Cultura
Bob Dylan, il suono della coscienza
Compie 60 anni il più amato cantautore della nostra epoca. Con le sue canzoni ha raccontato una stagione della storia collettiva, commovendo e indignando milioni di ascoltatori. Auguri
di Walter Gatti
Nel 1975 Bob Dylan fece visita alla prigione di Rahway, nel New Jersey. Lì era detenuto da circa otto anni Rubin “Hurricane” Carter, peso medio americano, un uomo di colore condannato per omicidio a metà degli anni ’60. Un incontro lungo, durante il quale Carter – accusato ingiustamente di un triplice omicidio – chiese al musicista di fare qualcosa perché la Corte di giustizia riaprisse il processo. Dylan se ne andò a casa e nel giro di pochi giorni scrisse una delle più belle fra le sue canzoni, Hurricane, inno di denuncia sui metodi della giustizia americana. Ora che Bob Dylan festeggia i suoi sessant’anni, compiuti il 24 maggio, il mondo festeggia questa sua innata capacità di raccontare il mondo e, almeno in parte, di cambiarlo.
Se per lunghi anni si è parlato di social song, di canzone “di protesta”, il merito (o la colpa) si deve a lui. I suoi esordi – Dylan è in circolazione dal ’59 – erano stati legati ad un approccio insolito alla canzone che miscelava folk, blues e denuncia. Così erano nate Hard Rain Gonna Fall e Master of War, sgorgate dalla grande paura della guerra atomica nei giorni della crisi di Cuba. Così erano nate le canzoni che denunciavano il razzismo o il perbenismo fariseo dell’American way of life. Questo suo modo di scrivere non era una novità assoluta: per decenni i musicisti folk degli States avevano lavorato così, dal padre di tutti i folksinger, Woody Guthrie, a Pete Seeger, da Tom Paxton a Phil Ochs, miscelando sensibilità umana a avanguardismo politico-sociale. Ma Dylan fece di tutto questo un metodo di lavoro, di produzione poetica e musicale. Un metodo che per un certo periodo fu anche sostenuto da un certo interesse pubblicitario e di marketing, di cui lo stesso Dylan, più tardi, diventò insofferente. Per questo Hurricane, proprio perché fu scritta nel mezzo degli anni Settanta, è forse la sua canzone “sociale” più forte: perché libera dalle pressioni dell’epoca, perché giunge gratuita, senza preavviso, come un fulmine a ciel sereno. In seguito anche lo stesso Dylan non ha più saputo ripetersi e la canzone di protesta andava a farsi benedire, ricca di pretesti e povera di musica.
Chi è rimasto a tenere alta la bandiera della social song? Pochissimi sopravvissuti, tra i quali lo Springsteen ritrovato (dopo anni di lumicino spento) di American Skin, qualche rapper che si prende la briga di urlare, come i Beastie Boys. In Italia restano (quasi) solamente i Gang, romantici marchigiani fratelli Severini, incapaci (per fortuna) di ammainare la bandiera della canzone d’impatto sociale, miscelando anarchia e sindacalismo, tradizioni religiose e folkrock. Per il resto purtroppo il filone langue. Lo stesso Dylan ha affermato di essere ultimamente più interessato alle canzoni che scandagliano fatiche e povertà, sogni e bellezze dell’amore (anche se non gli è sfuggita completamente la mano, come dimostra Political World dell’89). Forse scrivere «di ciò che succede nel mondo» non è più di moda. Forse è solo cambiato il modo di comunicare. Non si dica, comunque, che non è più tempo di canzoni di protesta, perché non è di protesta che si tratta, ma di voglia di comunicare, di “dire qualcosa” (non importa se di sinistra o di destra…). In fin dei conti tutto è iniziato da un ragazzo di Duluth, Minnesota, che a ventun anni diceva: «Io non scrivo canzoni di protesta. Io scrivo cose che possono essere dette a qualcuno da qualcuno…».
1975 – HURRICANE
da Desire
Nel 1967 il pugile Rubin”Hurricane” Carter viene incarcerato per un omicidio non commesso. Nel 1974 l’ex pugile scrive un libro, The sixteen round, in cui racconta la sua ingiusta condanna e ne invia una copia a Dylan: “Ne avevo mandato una copia anche a lui perché lo sapevo impegnato nella lotta per i diritti civili. Gli l’avevo inviata sperando che leggendola si sentisse invogliato a venirmi a trovare, così che potessi paragli. Letto il libro venne a da me e rimanemmo seduti a parlare per ore e io mi resi conto che anche lui era un fratello….”. Dylan scrive Hurricane in poco meno di tre ore e la pubblica su uno dei più bei dischi della sua discografia. Con la canzone nasce un movimento pubblico “free Carter” che porterà alla riapertura del processo. Rubin sarà scarcerato nel 1986, tre anni dopo l’inizio della revisione del processo.
