Cultura

Bomprezzi e Michelangelo

di Giuseppe Frangi

 

Sono stato testimone privilegiato delle tante battaglie che Franco Bomprezzi ha fatto nella sua vita. Mi ha sempre colpito vedere uno che giornalista era nato e giornalista si riteneva sempre, prendere tanto sul serio le questioni sino a fare della professione uno strumento per qualcosa di più grande. Cosa rara, davvero. Tra tante battaglie in una ho avuto la fortuna di trovarmi al suo fianco: è quella per trovare una nuova collocazione per l’opera d’arte di Milano che Franco riteneva più bella e significativa: la Pietà Rondanini di Michelangelo. Così quando Stefano Boeri, coraggiosamente, lanciò l’idea di togliere il capolavoro di Michelangelo dalla pur elegantissima capsula in cui negli anni 50 era stato relegato, una leva decisiva venne proprio da Bomprezzi: la Pietà nella sistemazione studiata dagli architetti del gruppo BBPR era inaccessibile a chi è costretto a stare in carozzella, per via del ribassamento del pavimento e dei conseguenti gradini.

Se i puristi avevano alzato gli scudi perché quell’allestimento era di importanza storica, fu proprio l’intervento di Bomprezzi a dare il sostegno decisivo e in un certo senso non contestabile alla proposta.

Ma ciò che mi aveva colpito era l’attaccamento che Franco aveva a quell’opera di Michelangelo. La Pietà è una scultura difficile, drammatica, di grande intensità religiosa, eralizzata dal Michelangelo estremo. Franco era l’opposto: sempre semplice nella comunicazione, tranquillo nonostante i limiti con cui doveva convivere, di una religiosità laicamente vissuta. Eppure pensava davvero che quella Pietà fosse la cosa più bella che Milano avesse, che quindi doveva essere vista da tutti, e che rappresentasse come nessun’altra opera una condizione dell’umano che riguarda tutti. Immagino che in quel corpo ferito, in quel braccio lasciato sospeso da Michelangelo, Franco vedesse qualcosa di vero rispetto alle ferite che chiunque si porta dentro. Non solo: penso che nel suo pudore lo commuovesse quell’abbraccio della madre al figlio, che è stanto intenso da parere quasi una fusione di corpi. Che lo commuovesse e che in cuor suo augurasse qualcosa di simile anche per sé.

Quando ad aprile potremo entrare tutti a vedere la Pietà nella nuova grande Sala che Boeri da assessore aveva individuato e che Claudio Salsi, direttore dei Musei, ha reso adatta ad accogliere il capolavoro, il primo pensiero sarà per Franco.

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