Non profit
Biocarburanti al veleno. Le ong sfidano Lula
Nel mirino la rivoluzione del presidente
di Redazione
l bioetanolo ricavato da coltivazioni agricole rischia di rovinare la luna di miele tra società civile brasiliana, ong e movimenti da una parte e il governo di Luiz Inácio Lula da Silva dall?altra. Se Porto Alegre con il primo Forum sociale mondiale scelse per acclamazione l?ex sindacalista come suo candidato nel 2001, oggi da quell?investitura sembrano essere passati anni luce. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il discorso che il presidente brasiliano ha tenuto all?Assemblea generale delle Nazioni Unite a fine settembre in cui ha definito, per l?ennesima volta, lo strumento dei biocombustibili la panacea «per risolvere il problema del riscaldamento globale del clima». Ad aggravare la già scricchiolante relazione tra società civile e governo prima c?era stato un viaggio in Europa dove un Lula sempre più ?commesso viaggiatore del bioetanolo? aveva stretto accordi con i governi di Svezia, Finlandia, Norvegia e Danimarca, confermando il ruolo di leadership del Brasile nel settore di queste nuove energie ?verdi?. Le virgolette, tuttavia, sono d?obbligo. Almeno per le ong brasiliane.
L?Amazzonia sotto pressione
Per capirlo è sufficiente spostarsi in Amazzonia dove, al di là dei proclami ufficiali sul ?disboscamento zero? (obiettivo del governo brasiliano da raggiungere entro il 2015), la foresta continua a bruciare e viene sostituita dalla soia molte volte geneticamente modificata e, ultima novità, dalla canna da zucchero usata per produrre bioetanolo.
«Le coltivazioni per generare combustibile hanno effetti sia sociali che ambientali gravi se non si segue un modello sostenibile, questo si vede benissimo con i biocarburanti», attacca Roberto Smeraldi, direttore dell?ong Amigos da Terra e, guardandolo, si capisce dalla sua faccia che questo non è ciò che sta accadendo oggi in Brasile. «Negli ultimi due anni», spiega Smeraldi, «sono entrati in Amazzonia quattro milioni di animali d?allevamento, soprattutto mucche, mentre per la prima volta la regione tradizionalmente più portata a questo business, ovvero quella di San Paolo, nello stesso periodo ha visto ridurre la quantità di bovini di circa un milione di capi». Per le ong brasiliane non c?è dubbio: la coltivazione di canna da zucchero per produrre energia ?pulita? sta forzando i confini dell?Amazzonia naturale – altro che ?disboscamento zero? – e sta producendo una nuova forma di schiavitù, quella dei tagliatori di canna da zucchero.
Gli schiavi della canna da zucchero
«Non è un caso che a Ulianópolis, nel Pará, nord del Brasile e in piena Amazzonia, proprio nella Usina Pagrisa, la principale azienda che produce bioetanolo da canna da zucchero nella regione e non quindi in una sperduta fattoria di un latifondista, siano stati liberati dalle autorità 1.064 tagliatori di canna costretti a lavorare in condizione di schiavitù», si sfoga un esponente del Movimento dei Sem terra, riunitosi il mese scorso a Porto Alegre proprio per affrontare la questione dell?agrobusiness. Il nemico, anche qui, è la politica dei biocarburanti che sta portando avanti il governo e che, oltre ai nuovi schiavi, «sta facendo saltare ogni reale possibilità di riforma agraria», denunciano.
I Sem terra, tradizionalmente alleati del Partito dei lavoratori di Lula, stanno cambiando strategia e dall?incontro di Porto Alegre, cui hanno partecipato anche una decina di ong locali, è emerso che la strada delle occupazioni, diradatesi nel primo mandato del presidente, sarà ripresa con forza. «Il governo dice che sta facendo la riforma agraria, ma non si era mai vista tanta concentrazione della terra nelle mani di multinazionali», dichiara esasperata Marina dos Santos, coordinatrice nazionale del Movimento dei Sem terra, riferendosi al modello di agrobusiness ?verde? che privilegia la coltivazione estensiva alla piccola proprietà.
Per inquadrare il problema basti dire che attualmente sono 160mila le famiglie dei Sem terra accampate in tutto il Brasile che chiedono un pezzo di terra e che nei cinque anni a guida Lula il governo ha concesso appezzamenti ad appena 800 famiglie. Oggi sono 40 milioni i brasiliani che vivono in zone rurali e di questi solo una percentuale irrisoria potrà essere impiegata per produrre biocarburanti: è facile capire come la sostenibilità della ?rivoluzione verde? del governo brasiliano scricchioli paurosamente.
Parla la ministra dell?Ambiente
Dal canto suo, la ministra dell?Ambiente, Marina Silva, si difende dicendo che il Brasile «sta facendo qualcosa che può essere un modello per le altre nazioni del mondo», ovvero stabilire zone agricole specifiche e circoscritte per la coltivazione di alimenti per la produzione dei biocombustibili. Staremo a vedere. Per il momento di certo c?è che un ettaro di terreno coltivato a canna da zucchero in Brasile produce tra i 5,7 e i 7,6mila litri di biocarburante, che nel 2005 il Paese ne ha messo sul mercato circa 12 miliardi di litri e che la differenza tra costi e ricavi consente al produttore un lucro che supera il 230%. Insomma, un business di dimensioni colossali. Sicuramente le emissioni di gas serra dei biocarburanti da canna da zucchero sono inferiori (del 56%) rispetto a quelle da benzina, così come quelle di ossido di carbonio (-90%) ma come ammette Marcelo Pedroso Goulart, esperto del ministero pubblico di San Paolo, «nonostante il bioetanolo sia considerato un combustibile pulito, il suo modo di produzione è abbastanza sporco». Ed è questo il punto che denunciano le ong: i danni per produrre bioetanolo sono enormi e non contabilizzati dalle statistiche governative.
Il crollo delle altre produzioni
Di certo secondo i dati dell?ong brasiliana Instituto de Economia Agrícola, nel principale fornitore di alimenti dell?intero Brasile, ovvero lo stato di San Paolo, a causa del boom della canna da zucchero nel biennio 2006-2007 sono calate le produzioni di ben 32 coltivazioni agricole. Riso -10%, fagioli -13%, mais -11%, patate -14%, pomodori -12%, cotone -40%… La lista è troppo lunga per poter essere completa ma la sensazione che ciò dipenda dall?invasione ?verde? dei biocarburanti è sotto gli occhi di tutti. Del resto – lo sostengono tutti gli analisti – con il prezzo del petrolio che ha superato i 90 dollari è chiara la convenienza di sostituire le coltivazioni tradizionali con la monocoltura di canna da zucchero per produrre biocarburanti.di ricardo dos santos
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