Colpi di pistola risuonano nel bar notturno
entra Patty Valentine dal ballatoio
vede il barista in una pozza di sangue
grida “Mio Dio! Li hanno uccisi tutti!”
Ecco la storia di “Hurricane”
l’uomo che le autorità incolparono
per qualcosa che non aveva mai fatto
lo misero in prigione ma un tempo egli sarebbe potuto diventare
il campione del mondo
Patty vede tre corpi giacere a terra
ed un altro uomo di nome Bello muoversi attorno in modo misterioso
“Non sono stato io” dice l’uomo alzando le mani
“Stavo solo rubando l’incasso, spero che tu comprenda.
Li ho visti uscire”, dice concludendo, “Meglio che uno di noi chiami la polizia”
E così Patty chiama la polizia
che arriva sulla scena con le sue luci rosse lampeggianti nella calda notte del New Jersey
Intanto lontano in un’altra parte della città
Rubin Carter ed un paio di amici stanno facendo un giro in auto
sfidante numero uno per la corona dei pesi medi
non aveva nessuna idea di che tipo di guaio stava per succedere
quando un poliziotto lo fa accostare al lato della strada
proprio come la volta prima e la volta prima ancora
a Paterson questo è il modo in cui vanno le cose
se sei negro è meglio che non ti faccia nemmeno vedere per strada
o ti incastrano
Alfred Bello aveva un socio che aveva un conto in sospeso con la polizia
Lui ed Arthur Dexter Bradley vagavano in cerca di preda
disse “Ho visto due uomini uscire di corsa, sembravano pesi medi,
sono saltati su una macchina con targa di un altro stato”
E miss Patty Valentine fece solo di sì con la testa
Il poliziotto disse “Aspettate un momento ragazzi, questo qui non è morto!”
Così lo portarono all’ospedale
e sebbene quell’uomo vedesse a fatica
gli dissero che avrebbe potuto identificare il colpevole
Alle quattro del mattino fermano Rubin
e lo portano all’ospedale, gli fanno salire le scale
il ferito gli dà un’occhiata con la vista appannata
e dice “Cosa lo avete portato a fare qui? Non è lui l’uomo!”
Quattro mesi più tardi i ghetti sono in fiamme
Rubin è in Sud America a combattere per il suo nome
mentre Arthur Dexter Bradley è ancora in ballo per l’affare della rapina
e i poliziotti gli stanno alle costole cercando qualcuno da incolpare
“Ricordi quell’omicidio avvenuto in un bar?”
“Ricordi di aver detto di aver visto la macchina fuggire?”
“Pensi forse di poter giocare con la legge?”
“Credi che potrebbe essere stato quel pugile quello che tu hai visto scappare quella notte?”
“Non dimenticare che tu sei un bianco!”
Arthur Dexter Bradley disse “Non ne sono veramente certo”
I poliziotti dissero “Un povero ragazzo come te potrebbe avere un’occasione”
“Noi ti abbiamo in pugno per quell’affare del motel e stiamo discutendo col tuo amico Bello”
“Ora tu non vorrai dover tornare in prigione, fai il bravo”
“Farai un favore alla società, quello è un figlio di puttana”
“Vogliamo mettere il suo culo in prigione”
“Vogliamo affibbiargli questo triplice omicidio”
“Non è mica Gentleman Jim”
Tutte le carte di Rubin erano segnate fin dall’inizio
il processo fu una farsa, egli non ebbe mai una sola possibilità
il giudice fece apparire ogni testimone a favore di Rubin come un ubriacone degli “slums”
per la gente bianca che osservava egli era un vagabondo rivoluzionario
e per i negri era solo un negro pazzo
nessun dubbio che fosse stato lui a premere il grilletto
e sebbene non fosse stato possibile produrre l’arma del delitto
il Pubblico Ministero disse che aveva compiuto lui l’omicidio
e la giuria composta esclusivamente da bianchi fu d’accordo
Rubin Carter fu processato con l’imbroglio
l’accusa fu omicidio di primo grado, indovinate chi testimoniò?
Bello e Bradley ed entrambi mentirono sfacciatamente
e tutti i giornali si gettarono a pesce sulla notizia.
Come può la vita di un tale uomo
essere nelle mani di gente così folle?
Nel vederlo così palesemente incastrato mi sono vergognato di vivere in un paese
dove la giustizia è un gioco
Nessuno ti regala niente, noi sì
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