Salute
Bimbi con diabete di tipo 1: quel che non si dice del burnout dei genitori
Anna Lucia Ogliari, Professoressa di Psicologia Clinica all’Università Vita Salute San Raffaele, scoperchia un tema tabù: l’impatto della malattia sulla tenuta psicofisica dei genitori dei bimbi con diabete di tipo 1. «Mamma e papà sono ingaggiati a tempo pieno», ed «è come se intraprendessero un ‘secondo lavoro’». Con pesanti ripercussioni: «I sintomi del burnout sembrano essere presenti anche dopo 3-5 anni dalla diagnosi»
Il diabete di tipo 1 è una malattia autoimmune e, al momento, senza cura. La si può gestire, ma la gestione è complicata e delicata. Se da un lato è chiaro come l’inclusione del genitore nella gestione terapeutica porti dei benefici sullo stato di salute del bambino con questa patologia, dall’altro lato rappresenta un costo psicologico non indifferente per mamma e papà.
«Il diabete di tipo 1 è una malattia cronica che ha un grande impatto sulle famiglie dei piccoli pazienti», osserva Anna Lucia Ogliari, Professoressa di Psicologia Clinica all’Università Vita Salute San Raffaele di Milano e anche responsabile dell’Unità di Psicologia Clinica dell’Età Evolutiva presso il medesimo ospedale, che è un centro di ricerca all’avanguardia sulla cura del diabete infantile. «L’ingaggio richiesto ai genitori nella terapia è molto elevato, tanto che le abitudini di vita si modificano per poter dedicare del tempo alla gestione del diabete e supportare il bambino».
In pochi sanno che una persona con diabete di tipo 1 prende centinaia di decisioni vitali ogni giorno; che ha un pezzo del suo cervello costantemente concentrato a fare il pancreas, che l’insulina che si inietta non lo cura, ma lo tiene in vita; che il diabete di tipo 1 è l’unica malattia in cui il paziente decide in autonomia le dosi dell’ormone che lo fa vivere; che il calcolo dipende da mille fattori e se lo sbagli rischi di andare in coma.
Professoressa Ogliari, il fatto che sia una patologia che può colpire persone di ogni età ma si presenta maggiormente nella fascia compresa tra 0 e 30 anni di età, con picchi di incidenza attorno ai 2 anni e tra i 12-13 anni, ha un forte impatto sulle famiglie dei piccoli pazienti. È tutto un prevedi, calcola, agisci tempestivamente. 24ore su 24, 7 giorni su 7. Mai una pausa. Ci racconta l’esperienza di questi genitori?
Il diabete di tipo 1 è una malattia cronica che ha un grande impatto sulle famiglie dei piccoli pazienti, non solo dal punto di vista della gestione della patologia, ma anche, e soprattutto, per la necessità di un adattamento e riorganizzazione del nucleo famigliare a fronte dei cambiamenti che la diagnosi porta. Misurare la glicemia, prevedere il giusto apporto nutrizionale e insulinico, essere pronti agli imprevisti, integrare la vita ‘prima della diagnosi’ con una patologia che richiede di essere precisi ma anche flessibili e soprattutto, integrare la diagnosi con il ritmo famigliare richiede molte attenzioni e molta preparazione.
C’è una fase più delicata?
L’impatto sui genitori è quindi un impatto importante, fin dall’esordio e dalla comunicazione della diagnosi. L’esordio è infatti un momento delicato sia per i piccoli pazienti, sia per i loro genitori: Di fatto la diagnosi è un evento che irrompe nella routine famigliare, scombussolandola. I genitori ci raccontano spesso di percepire un senso di impotenza e smarrimento spesso anche senso di colpa, come se andassero incontro ad un black out in seguito al quale devono riorganizzare le proprie risorse.
Poi?
«Allo smarrimento iniziale segue solitamente una fase di presa di consapevolezza che può essere molto impattante sulle emozioni dei genitori e sull’apprendimento di tutte le istruzioni necessarie alla gestione dell’alimentazione, della terapia insulinica e delle attività del bambino. Si sentono spesso travolti ed è proprio in questo momento che è fondamentale l’alleanza con l’intera equipe che ha lo scopo di guidare famiglia e bambino.
Come cambia la quotidianità?
La gestione della quotidianità è il secondo scoglio delicato: i genitori sono ingaggiati a tempo pieno, soprattutto per i bambini più piccoli ed è come se intraprendessero un ‘secondo lavoro’ che drena energie e spesso distoglie dalle normali attività (che non si fermano in caso di diabete). L’ingaggio richiesto ai genitori nella terapia è molto elevato, tanto che le abitudini di vita si modificano per poter dedicare del tempo alla gestione del diabete e supportare il bambino.
L’accettazione della malattia quindi non è semplice e la convivenza con essa richiede di tenere in considerazione la sua possibile evoluzione nel tempo possibili eventi critici che necessariamente possono mettere in discussione la quotidianità.
I genitori sono ingaggiati a tempo pieno, soprattutto per i bambini più piccoli ed è come se intraprendessero un ‘secondo lavoro’
Anna Lucia Ogliari
Ci sono ricerche sul burnout delle famiglie?
