Sostenibilità

Bilanci di sostenibilità: ma chi li legge quei bei malloppi?

Sono documenti che richiedono tante energie. Ma così come sono fatti oggi non servono a nessuno. L’effetto retorica domina.Toni Muzi Falconi

di Redazione

Fra i lettori di questo articolo quanti hanno davvero letto per intero un qualsiasi bilancio tbl (triple bottom line) o ?di sostenibilità? di una qualsiasi organizzazione? Alzate la mano? pochi davvero! E allora diciamola questa verità, anche se non è ?politically correct?: una gran parte di questi bilanci sono una gran palla, noiosi, lunghi, retorici, enfatici, quando non banalissime brochure patinate e multicolori, prive di criticità e capacità di attirare attenzione. è certo vero che la realizzazione di un tbl, almeno per la prima volta, richiede un gran lavoro a molte persone dell?organizzazione, costa parecchi soldi e il prodotto finale alla fine viene letto da pochi addetti ai lavori? per i quali, peraltro, le informazioni che interessano sono più facilmente reperibili e dettagliate nei siti internet, sempre se realizzati decentemente. Insomma, a che servono questi tbl? Vi sono almeno due argomenti rilevanti e parzialmente in contraddizione: a – se realizzati con intenzioni serie e non di solo me-toosim (vengo anch?io…), impegnano l?organizzazione a censire, raccogliere e razionalizzare (per spiegare) in modo organico e razionale le tante e nascoste espressioni di attività economiche, sociali e ambientali che si realizzano in qualsiasi comunità organizzata e che, se e quando vengono portate alla luce, fanno sovente emergere sovrapposizioni, assurdità, incongruenze e sacche di inefficienza. Questo esercizio consente di ridurre costi non adeguatamente esplicitati dei quali i vertici non sempre sono (o comunque preferiscono non essere) consapevoli. Soltanto questo vantaggio legittima l?investimento, almeno per la prima volta, poiché si suppone che il conseguente intervento di correzione e di limatura porti poi la situazione entro livelli di controllo e di compatibilità ragionevoli; b – l?avvio della realizzazione di un bilancio tbl costituisce per l?organizzazione una strada senza ritorno che va attentamente valutata, poiché diventa difficile spiegare che, uscita la prima edizione, l?organizzazione interrompe l?esperienza, sarebbe come affermare implicitamente che, a differenza dell?anno precedente, l?organizzazione si sia comportata in modo socialmente irresponsabile. Stando così le cose, sembrerebbe rilevante realizzare la seconda edizione capitalizzando l?investimento fatto per la prima, semplicemente aggiornandone i contenuti informativi senza ricorrere di nuovo alle onerose consulenze esterne. Ma qui si verifica quel classico effetto retorico (di hype, direbbero gli anglosassoni) tipico di ogni nascente ramo della consulenza che tende ad autoperpetuarsi: essendo riuscita a tematizzare con successo che anche il bilancio tbl, come quello economico/patrimoniale, deve essere certificato da fonti terze e indipendenti, sono proprio le stesse società di consulenza (le ex sette, poi sei, poi cinque? sorelle) che dominano oltre il 50% di un mercato giovane e in crescita, incuranti delle ironie sui cosiddetti ?chinese walls?, ad offrire oggi anche il servizio di certificazione attribuito ai cugini che portano lo stesso cognome e che garantisce loro continuità di fornitura inducendo l?impresa-cliente ad impegnarsi ad investire anche per gli anni successivi? Insomma, possiamo considerare la rendicontazione integrata delle organizzazioni come una moda destinata a ripiegarsi, come per la governance che per certi aspetti l?ha generata, pur restando entrambe fertilmente seminate come stimolo di una nuova consapevolezza del management verso l?ambiente circostante, assai più articolato rispetto ai soli azionisti? Se ci riferiamo agli impatti effettivi sugli stakeholder, per i quali quel bilancio tbl viene realizzato e che, in larghissima parte, si accontentano di sapere che c?