Formazione

Bologna, morte di un bimbo invisibile

Città sotto choc per la tragedia di Devid

di Franco Bomprezzi

Morire di stenti in piazza Maggiore a Bologna, a 20 giorni di vita. Una notizia impressionante, che chiama in causa responsabilità e riflessioni a ogni livello. E infatti oggi i giornali raccontano questo fatto di cronaca con l’ampiezza e la profondità che merita.

Titolo a piede della prima del CORRIERE DELLA SERA: “Bimbo di 20 giorni muore di stenti in piazza Maggiore. Bologna sotto choc”, e poi due pagine, 26 e 27, piene di servizi e di commenti. La cronaca: “Muore neonato, choc a Bologna. Vita di stenti in pieno centro” è il titolo che apre pagina 26. Si cerca di ricostruire una vicenda assurda. “Devid, e con lui il fratellino Kevin, non avrebbero dovuto essere lasciati ai genitori – scrive Francesco Alberti – Una famiglia a dir poco disagiata. Il padre Sergio, 42 anni e la madre Claudia, 35, senza lavoro. Senza una casa fissa. Costretti a girovagare tra istituti di accoglienza, qualche parente e lunghissime ore all’addiaccio tra la stazione e i dintorni di piazza Maggiore. Non dei veri e propri senzatetto, ma gente allo sbando. Senza una prospettiva. E con troppi figli: oltre a Devid e al gemellino Kevin (anche lui ora in ospedale, ma sta bene), una sorellina di un anno e mezzo e altri due figli sottratti tempo fa ai genitori e dati in affido. Non si sa perché Devid, quel 4 di gennaio, si trovasse nel gelo di piazza Maggiore. E’ quello che dovrà accertare l’inchiesta della Procura: un fascicolo per ora senza ipotesi di reato ma che, come ha detto il procuratore aggiunto, Valter Giovannini, «punta ad accertare in profondità le cause e le eventuali responsabilità di un fatto triste, oltre che grave»”. Di spalla sempre Francesco Alberti, inviato dal CORRIERE a Bologna, racconta la storia: “Quell’ultimo aiuto chiesto in farmacia «Ormai Devid era blu»”. La chiave forse in questo passo: “Claudia, terrorizzata all’idea che «quelli dei servizi», come li chiama lei con un misto di paura e di disprezzo, glieli portino via, li ha protetti nell’unico modo che la vita le ha insegnato: con un castello di bugie e mezze verità. Ha detto di avere una residenza. Di non avere problemi a mantenerli. Ha rifiutato alloggi in case-albergo e anche quando è stata costretta a chiedere un pasto alla mensa del povero o un angolo caldo alla sala Borsa, l’ha sempre fatto con la sufficienza di chi vuole ostentare ciò che in realtà non ha mai avuto”. Il commento del CORRIERE è affidato a Isabella Bossi Fedrigotti: “Il piccolo rimasto solo per una colpa collettiva”. Leggiamo un passo: “Non barboni né clochard sono, infatti, i suoi genitori, ma soltanto disoccupati o sotto-occupati, frequentatori delle mense pubbliche, conosciuti sia dalla Caritas che dai Servizi sociali, e seguiti anche, sebbene, evidentemente, non abbastanza. Certo, si è costretti a pensare che da qualche parte la coperta protettiva delle istituzioni sia stata troppo corta, forse perché in periodo di feste (e di ferie) capita che ci siano dei vuoti tra il personale o forse perché in una città da troppo tempo affidata a un commissario può venire a mancare il coordinamento necessario e può venire anche a mancare la comunicazione tra un settore e l’altro, tanto che qualcuno, soprattutto se piccolo come Devid, il neonato morto in piazza, finisce per sgusciare tra le maglie della rete”.

