Cultura

Biologico, equo, tipico… L’Italia cambia menù

Una volta erano prodotti di nicchia. Oggi l’offerta non riesce più a star dietro alla domanda. Si va dal pane bio al gelato artigianale. Ed è un vero boom per le macellerie agricole.

di Giampaolo Cerri

Il lardo di Colonnata? Se la produzione fosse sufficiente, lo venderemmo in tutti i nostri 115 supermercati, anziché nella metà soltanto». Pierluigi Stoppelli, direttore acquisti freschi di Esselunga, è uno degli operatori ?travolti? dal nuovo stile della tavola degli italiani. E anche testimone autorevole del boom di prodotti tipici, biologici ed equosolidali dell?ultimo periodo. Fenomeno cui dà vita un?Italia che fa del mangiare non appena un gesto banalmente fisiologico ma una scelta etica e che ha a che fare con cultura, ambiente, giustizia. Trionfo al supermarket «Sulla consapevolezza dei consumatori abbiamo scommesso da anni», dice Stoppelli, «promuovendo i prodotti locali senza dimenticare quelli tipici e investendo fortemente sulla varietà del biologico, che continua a crescere anche perché lavoriamo per allargarne la scelta sullo scaffale». Idem per l?equosolidale: «Le banane stanno registrando un successo notevole». Buristo senese, pesche di Leonforte, fragole di Maletto, pera coscia dell?Etna: i clienti della catena milanese hanno decretato il trionfo di prodotti che coniugano spesso tipicità e agricoltura naturale. «Un matrimonio che presto sarà totale», scommette Stoppelli, «l?impostazione delle produzioni tipiche è molto simile a quella delle biologiche. A volte basta poco». Non canta vittoria, ma è soddisfatto, Piero Sardo di Slow Food: «Non siamo alla tendenza generale ma la nicchia è cresciuta, è diventata più avvertita, c?è in giro una maggior consapevolezza di cosa sia un prodotto tipico e naturale». Non un fenomeno di massa ma un numero crescente di italiani che al supermercato puntano sul bancone dei prodotti tipici e che leggono bene le etichette: «Vogliono capire chi e che cosa ci sono dietro e premiare chi custodisce una tradizione». Gente che ha ormai chiaro come «la lenticchia di Castelluccio sia stata una bandiera da agitare ma che c?è anche altro». Insomma, non solo Bettelmatt, mitico formaggio della Val Formazza, che si produce in baita vicino al ghiacciaio di Gries: «Oggi si è imparato a cercare e trovare la toma ossolana, meno alla moda, ma ugualmente buona». Coscienza del mangiare Una consapevolezza tutta no global, nel senso che vuol difendere il local, con la sua storia, il suo valore economico. Quella coscienza del mangiare che porta a visitare le cantine «un fenomeno turistico che muove oltre 1 milione di persone», dice Sardo, o le aziende agricole medio piccole. Un popolo che recupera e rivaluta i sapori che l?industria agroalimentare ha ormai deciso di trascurare. «C?è un ritorno ai legumi», racconta, «fagioli, fagiolini, fave: la gente sta reimparando a mangiarle, dopo che l?Italia del boom economico li aveva liquidati come poveri». È giunta (o tornata) l?ora del favino del Gargano e della cicerchia di Colfiorito. «L?euro ha dato una mazzata a questo movimento di consapevolezza alimentare», spiega Paolo Massobrio, enologo di fama e autore del Golosario, guida a questa Italia minima delle grandi tradizioni alimentari, «però in giro c?è sempre voglia di buon cibo: si continua ad andare per cascine a scoprire la nuova agricoltura, biologica e tipica, sui cui hanno scommesso tanti giovani». Anche perché «approvvigionarsi direttamente dal produttore, significa mangiar sano e risparmiare». Una rarità, di questi tempi. «Le macellerie agricole, annesse ad aziende e fattorie, registrano il tutto esaurito. Le famiglie vanno a comprarsi il quarto di vacca, magari, mettendosi assieme». Nel biologico, oltre alla pasta, alla frutta, alla carne – must dell?ultimo anno – le abitudini alimentari entrano nel panificio e in pasticceria. «Il pane bio sta conoscendo un successo senza precedenti», dice Enrico Erba dell?Associazione italiana agricoltura biologica che, insieme al Wwf, ha lanciato pagnotte secondo natura in almeno cento forni italiani. «La tendenza nuova è il gelato», spiega, «specialmente al Sud stanno nascendo molti laboratori artigianali». Il boom equosolidale Se la tavola sostenibile s?allarga, ne beneficia anche il commercio equo. «Il prodotto del momento?Il succo d?arancia che importiamo dal Brasile e da Cuba», dice Paolo Pastore, direttore di TransFair, «Coop e Pfanner prevedono di arrivare a 250mila litri il prossimo anno». Ma la vera novità sono gli snack di cioccolato o di riso soffiato: «Una merendina che sta incontrando la voglia di sfizio dei consumatori». Piace sempre di più il prodotto storico del settore: il caffè. «Il 100 % arabica ha ormai conquistato gli italiani», assicura, «i concessionari pensano venderne 600mila pezzi nel 2002». I prodotti per il breakfast sono il piatto forte (o meglio la tazza forte) anche di Ctm Altromercato che ha recentemente lanciato il caffè equo Esselunga bio con la catena omonima. «E pure il tè verde sta vivendo una stagione fortunata», dice Danilo Tucconi, della direzione di Altromercato. Ma a far tendenza però è un prodotto relativamente nuovo: la quinoa, una sorta di spinacio andino, coltivato in Bolivia da 5mila anni, che dà una farina ricca di fibre e minerali. Altromercato ne fa, da due anni e con un discreto successo, dell?italianissima pasta. Fusilli e pennette da condire al pomodoro. Valeria Calamaro, responsabile marketing, spiega di consumarla stile cous cous «bollita con latte, formaggio o semplicemente olio di oliva, o abbinandola a verdure». Assicura che è squisita e soprattutto che difende la biodiversità. Quinoa que pasion, allora.


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