Criptovalute e dintorni

Bitcoin, la strada dell’investimento etico è ancora lunga

Per il vice direttore generale di Etica Sgr, Roberto Grossi, «il processo di mining va ripensato in una chiave più sostenibile». Ma «siamo ancora lontani. Sui Bitcoin la sfida ambientale al momento resta aperta, al pari di quella regolatoria della governance». Secondo puntata della nostra inchiesta

di Alessio Nisi

Bitcoin

Il mining, l’attività informatica necessaria per creare Bitcoin, solo nel 2023, ha consumato globalmente, secondo le stime del Bitcoin Energy Consumption Index, 178 terawattora di elettricità, una quantità di energia equivalente a quella consumata dall’Italia in circa 6 mesi.

Dall’analisi emerge anche che la quantità di CO2 immessa annualmente nell’atmosfera dalle fabbriche di Bitcoin sarebbe di ben 98 milioni di tonnellate. Per compensare questo livello di emissioni, sarebbe necessario piantare 4 miliardi di alberi ogni due anni, coprendo un’area pari a quella della Danimarca. 

Il mining si serve di energia fossile

Ma non è tutto. Il mining consuma energia e al contempo rende obsolescenti, nel giro di un anno e mezzo, le apparecchiature informatiche impiegate. Inoltre, il loro utilizzo ininterrotto 24 ore su 24 fa sì che si preferisca l’uso di energia fossile, piuttosto che quelle rinnovabili, in quanto più limitate alla disponibilità territoriale e soggette a variazioni. Uno studio (QUI tutti i dati) dell’Università delle Nazioni Unite ha rivelato che, nel biennio 2020-2021 il carbone ha costituito il 45% dell’elettricità totale utilizzata, configurandosi come la principale fonte di energia per l’estrazione. 

Il mining e l’acqua di 300 milioni di persone

E come se non bastasse c’è anche un tema legato all’acqua. I data center devono essere raffreddati: per questo tra il 2020 e il 2021, l’estrazione del Bitcoin ha richiesto una quantità d’acqua pari a 1,65 chilometri cubi. Si tratta di un volume equivalente a quello necessario per riempire oltre 660mila piscine olimpioniche. Questa quantità sarebbe sufficiente a soddisfare i bisogni idrici di oltre 300 milioni di persone che vivono in territori soggetti a siccità.

La sfida ambientale e di governance

«Pur essendo basate su una tecnologia innovativa e potenzialmente interessante come la blockchain, le criptovalute restano strumenti altamente speculativi, con significative criticità sia in termini di governance sia di impatto ambientale». Ogni 4 anni poi si dimezza la produzione, «c’è un picco di attenzione perché diminuisce l’offerta e aumenta il valore intrinseco», spiega Roberto Grossi, vice direttore generale di Etica Sgr.

Roberto Grossi, vice direttore generale di Etica Sgr

Giorgi, le criptovalute e i Bitcoin in particolare sono tornate al centro della scena. Complice anche l’apertura del neo presidente Trump. Come valuta questa situazione?

Cryptoasset e criptovalute non sono il male assoluto, come non lo è tutto quello che ruota intorno alla blockchain. In prospettiva portano idee e innovazioni di sviluppo decisamente molto importanti. Tutto questo, nonostante ancora oggi non riusciamo a immaginare le possibili applicazioni della blockchain, anche e non solo in termini di processi produttivi. Non possiamo in ogni caso non inquadrare queste soluzioni con un approccio critico, ponendoci domande di buon senso.

E le iniziative di Trump?

L’apertura dell’amministrazione Trump ha riportato sotto i riflettori questi asset. Sicuramente se si andasse verso un sistema di regolamentazione più chiaro e trasparente sarebbe già, tanto per cominciare, un passo in avanti.

La direzione sembrerebbe quella della creazione di un ambiente normativo che favorisca questo tipo di investimento, storicamente caratterizzato da elevata volatilità e rischiosità.

Ci sono elementi intrinseci di debolezza molto importanti, legati alla poca trasparenza. Non parlo dei Bitcoin. Le criptovalute più esotiche possono essere particolarmente vulnerabili a usi poco leciti. Non essendoci una regolamentazione e non essendosi creato un ente giuridico che li emette, diventa tutto più complicato.

Ma se il fenomeno Bitcoin nasce in chiave antisistema, come mettiamo le briglie (leggi, le regole) a questo sistema? 

Va considerato l’utilizzo che oggi si fa dei Bitcoin, spesso legato a investimenti con una volatilità estrema e con pochissima regolamentazione, mette molto a rischio soprattutto i piccoli risparmiatori. Questi, attratti da guadagni facili, vanno a comprare un qualcosa ancora poco conosciuto. Nessuno immaginava poi che l’impatto ambientale fosse così rilevante. Il sistema costruito sulla decentralizzazione e su un impianto esterno ai canali tradizionali poi nel momento in cui diventa mainstream, si espone alla necessità di una normazione. A tutela di chi si avvicina a questo mondo e anche per fare in modo che la tecnologia sottostante venga sviluppata e diventi di dominio pubblico.

Gli organi di vigilanza nazionali e internazionali si stanno interrogando da tempo sul tema della governance dei Bitcoin.

È chiaro che bisognerà trovare una quadra che non snaturi la possibilità, ad esempio, di fare transazioni immediate, che siano univoche e tracciabili. Internet è nato proprio sullo scambio istantaneo e alla pari di informazioni. Col passare degli anni sono emersi i difetti di questo scambio libero. Ecco, il regolatore sta intervenendo per cercare di limitare queste derive (penso alle fake news e alla disinformazione). 

E con i Bitcoin?

Dallo scambio di informazioni di Internet, con i Bitcoin siamo passati ad una scambio di valore, con una tecnologia nuova di cui si fa fatica a capirne i possibili sviluppi e le possibilità di regolamentazione.

Dei Bitcoin lei ha parlato come di «strumenti altamente speculativi, con significative criticità non solo in termini di governance ma anche di impatto ambientale.

Il processo di mining va ripensato in una chiave più sostenibile. Sì, per le criptovalute e i bitcoin esistono spazi etici. Penso ad un utilizzo più responsabile, adottando pratiche volte a ridurre l’impatto ambientale, con meccanismi più efficienti. Però mi sembra che siamo ancora un po’ lontani. Sui Bitcoin la sfida ambientale al momento resta aperta, al pari di quella regolatoria della governance.

Resta sul tavolo la versatilità della blockchain, la tecnologia che sostiene le criptovalute.

La blockchain può essere utilizzata anche per la certificazione di opere d’arte, per il controllo della filiera agroalimentare, dei beni di consumo e della supply chain in generale. La blockchain avrà sicuramente un impatto crescente nelle attività anche produttive delle aziende. Certo, molto dipenderà dal poter avere rassicurazioni da un punto di vista legale: non mi affido ad un tipo di tecnologia delocalizzata di cui non risponde nessuno.

2^ puntata

Leggi anche Bitcoin, solo speculazione o nuovi spazi per le comunità.

In apertura foto di Gabrielli Pereira da Pixabay. Nel testo immagine di Etica Sgr

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