplice motivo: le migrazioni non sono un fenomeno emergenziale, sono un fenomeno epocale. Mentre noi parliamo la Bossi-Fini ha compiuto 21 anni e nessuno è stato in grado di modificarla, nemmeno con il Pd al governo, anche se a dire il vero non lo è mai stato da solo; è arrivato il momento di mettere mano a quella legge per creare un modello di accoglienza territoriale efficace. I numeri sono notevoli, ma non certo impossibili da governare. Ciò detto il Pd non ha mai smesso di denunciare il fronte del nostro governo con Polonia e Ungheria e in questi mesi abbiamo anche detto “no” al rinnovo degli accordi con la Guardia costiera libica, cosa che non era scontata. E ci siamo schierati contro l’intesa con la Tunisia, un’intesa destinata a fallire come dimostrano le cronache di queste settimane.

“Porte aperte” contro “porti chiusi”, quindi?

No, perché questo non può bastare. C’è un altro grandissimo tema aperto: quello della cooperazione internazionale che una volta era il nostro fiore all’occhiello e che oggi è stata marginalizzata. Dobbiamo rilanciare questo strumento che può essere fondamentale in Africa e in Asia nei Paesi di provenienza dei migranti. 

Foto fornite dall’intervistata

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