LA REPUBBLICA riserva la foto notizia in taglio centrale al dramma emiliano: “Neonato muore di freddo dormiva in strada a Bologna”. I servizi alle pagine 12 e 13: aveva 23 giorni Devid Berghi, trascinato di giorno per strada al freddo dai genitori che vivevano tra la centralissima piazza Maggiore e la mensa dei poveri. È stata aperta un’inchiesta per chiarire le cause della morte e verificare se ci siano o meno responsabilità dei servizi sociali che conoscevano il caso, ma non sono riusciti a evitare il peggio in un rimpallo di comunicazioni come denuncia la Caritas. Il fratello gemello di Devid e la sorella di 20 mesi sono stati affidati ai servizi. Oltre la cronaca, il racconto di Michele Smargiassi: “Dall’incubatrice ai portici i ventitre giorni di Devid nella città degli invisibili”. È la città della vergogna, scrive Smargiassi, riferendo lo stato d’animo di chi lavora o vive in centro a Bologna. «È una storia di ghiaccio», scrive, «la storia di un bambino nato prematuro, passato in poche ore dal tepore dell’incubatrice al sottozero della piazza». Quanto ai genitori, non si sa bene dove abitino: il padre avrebbe dato un indirizzo, ma pare che in quella casa viva un magrebino sposato con la madre di Devid (ma pare solo per ottenere il permesso di soggiorno). La cosa incredibile è che il “più famoso welfare locale” sapeva tutto della madre: 36anni, cinque figli avuti da almeno tre padri, i primi due finiti in affidamento alla nascita. I pezzi del mosaico di una potenziale tragedia c’erano tutti. Nessuno li ha messi insieme. Infine un pezzetto di Vladimiro Polchi sull’esercito dei nuovi clochard: «difficile contare gli invisibili: tra gli 80 e i 100mila». «La crisi sta colpendo i soggetti più deboli: anziani, ma anche famiglie con figli e padri separati» commenta Paolo Pezzana, presidente della Federazione italiana organismi per persone senza dimora. I comuni stanno tentando un monitoraggio del fenomeno.

Un richiamo nella prima pagina de IL GIORNALE: «Tragedia della povertà», sotto il titolo «Quel neonato morto di freddo nella dotta e ospitale Bologna». Il commento è di Giordano Bruno Guerri: «Questa è una storia di fallimenti, uno dietro l’altro, uno più drammatico dell’altro, tanto che non si sa in che ordine metterli».  L‘opinionista elenca: «è il fallimento della famiglia Benghi», ma anche di chi «aveva disposto di togliere loro i due figli più grandi», «di una struttura ospedaliera che fa partorire una donna e poi la lascia andare via», «di quelle strutture assistenziali che oggi dicono “rifiutavano ogni aiuto”», «della città di Bologna e della sua amministrazione», infine «è il fallimento di tutti noi che non vogliamo guardarci intorno per non vedere i tanti piccoli Devid che ci circondano», ed «è il fallimento – quale che sia il governo – dello Stato». A pagina 13 un box descrive «l’Italia dei poveri senza riscaldamento»: un paese in cui «l’11% delle mamme non ha avuto i soldi per riscaldare la propria abitazione, il 10% per le spese scolastiche dei figli, il 6% per i generi alimentari».

L’apertura de IL MANIFESTO è dedicata alla crisi della giunta capitolina «Saluti romani» è il titolo sulla foto di Alemanno ritratto di spalle con la fascia tricolore. Subito sotto l’apertura si trova il richiamo al neonato morto di freddo a Bologna. L’articolo dedicato al caso è a pagina 6 «Neonato muore di freddo», aveva solo 20 giorni, salvi il fratello gemello e la sorellina di un anno, ricorda il catenaccio. «(…) È una tragedia complicata quella che è accaduta sotto le due Torri, la città che forse più di tutte in Italia è stata il simbolo del buon funzionamento dei servizi sociali e che ora si interroga su che cosa non abbia funzionato mentre il Comune si difende spiegando che tutte le offerte che sono state fatte “sono state rifiutate”. “La madre del bimbo ha fatto di tutto per non farsi aiutare. È una povera donna che ha sempre rifiutato alloggi e assistenza” ha detto il commissario Anna Maria Cancellieri che governa questa città senza sindaco» spiega l’articolo che prosegue «(…) Una famiglia fragilissima che non aveva le risorse per andare avanti. Ora il gemellino di Devid e la sorella sono in una struttura protetta. I due gemelli dopo la nascita sono stati in ospedale sedici giorni perché erano dei bimbi prematuri. L’ospedale aveva inviato una mail ai servizi sociali del quartiere dove la madre aveva fissato la residenza per sapere se la donna era seguita. Il quartiere ha risposto di sì ma quando la mamma e i bimbi sono usciti dall’ospedale per loro non c’era un tetto. (…) Nella catena dei mancati incontri con i servizi e le strutture del Comune c’è anche la proposta rifiutata di un riparo nell’albergo popolare di via del Pallone, molto vicino al centro. Lo racconta Alessandro Tortelli di Piazza Grande, la onlus che si occupa di senza fissa dimora (…)». Di spalla l’intervista a Amelia Frascaroli, dirigente Caritas per anni, candidata civica sostenuta da Sel, dal titolo «Paghiamo gli errori del decentramento dei servizi sociali». E spiega: «Dobbiamo registrare che il processo di decentramento che pure aveva buonissime intenzioni di avvicinamento dei servizi alle persone dove queste vivono (nei quartieri ndr) per come è avvenuto è in una fase di grande immaturità. Sono state disperse le conoscenze professionali di cui gli operatori usufruivano nel processo di avvicinamento alla persona. A Bologna c’era un grande lavoro di rete tra il pubblico e il privato sociale. Questo modo di lavorare in questo momento è affaticato e a rischio, direi che non è praticato. Le reti si sono frantumate in mille pezzi».

