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Bob Rugurika: “I media indipendenti burundesi sono ancora vivi”

Oggi il mondo celebra la giornata internazionale a favore della libertà di stampa. Un diritto fondamentale negato, o quasi, in Burundi. In esilio da due anni, Bob Rugurika, direttore della radio indipendente burundese, Radio Publique Africaine, ci spiega perché

di Joshua Massarenti

L’ultima intervista che Bob Rugurika ci aveva concessa risale al 18 maggio 2015. Due giorni prima, il regime del Presidente Pierre Nkurunziza aveva ridotto in ceneri la sede della sua radio, Radio Publique Africaine, la più ascoltata del Burundi. Assieme a RPA, furono chiusi o distrutti i principali media indipendenti del paese, accusati di complicità con un pugno di golpisti militari nel loro tentativo (poi fallito) di rovesciare Nkurunziza, la cui candidatura ad un terzo mandato presidenziale era stata duramente contestata dall’opposizione e dalla società civile. Per Rugurika, come per un centinaio di suoi colleghi, l’esilio fu l’unica strada possibile per scampare al carcere e alla morte. Di passaggio in Belgio, il direttore di RPA confida a Vita.it il dolore di vedere “il settore dei media ancora avvolto nelle tenebri”, e per il solo fatto “di essere sopravvissuti per continuare ad emettere dall’estero”, la convinzione di avere ottenuta “una vittoria contro un regime che voleva annientarci, senza successo”.

A due anni dalla distruzione dei locali della sua radio e una vita in esilio, con che spirito vive questa giornata internazionale della libertà di stampa?

Al di là della mia situazione personale, questa giornata è importante perché il mondo rimane mobilitato a favore della libertà di opinione. Purtroppo, il settore dei media in Burundi è ancora avvolto nelle tenebri. Ma voglio rimanere positivo. Rispetto a due anni fa, la Comunità internazionale continua a sostenere i media indipendenti burundesi. In molti paesi africani, così come in Europa e negli Stati Uniti, l’inquietudine è palpabile e ci sono tante persone che ci chiedono quando le nostre radio e televisioni verranno riaperte. Questa vicinanza mi da speranza. Detto questo, questa giornata mi riporta inevitabilmente all’incubo di due anni fa, quando il regime di Nkurunziza ha distrutto i nostri locali, iniziando una purga senza precedenti contro i media indipendenti burundesi che hanno provocato la chiusura o la distruzione delle loro sedi e costretto un centinaio di giornalisti a fuggire il paese. Con il passare del tempo, la Comunità internazionale ha capito che il regime burundese non ha fatto altro che mentire sulle ragioni di questa tabula rasa, uscendo peraltro perdente nella sfida che ci ha lanciato.

Questa giornata mi riporta inevitabilmente all’incubo di due anni fa, quando il regime di Nkurunziza ha distrutto i nostri locali, iniziando una purga senza precedenti contro i media indipendenti burundesi.

Ma i media indipendenti sono quasi scomparsi in Burundi e i pochi giornalisti rimasti lavorano in un clima di intimidazione, se non di terrore. Non le sembra un giudizio azzardato?

No. Il Presidente Nkurunziza aveva giurato la nostra fine, e invece sia all’interno del paese che fuori, i media indipendenti sono sopravissuti. Nessuno vuole negare le condizioni estremamente fragili in cui versiamo, ma è altrettanto vero che non siamo scomparsi. E questo per noi è una vittoria. Dall’esilio, sono state lanciate nuove iniziative come il programma Humura e Radio Inzamba che sono molto seguite nel paese, sia attraverso le onde corte che sui social media. Lo stesso discorso vale per i pochissimi media indipendenti rimasti in piedi come Iwacu e SOS Médias Burundi. Nonostante le pressioni, abbiamo il merito di continuare a produrre un’informazione credibile in modo professionale, anche grazie al contributo di tanti cittadini burundesi che dall’interno del paese e dai campi profughi continuano a tenerci aggiornati sulla loro vita quotidiana ma anche sulle esazioni del regime. Ma il cammino per la riapertura totale dello spazio mediatico rimane ancora lungo.

Il cammino per la riapertura totale dello spazio mediatico in Burundi rimane ancora lungo.

Nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta in marzo a Bujumbura, il governo aveva minacciato un’offensiva contro i media indipendenti. Ci sono state conseguenze?

Il governo vuole la nostra scomparsa, senza successo. La gente comune continua a seguirci e sappiamo che all’estero possiamo continuare il nostro lavoro, nonostante le difficoltà immnese a cui siamo confronti. Molti dei nostri giornalisti esiliati vivono nello sconforto, alcuni di loro vorrebbero abbandonare tutto, ma poi si ricredono, mossi dalla volontà e la passione di informare in modo libero, professionale e indipendente chi ci segue. Ho invece un pensiero per i miei colleghi rimasti in madrepatria, per loro è ancora più difficile. Sono sorvegliati, seguiti, minacciati. Il governo ha fatto credere ad una riapertura parziale dello spazio mediatico burundese autorizzando Radio Isanganiro a riemettere i suoi programmi, ma la nuova squadra che comanda questa radio è totalmente cambiata rispetto a quella precedente, ed è quasi totalmente sotto il controllo del regime. Non dovete farvi trarre in inganno: salvo pochissime eccezioni, in Burundi la libertà di espressione non esiste. Con persone che ogni giorno continuano a sparire, al contagocce perché il regime di Nkurunziza vuole ridurre al minimo l’attenzione della Comunità internazionale su quanto sta accadendo nel paese.

La gente comune continua a seguirci e sappiamo che all’estero possiamo continuare il nostro lavoro, nonostante le difficoltà immnese a cui siamo confronti.

Dal luglio 2016 si sono perse le tracce del giornalista Jean Bigirimana. A che punto siamo sul suo caso?

La scomparsa di Bigirimana rimane una ferita aperta. Ho raccolto molte informazioni su questo caso e da quanto ci risulta, Jean sarebbe stato ucciso all’indomani del suo arresto da parte dei servizi segreti. Tra poche settimane diremo tutta la verità.

Il destino dei media indipendenti è in parte legato all’evoluzione del dialogo tra il regime e l’opposizione, che oggi risulta più che mai in un impasse. Un accordo è ancora possibile?

Il dialogo non esiste, il regime non ha nessuna intenzione di discutere con l’opposizione. Ogni pretesto è buono per rinviare gli incontri e imporre condizioni che gli oppositori non possono accettare. In realtà, solo un rapporto di forza potrà dare una svolta alla crisi burundese.

Foto di copertina: Bob Rugurika davanti alla sede di Radio Publique Africaine, nel marzo 2015, due mesi prima della distruzione dei locali della radio per mano del regime del Presidente Pierre Nkurunziza. Carl de Souza/Getty Images.

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