Cultura

Biologico, l’Aiab contro Panorama

L'associazione risponde con il giornalista Travaglini (Bioagricoltura) ad un duro articolo del settimanale che aveva messo sotto accusa la qualità del biologico.

di Giampaolo Cerri

Polemiche fra l’Aiab il settimanale Panorama che, nel numero in edicola, pubblica un servizio molto duro sul biologico, attaccandone soprattutto la qualità. L’Associazione italiana per l’agricoltura biologica risponde con Franco Travaglini, direttore della rivista associativa Bioagricoltura e giornalista esperto. Ecco il suo internvento. “Nico Valerio non ha perso il gusto per l’iperbole: “L’alimento biologico per la scienza non esiste”. Così esordisce un suo articolo comparso su Panorama del 15 giugno 2001 in cui riferisce di due ricerche, scientifiche si badi bene, che proprio di biologico si occupano. Scienziati, dunque, che si occuperebbero di qualcosa che non esiste… Proseguendo nella lettura non è difficile scoprire che lo stile iperbolico è del tutto funzionale alla scelta dell’autore di spigolare fra i risultati delle ricerche per utilizzare, fuori del loro contesto, gli elementi di una tesi che invece Valerio avrebbe tutta la legittimità, data la sua lunga esperienza di studioso e scrittore sulla materia, di rivendicare apertamente come propria. La tesi è, appunto, che gran parte delle qualità che il biologico si attribuisce sono solo “una leggenda”. In particolare, secondo Valerio, non è vero che i prodotti biologici hanno qualità nutrizionali, igieniche e organolettiche superiori a quelle dei prodotti convenzionali. Sottolineo che questa è la legittima convinzione di Valerio e non ciò che si ricava dalla ricerche citate e anche da altre non citate. Infatti, allo stato attuale, l’unica cosa che dicono gli scienziati è che non ci sono elementi che consentano di affermare che i prodotti biologici hanno qualità nutrizionali e organolettiche superiori perché i dati raccolti sono contrastanti o non significativi. Questo significa che queste differenze talvolta vengono rilevate, talaltra no, che a volte sono di entità così ridotta da non essere significative. In più, il numero degli esperimenti è ancora troppo ridotto per dar luogo a risultati statisticamente significativi. D’altra parte è quello che lo stesso Valerio fa dire a Emilia Carnovale una ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione che ha partecipato al progetto “Determinanti di qualità dei prodotti dell’agricoltura biologica”: “Dati contrastanti o non significativi”, appunto. È quanto afferma anche il coordinatore della ricerca, Giovanni Quaglia: “si tratta di primi risultati dai quali non è possibile trarre conclusioni generalizzate. Bisogna continuare nella ricerca ed estenderla ad un maggior numero di prodotti”. In sostanza, a differenza di Nico Valerio, dicono che non si può affermare che tutti i prodotti biologici sono migliori dal punto di vista nutrizionale e organolettico, ma dicono anche che non si può affermare nemmeno il contrario, cioè che tutti i prodotti biologici non sono migliori dal punto di vista nutrizionale e organolettico. Quando Giovanni Quaglia presentò qualche anno fa i primi risultati del progetto citato (se non ricordo male erano sulla pasta) essi furono accolti con grande soddisfazione dagli operatori del biologico. Non perché ne risultava la migliore qualità dei prodotti biologici, ma perché essi si collocavano, quanto a contenuto nutrizionale e valore organolettico, nella fascia medio alta dei prodotti convenzionali. Perché ciò per cui il mondo della produzione biologica ha dovuto impegnarsi a fondo in questi anni è stato battere il pregiudizio che i prodotti biologici fossero sì “gentili con l’ambiente” e più sicuri dal punto di vista igienico (non uso di sostanze chimiche), ma più scadenti dal punto di vista delle qualità organolettiche e nutrizionali! Valerio poi riesuma la tesi di Bruce Ames, la cui vulgata è che sarebbero più pericolosi i pesticidi naturali con i quali le piante si difendono dai loro aggressori di quelli che noi usiamo per lo stesso scopo. Tesi che provvede lo stesso Valerio (involontariamente?) a stroncare: “Per fortuna, però, nelle piante ci sono molti composti antiossidanti e anticancro che spesso prevalgono, come nella dieta mediterranea tradizionale. Altrimenti il genere umano sarebbe scomparso da tempo.” C’è di più: se la vulgata di Ames fosse vera, l’evoluzione sulla terra si sarebbe fermata allo stadio dei vegetali, essendo questi ultimi alla base di tutte le catene alimentari. La “natura” non è benigna né maligna, ma ha dalla sua parte la complessità e il tempo lungo. I pesticidi chimici sono invece caratterizzati dalla semplificazione (uso di sostanze killer senza considerazione per gli effetti collaterali) e il tempo breve (meno di un secolo e, per di più, almeno 50 anni senza nessuna sperimentazione preliminare sui loro effetti ambientali e sulla salute umana). È poi curioso che Valerio, tra le molte ricerche che cita, non parli di un importante rapporto del National Research Council degli Stati Uniti, pubblicato nel 1993, dal titolo “Pesticides in the Diets of Infants and Children” (I pesticidi nella dieta dei neonati e dei bambini). In questo rapporto si sostiene che tutti i parametri utilizzati per stabilire i livelli di sicurezza dei residui di pesticidi negli alimenti non considerano “specificamente i neonati e i bambini. Di conseguenza, le variazioni dell’esposizione alimentare ai pesticidi e i rischi per la salute legati all’età non sono considerati dall’attuale pratica normativa”. Il rapporto suscitò scalpore negli Stati Uniti (ma non in Europa) al punto da indurre l’allora presidente Bill Clinton a intervenire per far introdurre qualche correttivo. A fronte anche solo di questo, ogni discorso rassicurante sui pesticidi appare a dir poco irresponsabile. Come non ricordare poi l’allarme, lanciato anche dalla Fao, sul peggioramento della qualità delle acque potabili fra i cui primi responsabili c’è proprio l’agricoltura chimico-industriale? Anche se l’acqua non è annoverata fra gli alimenti, è comunque un elemento essenziale della vita sul pianeta, compresa quella umana. Può essere significativo, allora, ricordare che l’Unione europea, a fronte di questa situazione delle acque, ha deciso di finanziare una ricerca sui metodi usati in agricoltura biologica per il controllo delle erbe infestanti. In agricoltura biologica, infatti, non si usano gli erbicidi chimici che sono fra i responsabili dell’inquinamento delle acque di falda. È vero che, talvolta, nel mondo del biologico si lascia spazio a fraintendimenti sulla salubrità dei prodotti bio. Come se un’alimentazione basata su una somma di prodotti certificati facesse di per sé un’alimentazione sana, a prescindere dalla sua composizione. Ma se un modello alimentare è squilibrato, per esempio non contiene quote adeguate di frutta e verdura, squilibrato rimane anche se è composto interamente di prodotti biologici. È anche vero, ovviamente, come si fa dire a Silvio Garattini nell’articolo, che i fattori protettivi per la salute sono presenti nei normali cibi che si trovano al supermercato. Nessuno, che mi risulti, ha mai sostenuto di non mangiare frutta e verdura (gli alimenti più protettivi in assoluto) se coltivati con il metodo convenzionale. Sarebbe demenziale, tanto più che il biologico è ancora una quota minima del mercato. Ma se ci sono prodotti che insieme ai fattori protettivi non contengono i rischi dei pesticidi, non è meglio? A meno di sostenere, ma credo che né Garattini né Valerio si spingerebbero a questo, che l’uso della chimica aumenta la presenza di fattori protettivi. Infine, il modo in cui Valerio tratta il lavoro pubblicato da Nature, è un vero e proprio insulto all’intelligenza di quei ricercatori. In questa ricerca tre metodi di coltivazione delle mele (convenzionale, integrato, biologico) sono stati messi a confronto per accertarne la sostenibilità attraverso l’uso di diversi parametri: qualità del suolo, risultati produttivi (che comprendono la qualità organolettica), redditività, impatto ambientale e efficienza energetica. Come si vede si tratta di un lavoro che non prende in esame un solo aspetto, bensì l’insieme delle principali caratteristiche dei tre sistemi produttivi. Una delle poche, che mi risulti, con uno spettro analitico così ampio e complesso. Ebbene, che uso ne fa Valerio? Afferma che questa ricerca arriva alle stesse conclusioni di quelle che lui attribuisce all’Inran sulle qualità nutrizionali, cioè risultati contraddittori, non certi, quindi non nella direzione che piacerebbe a Valerio. Il quale poi, bontà sua, in chiusura d’articolo ricorda che la ricerca pubblicata da Nature mostra che l’agricoltura biologica ha un impatto ambientale minore delle altre. Come se questo fosse un dato trascurabile. Ma, di nuovo, la ricerca arriva in realtà a conclusioni un po’ più complesse e significative: “la produzione di mele con il metodo biologico e con quello integrato, nello stato di Washington, sono migliori rispetto al metodo convenzionale non solo per il suolo e per l’ambiente, ma danno anche raccolti equiparabili e, per il biologico, più alti profitti e più elevata efficienza energetica. Sebbene i raccolti e la qualità siano risultati importanti del sistema agricolo, i benefici di una qualità migliore del suolo e dell’ambiente forniti dal biologico e dall’integrato sono ugualmente preziosi benché siano di solito trascurati dal mercato. Questi benefici “esterni” comportano dei costi finanziari per gli operatori. Oggi gli agricoltori dei sistemi più sostenibili non riescono a ricavare un profitto dalle loro aziende senza incentivi economici, come i prezzi più alti o i sussidi, che valorizzano questi benefici “esterni”. Va comunque considerato anche che, se incorporassimo i costi esterni nelle valutazioni economiche dei sistemi agricoli, potremmo arrivare alla conclusione che molti sistemi agricoli attualmente in profitto sono antieconomici e perciò insostenibili. La sfida che sta di fronte ai politici è di includere il valore dei processi ecologici nel mercato, aiutando così i produttori di cibo nei loro tentativi di usare pratiche sostenibili sia economicamente sia ambientalmente.” Di nuovo, trarre da questa singola ricerca conclusioni generali sarebbe sbagliato. Certo, per chi è convinto che l’agricoltura biologica sia proprio questo, si tratta di risultati che incoraggiano a proseguire sulla strada scelta, con tutte le difficoltà che questo comporta, soprattutto se non si punta solo all’allargamento di una nicchia bensì alla conversione di tutta l’agricoltura verso la sostenibilità”.


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