 AVVENIRE propone una fotonotizia in prima (“Morire di freddo a venti giorni nel centro di Bologna”) e servizi a pagina 13. «Tutti ora si chiedono come è stato possibile che nel 2010, nel cuore di Bologna, una creatura appena nata sia stata “martire” dell’indifferenza» scrive Stefano Andrini,  ricordando che la madre non si rivolgeva ai servizi sociali perché temeva che le fossero tolti i figli. Per il direttore della Caritas diocesana Paolo Mengoli “il radar dei servizi sociali è andato in tilt” e il dramma è segno di una carenza di sostegno a chi in città ha davvero bisogno. Un articolo in taglio basso parla delle stime sul numero di clochard in Italia, i nuovi invisibili. Secondo i dati della Federazione italiana organismi per persone senza  fissa dimora – che raggruppa una settantina di organizzazioni tra i quali 32 Caritas diocesane e diverse amministrazioni comunali – il numero degli homeless è compreso tra i 90mila e i 100mila. Un fenomeno in crescita in cui i più esposti sono bambini e anziani.

“Neonato ucciso dal gelo nel centro di Bologna”: LA STAMPA riprende in prima pagina un  servizio di cronaca in cui dà ampio spazio alle voci e analisi del terzo settore. Critiche al funzionamento dei servizi sociali di Bologna sono arrivate infatti dal direttore della Caritas diocesana Paolo Mengoli, che conosceva i genitori del neonato, anche se non da molto tempo: «è una carenza dei servizi sociali, ci sono lacune non piccole», e ancora: «I servizi dovrebbero avere la possibilità di valutare le situazioni, senza rimandarle alle calende greche». In un pezzo di appoggio, la durissima realtà: “Il piccolo esercito dimenticato dei bambini poveri. In Europa solo Bulgaria e Romania peggio dell’Italia”. Il pezzo cita i dati raccolti da Save the children: 1 milione e 126mila famiglie vivono in condizione di povertà assoluta, il 10% degli italiani non ha soldi per affrontare le spese scolastiche, l’11% non ha i mezzi per riscaldare la casa, il 6% non è in grado di alimentare adeguatamente i propri figli. «L’Italia in tema di infanzia ha la legislazione più avanzata d’Europa. Ma poi rimane sulla carta» dice Antonio Marziale dell’Osservatorio dei diritti sui minori e consulente della commissione parlamentare sull’infanzia. «La spesa per l’infanzia decresce. Non si investe in servizi» dice Raffaella Milano di Save the children. «Sempre di più è tutto nelle mani del Terzo settore». Daniela Bernacchi di Intervita avverte: «Fino ad oggi eravamo abituati a guardare altrove», ai bambini che muoiono di fame nel Sud del mondo. Ma oggi «in Italia il ceto medio si sta disgregando» e la povertà estrema è qui da noi.

E inoltre sui giornali di oggi:

ROMA
LA REPUBBLICA – Il sindaco Alemanno ha azzerato la giunta che da due anni governa la capitale. Le ragioni probabilmente sono da cercare nello scandalo di Parentopoli e nel crollo del gradimento del primo cittadino. Una scelta a sorpresa (ma concordata con Cicchitto e Gasparri) fatta promettendo in pochi giorni di ricostituire una giunta all’altezza della situazione. Il quotidiano diretto da Ezio Mauro riferisce dell’ipotesi che Bertolaso divenga vice-sindaco. Una ipotesi che Curzio Maltese in un suo commento assai pungente definisce «marziana»: «il marziano sindaco pensa di rimontare affiancandosi un marziano vice, ancora più bravo a fare annunci mirabolanti in televisione. Si tratta comunque già dal nome dell’ammissione di uno stato di emergenza. Se fallisce la mossa Bertolaso, si può provare con il mago Silvan e herry Potter. Oppure dimettersi e fare posto a uno del mestiere. Tanto una poltrona da ministro ad Alemanno non gliela toglie nessuno. E al governo l’incompetenza non è un problema».

