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Black out Sri Lanka

Tutte le sigle umanitaria ormai hanno abbandonato il nord del Paese a maggioranza Tamil

di Riccardo Bianchi

Anche le ultime organizzazioni umanitarie presenti nel nord dello Sri Lanka hanno abbandonato le regioni martoriate dalla guerra civile dopo che il governo di Colombo aveva avvertito di non poter più assicurare la loro incolumità. I bombardamenti, che stanno colpendo a tappeto tutte le città dell’etnia tamil, rischiavano di fare vittime anche tra gli operatori. E così sia le Nazioni Unite, sia il Norway Refugee Council, che da anni si occupano delle migliaia di rifugiati, sono state costrette a ripiegare sulla capitale, abbandonando la popolazione civile.

Questo è il momento peggiore della guerra civile, riniziata ufficialmente all’inizio dell’anno, quando il governo ha rotto unilateralmente la tregua che aveva stipulato nel dicembre 2001 con le tigri, il forte gruppo ribelle dei tamil. Ora che la Norvegia, che nel 2000 si era proposta come intermediario, ha abbandonato Colombo, gli attacchi dell’esercito regolare continuano incessantemente, ma poco si sa di quello che stia succedendo nelle regioni del nord, devastate dagli scontri. I collegamenti telefonici sono interrotti e la statale 9, unica strada che porta a settentrione, è chiusa. Ora, con la dipartita degli operatori umanitari, anche l’ultima fonte indipendente di informazione ha lasciato il campo.

In India già 73mila rifugiati, quelli rimasti non hanno protezione
Ma la tensione tra le due fazioni era già degenerata nell’Aprile 2006, quando un attentato kamikaze contro il quartier generale dell’esercito aveva scatenato una violenta rappresaglia. Oggi si susseguono gli atti terroristici contro civili, e il governo addita come responsabili le tigri. Ma solitamente il gruppo ha sempre colpito obiettivi politici o militari, e molti pensano che dietro gli attacchi vi possa essere una regia governativa, atta ad aumentare la tensione.

L’Unhcr ha contato 73mila tamil rifugiati in India, patria natale di questa etnia, divisi in 113 campi. Ma molti altri sono rimasti nelle zone limitrofe a Kilinochchi e alle città del nord e, con la partenza dell’alto commissariato Onu, hanno perso l’unica fonte di sicurezza, come ha avvertito l’organizzazione per i diritti umani Asian Human Rights Commission. Numerosi progetti di cooperazione, nati dopo lo tsunami che ha sconvolto il paese nel 2003, sono stati abbandonati alla gestione delle ong locali, che però possono acquistare i materiali necessari solo al mercato nero, a costi anche dieci volte maggiori rispetto al solito.

Vanno avanti i progetti finanziati con gli sms dello tsunami
Non poche organizzazioni non governative internazionali, come la Cooperazione Italiana Sud – Sud, hanno abbandonato le regioni nell’ultimo anno, a causa delle enormi difficoltà riscontrate. Come raccontano gli operatori, alcune ong di zona, partner nei vari programmi, come la Tamil Rehabilitation Organisation, sono state dichiarate fuori legge dall’esecutivo di Colombo. Ciò ha reso impossibile far proseguire i lavori già iniziati. In altri casi, come per il Cesvi e il Vis, la situazione è peggiorata, ma ancora si riescono a portare avanti quei progetti che avevano preso il via con l’arrivo della Protezione Civile italiana e che dovevano essere finanziati con i 28 milioni di euro raccolti con i famosi sms.

«È bene che gli italiani sappiano che quei soldi sono stati spesi bene e tuttora lo sono» assicura Luigi Bisceglia, cooperante del Volontariato Internazionale per lo Sviluppo di stanza in Sri Lanka. Il Vis ha circa 54 progetti nel sud del paese, quasi tutti sostenuti grazie ai fondi della Protezione Civile. Si tratta in gran parte di programmi di tipo sanitario ed educativo, ma anche di creazioni di abitazioni per i poveri dei villaggi e aiuti alle comunità di pescatori per formare cooperative di lavoro. Nonostante l’attività sia tutta incentrata in una zona non colpita dagli scontri, le difficoltà sono aumentate: «Per un visto o un permesso di lavoro la burocrazia è lentissima» conferma Bisceglia «E se qualcuno lo richiede per fondare una missione nel nord, gli viene negato subito».

Alla base degli scontri la divisione del potere

Per ora tutte le regioni settentrionali sono servite soltanto dalla Caritas e dalle poche, e povere, organizzazioni tamil, che il governo osteggia apertamente. Le notizie arrivano solo dai siti internet del gruppo etnico, che parlano di continuo di civili uccisi dalle truppe regolari e non brillano in affidabilità. Sembra difficile pensare che senza un intervento internazionale si possa arrivare a un nuovo cessate il fuoco. Soprattutto perché i cingalesi non appaiono disposti a cedere parte del potere ai tamil, o meglio a nuove figure politiche. E in Sri Lanka il potere vuol dire soprattutto denaro. Basti pensare che l’esecutivo è composto da 104 ministri, per non parlare dei funzionari. Una spesa pubblica non indifferente.

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