La ricerca scientifica psicologica si è molto soffermata sul tema del burnout dei genitori dei bambini e dei ragazzi diabetici. Il burnout dei genitori è può manifestarsi anche in assenza di diabete, ma in questi casi rappresenta una ulteriore esperienza stressante che sposta gli equilibri per costruirne di nuovi che comprendano la gestione pratica ed emotiva del diabete stesso. Il compito del genitore è quello di gestire sia il piano operativo che quello emotivo e da ciò deriva un costante senso di allerta che spesso porta al burnout.
Cosa emerge dalle ricerche?
Gli studi evidenziano che oltre all’effetto dell’impatto della diagnosi, che crea uno stress acuto nei genitori, la gestione a lungo termine aumenta la possibilità di esperire ansia, deflessione del tono dell’umore. I sintomi del burnout sembrano essere presenti anche dopo 3-5 anni dalla diagnosi.
La gestione a lungo termine aumenta la possibilità di esperire ansia e la deflessione del tono dell’umore. I i sintomi del burnout sembrano essere presenti anche dopo 3-5 anni dalla diagnosi.
Anna Lucia Ogliari
Nicoletta Balbo, docente dell’Università Bocconi che sta studiando ciò che accade a genitori, fratelli e nonni quando affrontano la disabilità di un figlio o di un nipote, dice che «la malattia è sempre una questione di famiglia», nel senso che ha conseguenze importanti sugli altri familiari. Per le famiglie di bambini diabetici vale lo stesso discorso?
Possiamo immaginare una situazione simile anche per le famiglie dei bimbi diabetici soprattutto quando l’esordio arriva molto precocemente. L’ingaggio richiesto ai genitori nella terapia è molto elevato, tanto che le abitudini di vita si modificano per poter dedicare del tempo alla gestione del diabete e supportare il bambino. È fisiologico spostare la propria attenzione sulla figura fragile, ma è importante considerare che la difficoltà dei genitori e dei caregiver è ancora più accentuata a fronte della necessità di mantenere un equilibrio nel nucleo famigliare che si fa ancora più complesso con la malattia diabetica. Le dinamiche famigliari devono essere accudite.
Parliamo di invisibilità sociale. Escludendo le famiglie che lo vivono, sono davvero molto poche le persone che capiscano cosa sia e come ti possa sconvolgere la vita.
Anche questo aspetto è delicato, non sentirsi supportati da una rete extra famigliare, amicale e lavorativa o peggio ancora, percepire che è complicato essere compresi nella fatica appesantisce ulteriormente i genitori. Il rischio è di sentirsi isolati, non compresi e poco supportati.
Cosa si potrebbe fare?
È importante pensare ad un’opera di sensibilizzazione su questi temi, che possa portare alla luce la complessità della gestione del diabete di tipo 1, ed è anche importante favorire momenti di scambio e condivisione tra famiglie di bambini con il diabete, come strategia psicoeducativa e di supporto ma anche per permettere lo sviluppo di strategie di coping per fronteggiare il burnout.
Affrontiamo ora il tema dell’autonomie, che per i bambini con diabete è davvero un tema centrale. La gestione della malattia, infatti, specie dei bambini, richiede che ci sia una supervisione costante di un adulto che prende alcune decisioni e compia determinate azioni che tutelino la salute del piccolino. Crescendo questa costante presenza può rappresentare un ingombro o limitare lo sviluppo individuale dei ragazzi?
Costruire le autonomie è un compito delicatissimo durante tutto lo sviluppo e comprende l’acquisizione di competenze emotive, relazionali, scolastiche, cognitive che scandiscono i cambiamenti che lentamente ci portano verso la vita adulta. Per un bambino o un adolescente affetto da diabete di tipo 1 potrebbe essere più faticoso raggiungere un normale sviluppo delle autonomie perché la gestione della patologia richiede una complessità su molti fronti compresa l’acquisizione della fiducia e della percezione di essere competenti e capaci nel prendersi cura di sé, aspetti che sono importantissimi per seguire i trattamenti correttamente.
Qual è il ruolo di mamme e papà?
Il ruolo dei genitori è anche in questo caso un ruolo delicato e fondamentale che non può essere valutato, il passaggio da caregiver a supervisore della terapia per favorire le autonomie richiede la possibilità di ‘fare un passo indietro ed osservare’ come gli adolescenti gestiscono la patologia, rimandando la loro responsabilità nella cura ma utilizzando un atteggiamento che permetta loro di non sentirsi giudicati o etichettati come poco ‘capaci’ nella gestione del diabete. I genitori possono esprimere la propria preoccupazione avendo consapevolezza che serve collaborazione e non giudizio, perché quest’ultimo può minare la fiducia e diminuire l’aderenza alle cure.
Ha qualche consiglio da dare ai genitori, in base all’età dei figli?
Ascolto, attenzione, collaborazione sono tre punti fondamentali che penso possano essere utili per i genitori. Ascoltare i bisogni dei bambini/ragazzi e propri, essere attenti a condividerli e collaborare perché possano essere soddisfatti. Questo permetterà di avere insieme una visione di malattia più accettabile.
Mi piace condividere una suggestione che una coppia di genitori ha condiviso con me: ‘avere il diabete è come vivere costantemente con uno zaino pesante in spalla ed essere genitori di un bambino diabetico implica la possibilità di aiutare il bambino a portare quello zaino. Lo zaino rappresenta le incombenze del diabete ma può essere anche riempito di altre cose, le esperienze di vita, i viaggi, i successi, gli insuccessi…. E forse guardando da questa prospettiva lo zaino diventa un compagno di viaggio scomodo ma, a tratti, più leggero’.
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