Non profit

Bilanci dei partiti: uno scandalo anche quando sono in regola

di Antonio Sgobba

Donare soldi a un partito è più conveniente di una donazione a una qualsiasi onlus. Per esempio, se un privato decide di regalare al Pd o al Pdl tra i 51,64 e i 103.391,38 euro gode di una detrazione d’imposta del 19%. L’aliquota massima prevista dalle legge. Se invece vuole donarli a un’associazione non profit, le agevolazioni fiscali si fermano alle donazioni sino a 70mila euro. «Vi sembra giusto che un privato abbia più convenienza fiscale a dare un contributo ai politici anziché ai volontari?», si chiede Paolo Bracalini, autore di Partiti Spa (Ponte alle Grazie). E non è il solo vantaggio di cui godono. «Le sedi di partito non pagano l’Ici, ora Imu», continua Bracalini, «e non pagano neanche le imposte di bollo o di registro che un qualsiasi cittadino è obbligato a versare». Insomma, i partiti hanno vita facile dal punto di vista economico. Anche quando rispettano la legge.

Solo autodichiarazioni
L’affaire Lusi, l’ex tesoriere della Margherita accusato di aver sottratto 13 milioni di fondi pubblici alle casse del suo partito, è solo un di più. «Non c’è da stupirsi che si siano verificati casi come questo», afferma Francesco Paola, esperto di Diritto penale dell’economia e coautore con Elio Veltri di I soldi dei partiti (Marsilio). «La gestione economica dei partiti italiani è in preda all’anarchia totale, il sistema stesso che la regola si presta a illeciti e truffe di ogni tipo», dice Paola. Perché? «Non ci sono regole», risponde l’avvocato. O, meglio, ce ne sono di molto permissive. In base alla legge 157 del 1999, i partiti sono obbligati a presentare alla Camera i rendiconti annuali delle spese: è la condizione per ricevere i rimborsi elettorali. I rimborsi elettorali erogati durante la seconda Repubblica, dal 1994 ad oggi, ammontano a 3.091.598.819 euro. «Enormi fondi pubblici distribuiti senza controlli e sulla base di semplici autodichiarazioni», osserva Paola.
Funziona così: i rendiconti presentati vengono analizzati dal Collegio dei revisori nominato dall’ufficio di Presidenza della Camera. I revisori sono cinque, nominati in stretta osservanza del manuale Cencelli: nella presente legislatura, tre a Pdl e Lega, uno al Pd, uno all’Udc. Si tratta di professionisti della consulenza tributaria, al momento sono tre docenti e due commercialisti. Che poteri hanno? «Praticamente nessuno. Il loro ruolo è solo formale», dice Bracalini. La Camera è l’ente pagatore e dovrebbe controllare i fondi pagati, in realtà non lo fa, si accontenta della dichiarazione, e i controlli avvengono solo sulla corrispondenza tra i bilanci e il modello previsto dalla legge. Nessun controllo sostanziale sull’impiego dei soldi. «Le relazioni del Collegio dei revisori sottolineano che i rendiconti dovrebbero rispondere a criteri di chiarezza e precisione, e fanno dei rilievi di natura formale», afferma l’avvocato.
Il problema è cosa c’è dietro quei numeri. I revisori non possono stabilirlo, non hanno nemmeno il potere di chiedere fatture e scontrini per controllare. «In teoria i bilanci che vengono presentati dovrebbero essere decifrabili attraverso poste contabili, ma le voci di spesa sono spesso generiche, a volte enormi e di difficile comprensione», aggiunge Paola.
Sulla carta il Collegio avrebbe anche il potere di sospendere i finanziamenti, di fatto non è mai accaduto. «Anche se i revisori fanno dei rilievi, ai partiti non costa nulla adempiere e presentare un bilancio corretto. Tanto nessuno va a controllare», ricorda Bracalini.
Tutto questo avviene perché i partiti, dal punto di vista giuridico, sono enti di diritto privato. «Semplici associazioni, come il circolo del tennis o la bocciofila», continua Paola, «ma i soldi dei rimborsi sono soldi pubblici». La legge che regola i rimborsi è la numero 2 del 1997, modificata successivamente nel 1999 e nel 2002. «Da allora le cose sono peggiorate, i fondi aumentati in maniera esponenziale, è stata introdotta la possibilita di presentare i rendiconti persino con l’interruzione anticipata della legislatura».
Possibili vie d’uscita? Alcuni partiti, come il Pd, fanno rivedere i loro conti a società come la PricewaterhouseCooper. «Affidarsi a società esterne è un primo passo», riconosce l’avvocato. «Ma non è sufficiente: ci vogliono obblighi legislativi stringenti, e ci vorrebbe un’autorità indipendente in grado di emanare sanzioni pesanti».

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