Sostenibilità
Blitz di Greenpeace contro le navi dei veleni
Attaccate la "Pacific Pintail" e la "Pacific Teal". Fra tutte e due trasportano 225 chilogrammi di plutonio, quanto basta per costruire 50 piccole bombe nucleari
di Redazione
“Grazie a Dio, Qualcosa smuove le acque” (“Thanks God, something´s making waves”): anche questa volta Greenpeace ha applicato il suo motto alla lettera. Al largo di Wellington, in acque internazionali fra l’Australia e la Nuova Zelanda, una piccola flotta di imbarcazioni dell´associazione ecologista ha tentato di ostacolare il passaggio di due navi inglesi, la “Pacific Pintail” e la “Pacific Teal”. Fra tutte e due trasportano 225 chilogrammi di plutonio, quanto basta per costruire 50 piccole bombe nucleari. La flottiglia di Greenpeace – undici fra yacht e gommoni – è riuscita a intercettare il mini-convoglio all’alba. Le barche erano in acque internazionali, tra le isole Norfolk e Howe. Dopo aver individuato via radar le due navi inglesi, si sono mosse per sbarrar loro la strada. Com´è ovvio l´azione era puramente dimostrativa: la “Pacific Pintail” e la “Pacific Teal” hanno facilmente forzato il blocco, accelerando fino a 13 nodi. Due attivisti però – uno dei quali è il deputato dei Verdi di Sydney, Ian Cohen – hanno quasi raggiunto le navi con un gommone e si sono buttati in acqua, proprio sulla loro rotta, ad appena 400 metri di distanza; avevano con sé un cartello galleggiante con su scritto: “Oceano Pacifico senza Nucleare”. Intanto, dalla flottiglia, partiva un messaggio radio di protesta diretto alle navi: “Come membro eletto del Parlamento del Nuovo Galles del Sud – ha poi spiegato Cohen – in rappresentanza di molti australiani che hanno espresso forti sentimenti antinucleari, ho voluto essere sicuro che i responsabili della spedizione non avessero alcun dubbio sul fatto che non sono bene accetti in questa regione”. La “nave dei veleni”, che sta riportando in Gran Bretagna, alla già tristemente famosa centrale nucleare di Sellafield, scorie radioattive respinte dal Giappone, era partita da Takahama alle 15.35 del 4 luglio scorso, scortata da trentotto navi della guardia costiera giapponese. A bordo, ossidi di uranio e plutonio spediti tre anni fa in Giappone dalla società pubblica “British Nuclear Fuels Plc” (Bnfl) perché fosse smaltito; ma gravi irregolarità nella documentazione, e le proteste dei movimenti ambientalisti locali, hanno obbligato il committente a riprendersi il carico.
“La cosa scandalosa – spiega Fabrizio Fabbri, esperto della sezione italiana di Greenpeace – è che si tratta di un trasporto causato dall´imperizia della Bfnl, che nel 1999 aveva falsificato i documenti sulla sicurezza nel trasporto del “MOX”, la miscela di ossidi di uranio e plutonio. Già allora il ministro giapponese aveva parlato di un “partner inaffidabile”, e aveva invitato gli inglesi a venirsi a riprendere il carico, congelando per motivi di sicurezza tutto il materiale radioattivo ricevuto da loro negli ultimi quattro anni”. Qualsiasi persona di buonsenso può intuire i rischi di un tale viaggio, su e giù per il mondo con un carico micidiale: le rotte possono percorrere gli stretti coreani (dove, poche settimane orsono, ai tempi dei Mondiali di calcio, navi di Nord e Sud Corea si sono “cannoneggiate” senza tanti complimenti) e il Capo di Buona Speranza, dove un naufragio avrebbe conseguenze catastrofiche. Senza contare il rischio, insistono gli ecologisti, che qualche gruppo terroristico tenti di impadronirsi del carico. Il clima internazionale non è dei più rassicuranti, le due navi pare siano attrezzate solo con armi leggere. “La nave di scorta – aggiunge Fabbri – ha già rischiato di finire sugli scogli, il che dimostra il grado di sicurezza della traversata”. Il viaggio durerà 90 giorni e sarà probabilmente scandito dalle proteste di molti Paesi: pochi giorni fa il primo ministro delle Figi, Laisenia Qarase, ha esortato i capi di governo del gruppo “Africa, Caraibi e Pacifico” (Acp) a unirsi alle nazioni del Pacifico nell’esprimere “indignazione e opposizione” alla spedizione di plutonio via mare. “Mentre parliamo, una nave carica di plutonio si sta dirigendo verso le nostre acque, dopo aver attraversato altre zone della regione. Vi chiediamo di unirvi a noi per fermare chi mette a rischio il Pacifico e i nostri popoli”, aveva detto. Le due navi, fanno notare gli ambientalisti, hanno già violato le “zone economiche esclusive” (200 miglia dalla costa), degli Stati federati della Micronesia, delle isole Salomone, di Vanuatu e Papua Nuova Guinea. La “Pintail” è passata a sole 40 miglia (72 chilometri) da Pohnpei, capitale della Micronesia, nonostante il governo avesse esplicitamente chiesto che rimanesse fuori dalle sue acque territoriali. “Abbiamo solo dieci barche – ha detto un dimostrante – ma esprimiamo il desiderio di milioni di persone, che vogliono mettere fine a un´industria mostruosa, in tutto il mondo”. Tant´è: le navi fanno rotta verso l´Irlanda e l´Inghilterra, a scapito della sicurezza di migliaia di persone. Ma qualcuno ha provato a “muovere le acque”, in un mare che conosce bene: nel 1987, davanti alla Nuova Zelanda, era stata “affondata” con un funerale Maori la “Rainbow Warrior”, ammiraglia della “flotta arcobaleno” colpita a morte da una bomba dei servizi segreti francesi, due anni prima.
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