MIRAFIORI
IL MANIFESTO – In prima pagina il commento di Loris Campetti sul referendum sulla proposta Marchionne dal titolo «A Mirafiori in gioco la democrazia». «C’è un signore con la borsetta che gira il mondo cercando di vendere la sua merce a prezzo fisso. Non è un mercante arabo, nessuna trattativa è prevista: se vi va è così, altrimenti tanti saluti. Il liberismo nella globalizzazione non è un suq, la crisi e la concorrenza non perdonano e il ’900 è morto e sepolto con i suoi lacci e diritti. Il nostro mercante si chiama Sergio Marchionne, parla americano e detesta i dialetti, che sia sabaudo o partenopeo. È più capace nel vendere promesse in cambio di cieca obbedienza che non automobili (…)» esordisce il commento che conclude: «(…) Non sempre il pragmatismo riduce i danni. La forza accumulata dalla Fiom si fonda sull’ascolto dei lavoratori, sulla condivisione, sulla rappresentanza democratica. È tutta da dimostrare la possibilità che la Fiat possa cancellare il sindacato più rappresentativo, mentre è prevedibile che una rinuncia della Fiom a difendere la dignità della sua gente spezzerebbe quel legame straordinario e un’aspettativa che va crescendo ben oltre le fabbriche. In questa settimana, ancora una volta a Torino, si gioca una partita che riguarda la democrazia italiana». Gli articoli dedicati al tema sono alle pagine 2 e 3 dove il titolo di apertura recita «Se voti “sì” ti autolicenzi». 

CINA
IL SOLE 24 ORE – Luca Vinciguerra firma “Boom dell’import cinese”. « Il trade surplus cinese continua a perdere quota. Dopo la battuta d’arresto accusata nel 2009, la prima dopo sei anni di crescita sfrenata, l’avanzo commerciale del Dragone esce ridimensionato anche dal 2010. Niente di preoccupante, per carità: al 31 dicembre scorso, il saldo import-export di Pechino è ammontato a 183 miliardi di dollari, 13 miliardi in meno rispetto all’anno precedente» spiega il giornalista. Non solo «anche le importazioni di merci straniere hanno raggiunto il loro massimo storico attestandosi a 141 miliardi di dollari, il 26% in più rispetto a dicembre 2009. Questo robusto balzo in avanti è stato sostenuto soprattutto dai massicci acquisti dall’estero di energia e materie prime fatti dalla Cina per sostenere la crescita degli investimenti domestici e dell’intera domanda interna. I flussi di merci in entrata e in uscita di dicembre hanno generato un surplus commerciale mensile di 13 miliardi di dollari, quasi la metà rispetto ai 23 miliardi registrati a novembre». In conclusione «per la Cina questo nuovo trend dovrebbe rappresentare un valido argomento per respingere le accuse di protezionismo valutario degli Stati Uniti». 

COOP
ITALIA OGGI –A pagina 6, con un richiamo in prima pagina «La Cgil accusa le Coop emiliane di fare profitti sulla pelle dei lavoratori». Mezza pagina a firma di Giorgio Ponziano per spiegare come alla Coop «arrivano i precari cinesi». «Sergio Marchionne e i sui diktat sull’organizzazione del lavoro? Niente in confronto alla coop, tanto che la Cgil ha trasformato lo slogan superpubblicizzato: “Ma la Coop sei ancora tu?”. Il sindacato ha aperto un fronte contro l’organizzazione un tempo patrimonio comune della sinistra e che oggi, invece, utilizzerebbe mano d’opera cinese a basso costo. Con tanti saluti ai bei propositi sulla tutela dell’occupazione (…)». Nel mirino: Coop Adriatica e Coop Estense.

BIOETICA
AVVENIRE – “Fine vita, legge necessaria” titola AVVENIRE a pagina 11 parlando della ferma risposta del governo alle provocazioni dell’oncologo Veronesi che ha riaperto la discussione sul tema del diritto all’idratazione e all’alimentazione artificiali che furono tolti a Euana Englaro alla vigilia della giornata decisiva per la calendarizzazione della norma sulle “dichiarazioni anticipate di trattamento”.
 