è, proprio perché la retorica della trasparenza e della governance ha sentenziato che l?assenza del tbl è indice di opacità, possiamo sicuramente parlare di una moda, anche se il social reporting è obbligo di legge da molti anni per le grandi imprese in Francia, si appresta a diventarlo nelle prossime settimane anche in Gran Bretagna e lo stesso Economist – da sempre il giornale più intelligentemente critico della corporate social responsibility- ha riconosciuto la sua rilevanza sostenendo che è pratica troppo importante per essere lasciata agli improvvisatori di un mercato consulenziale privo di standard. Se invece ci riferiamo alla rilevanza del processo interno che si mette in moto dentro l?organizzazione per realizzare un tbl, un processo che va ben oltre ogni pur importante aspetto di superficie per integrarsi profondamente nella cultura organizzativa, è possibile affermare che se di una moda si tratta sarebbe davvero un pessimo segnale non solo per la qualità dei gruppi dirigenti, ma soprattutto per quella dei suoi comunicatori poiché testimonierebbe la fondatezza di quei critici della csr che sostengono trattarsi soltanto di una questione di ?immagine?. Non mancano di certo al comunicatore serio e competente gli argomenti per convincere la coalizione dominante dell?organizzazione che il compito di impostare, realizzare e distribuire il bilancio tbl spetti proprio alla sua funzione comunicazione visto che il prodotto e il suo impiego attraversano per definizione tutta l?organizzazione e che è quindi necessario applicare ogni competenza comunicativa verticale per realizzare un prodotto capace di attirare l?attenzione dei destinatari, stando però lontani dalla brochuristica patinata e, al tempo stesso, dalla infinita noia dei contabili/revisori. è necessario adottare un approccio narrativo, rigoroso sì, ma capace anche di suggerire al lettore fili rossi interpretativi che integrino la rendicontazione economica, con quella ambientale, e con quella sociale. Tanto per fare un esempio per capirci: raccontare una storia che integri i diversi valori aggiunti economici riclassificati per segmento di stakeholder con l?impiego effettivo di risorse così ricavate per ciascun segmento, e non soltanto limitarsi come fan tutti a rendicontare verticalmente gli aspetti economici, sociali e ambientali quasi fossero tre bilanci diversi. Parimenti non sfuggirà al comunicatore intelligente e creativo l?opportunità di marcare per sé un ruolo strategico all?interno dell?organizzazione, da realizzarsi rivendicando anche il coordinamento del sempre più necessario ascolto dei destinatari del tbl, non solo per rilevarne le opinioni sul bilancio in sé e così migliorare quelli futuri, ma soprattutto per capirne e interpretarne le aspettative verso la stessa organizzazione, impegnando la coalizione dominante di quest?ultima a rivisitare regolarmente il proprio modo di agire, al fine di rendere i comportamenti maggiormente accettabili a quei pubblici che, alla fine, ne sanzionano la licenza sociale di operare, sempre più indispensabile per mantenere e accrescere il vantaggio competitivo acquisito. di Toni Muzi Falconi Mister Bond L?alleanza tra Berlusconi e Fazio- I conflittini d’interesse Autorità indipendenti. Il presidente del Consiglio riceve a colazione il governatore della Banca d?Italia. I due decidono come deve essere la riforma delle autorità indipendenti che il parlamento sta discutendo, il ddl a tutela del risparmio. Dopo il pranzo, ci è stato detto che tutelerà il governatore. E le altre autorità (ad iniziare dalla Consob e dell?Antitrust)? E i risparmiatori? E chi tutela il parlamento dove maggioranze di deputati e senatori si erano faticosamente composte e scomposte durante la difficile strada del provvedimento? Forse hanno ragione presidente del Consiglio e governatore, ma qualche giornale vuole provare a porre queste domande e a tentare delle risposte? Poi forse si vedrà che hanno ragione presidente del Consiglio e governatore. Poi. Interessi e conflitti. Il Consiglio dei ministri decide di opporsi alla legge regionale sarda a tutela delle coste che contrasta, fra l?altro, con interessi della famiglia Berlusconi. Berlusconi sicuramente non avrà partecipato alla discussione e alla votazione in Consiglio dei ministri, obbedendo alla regola che aveva annunciato prima di diventare presidente del Consiglio. Se ne sarà ricordato? Banche, a chi? Berlusconi e Fazio, nel famoso pranzo, hanno convenuto che le banche italiane debbano rimanere in mani italiane. Ma Berlusconi non è forse, con Ennio Doris, il proprietario di Mediolanum? E non è forse schierato contro una banca straniera (l?olandese Abn Ambro) nella controversa vicenda dell?acquisizione dell?Antonveneta? E non è un protagonista del risiko bancario?


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