MERCATO
IL SOLE 24 ORE – Tra le opinioni il quotidiano economico propone “L’Oriente supera l’Occidente a destra e in contromano” di Wolfgang Münchau, giornalista del Financial Times. L’esperto parte subito duro «Le crisi europee rispettano le feste. Dopo tutto, è la vecchia Europa. La crisi acuta del mercato obbligazionario si è fermata a metà dicembre, per poi ripartire la settimana scorsa. Il periodo festivo avrebbe potuto essere una pausa di intensa riflessione, invece non si è fatto altro che ignorare il problema. Al vertice di dicembre, l’Unione europea  ha perso un’occasione storica per domare la crisi: faremo tutto ciò che serve, hanno giurato i rappresentanti dei vari stati membri, e se ne sono andati a casa». Poi ammonisce «Sarebbe sbagliato pensare che la crisi coinvolge paesi minori alla periferia remota dell’Eurozona: in realtà, riguarda anche il cuore dell’area euro e si sta diffondendo rapidamente. La settimana scorsa il Belgio è comparso sugli schermi radar degli investitori internazionali, quando i CDS sovrani hanno toccato nuovi record in seguito all’ennesimo tentativo fallito di formare un governo». Münchau indica anche il motivo di tutte queste difficoltà « Non si possono davvero biasimare gli investitori se considerano un governo centrale funzionante come un requisito di solvibilità essenziale, per paesi con un rapporto debito-Pil pari al 100%. La mancanza di leadership politica a livello nazionale ed europeo è la causa della diffusione della crisi. La manifestazione più eclatante di tale mancanza di leadership è la convinzione condivisa, a livello della Ue, che la situazione finirà per autocorreggersi e che serve soltanto una robusta garanzia di liquidità. È un tragico errore. Il clima negativo attuale si autoalimenta a causa dell’interazione di due fattori: la crisi di solvibilità del settore pubblico e di quello privato e la crisi di competitività». Concludendo sempre al vetriolo «più questa duplice crisi si trascina, più le misure necessarie per sconfiggerla saranno drastiche e di dubbia realizzabilità. A mio avviso, la crisi non si risolve senza un’europeizzazione del settore bancario, regole comuni per i mercati del lavoro e dei beni in grado di evitare la vischiosità dell’inflazione nell’Europa meridionale, e un minimo di unione fiscale con un unico bond europeo. E non è un elenco esaustivo. L’establishment politico europeo ritiene che una risposta così radicale sia ingiustificata, oltre che politicamente irrealizzabile. La prima valutazione è errata e, smaltito il clima natalizio, il mondo scoprirà che la seconda potrebbe invece essere corretta».

MAGHREB
IL MANIFESTO – Piccolo richiamo in prima pagina sui fatti tunisini «Strage, ma la rivolta continua», il titolo a piè di pagina. Nelle due righe di sommario si legge: «Il presidente Ben Alì in tv per difendere il massacro di domenica: sono criminali. Ma dopo l’uccisione di 50 dimostranti, le proteste si allargano a macchia d’olio». Tutta la pagina 9 è dedicata a quanto sta accadendo in Algeria e Tunisia. Il titolo di apertura è dedicato alle proteste tunisine, mentre di spalla si parla dell’Algeria in un articolo dal titolo «La spinta al cambiamento Ma per cambiare cosa?». In un box le reazioni: «Le blande condanne di Ue e Usa E il regime: critiche ingiuste». Dopo aver dato conto della posizione della Ue che «si è limitata a chiedere di “limitare l’uso della forza di rispettare le libertà fondamentali” e in particolare “il rilascio immediato di blogger, giornalisti, avvocati e altre persone incarcerate che hanno dimostrato pacificamente” (…)» si illustra la risposta tunisina agli Usa «(…) Nella nota si esprime “stupore” per “il contenuto di tale dichiarazione fatta sulla base di informazioni raccolte presso elementi ostili, senza verifica né consultazione con le autorità ufficiali”. Il ministero degli esteri tunisino sottolinea che “le riunioni non sono mai state vietate né ostacolate, quando si tratta di manifestazioni pacifiche e non violente”, richiamando il fatto che le autorità americane, in questa occasione, avrebbero dovuto dare “prova di obiettività e comprensione”».

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